«Il Cervello/è più ampio del Cielo.» (Emily Dickinson)
«Lei ha solo 35 anni, signor Vale. Come mai è in queste... condizioni? Ridotto a una specie di relitto umano? Io so la risposta: lei è uno scanner, un essere superiore». Era il 1981 quando nelle sale americane uscì Scanners di David Cronenberg. Un film che viene da lontano, precisamente dal 1969, ai tempi degli esordi del regista canadese: Stereo, primo lungometraggio cronenberghiano dopo i corti Transfer e From the Drain, era incentrato sulle sperimentazioni inerenti allo sviluppo delle facoltà mentali. Un fil rouge attraversa la poetica di un autore da sempre fagocitato dal corpo, dalle sue derive e mutazioni (in Rabid – Sete di sangue compare una testa spaccata in due); e la mente fa parte del corpo.
Reduce da Brood – La covata malefica, Cronenberg può avvalersi finalmente di un budget abbastanza consistente, che gli permette di scatenarsi in effetti speciali; al netto, va sottolineato, di una certa confusione a livello di sceneggiatura. Poco importa, però: a emergere prepotenti sono le tematiche e l'aspetto visivo. La vicenda è incentrata su Cameron Vale (Stephen Lack) il quale, dotato di poteri mentali, viene rapito da una multinazionale che gli rivela la sua natura di “scanner” e lo usa per combattere un'organizzazione rivale guidata dal temibile telepate Darryl Revok (Michael Ironside). In lui Vale scopre un fratello di cui ignorava l'esistenza: tra i due si scatenerà una lotta senza esclusione di colpi. Alla base c'è il germe della polemica sociale e della talidomide, farmaco che fu venduto negli anni Cinquanta e Sessanta come sedativo, anti-nausea e ipnotico, rivolto in particolar modo alle donne in gravidanza: venne ritirato dal commercio alla fine del 1961, quando si scoprì che le donne trattate con talidomide davano alla luce neonati con gravi alterazioni congenite. Lo stesso sottotesto di Baby Killer (Larry Cohen, 1974).
Il fil rouge continua: una misteriosa organizzazione dagli intenti ben poco limpidi (Stereo), le sperimentazioni sugli esseri umani (Rabid), uno scienziato che mira a essere Dio (Brood), due fratelli il cui rapporto prelude a una inquietante simbiosi (Inseparabili); il tutto avvolto da ambienti freddi e asettici (che siano laboratori o multinazionali), tipici dello stile di Cronenberg, quasi ad attutire la brutalità della narrazione (delle narrazioni). E il corpo, che qui, per una volta, pare subordinato alle menti: menti straripanti, quelle dei due fratelli, tanto da costringere Cameron a drogarsi per contenere gli effetti della sua telecinesi e Darryl a creare una via d'uscita per i propri pensieri esplosivi, dando vita a una sorta di "terzo occhio" (metafora, forse, dell'onnisciente Croneneberg, che tutto sa e tutto guida). La mente che domina il corpo, come sembra veicolare la sequenza più celebre del film: l'esplosione della testa dell'oratore durante un esperimento di telepatia. Impatto visivo da manuale (omaggio a L'homme à la tête en caoutchouc di Georges Méliès) che paradossalmente impegnò poco il responsabile degli effetti speciali Gary Zeller, il quale si limitò a gonfiare una testa di gomma per poi farla a pezzi con un maxipetardo, supportato da un sonoro impeccabile. Perché se è vero che le performance attoriali sono importanti per la resa del plot, è altrettanto vero che l'esasperazione delle espressioni facciali può sfociare nel ridicolo involontario; e il sibilo/interferenza che interviene prontamente ad accompagnare le manifestazioni degli scanners si rivela fondamentale.
La mente che sembra stranamente prevalere sul corpo: ma è davvero così? Nella sequenza finale sono i corpi a essere scossi alle fondamenta, violati da una telepatia che si mostra in tutta la sua maestosa virulenza come fenomeno fisico. Per Cronenberg è sempre e comunque la carne a dominare, sino alle estreme conseguenze, sino a trasformare la simbiosi in fusione (La mosca).
«Sono io, Kim, sono Cameron. Abbiamo vinto. Abbiamo vinto».
Sara Barbieri