Il 7 maggio 2016, Star Trek ha festeggiato i 50 anni. Quale miglior modo per celebrare l’immortale creatura ideata da Gene Roddenberry (1921-1991) se non con un nuovo film, Star Trek Beyond, nelle sale italiane dal 21 luglio? Più che una saga fantascientifica che conta – ad oggi – 13 pellicole e 5 serie tv (più una animata, non canonica), ci troviamo di fronte a un vero e proprio fenomeno di costume, venerato dal fedelissimo fandom dei trekker e in perenne “rivalità” con l’altra grande space opera della cultura pop, Star Wars (ma i veri nerd – The Big Bang Theory docet – tributano uguale devozione a entrambe le epopee).
Se Star Trek nasce sul piccolo schermo nel 1966 con la serie tv classica in tre stagioni (all’inizio accolta piuttosto tiepidamente), la sua storia cinematografica parte solo nel 1979, quando il culto dei fan e la crescente fortuna delle repliche tv convincono la Paramount Pictures (resa ottimista dal boom in sala di Guerre stellari) a trasporre la saga su celluloide. Il primo film, Star Trek, diretto da Robert Wise, riprende i medesimi personaggi visti sulla Nbc: all’eroico ma spesso impulsivo Capitano dell’Enterprise Kirk (William Shatner) fa da contraltare l’imperscrutabile e inflessibile ufficiale scientifico vulcaniano Spock (il compianto Leonard Nimoy, scomparso nel 2015), supportati dai compagni di viaggio “Bones” McCoy (DeForest Kelley), Scotty (James Doohan), Uhura (Nichelle Nichols), Sulu (George Takei) e Chekov (Walter Koening) e dalle new entry Decker (Stephen Collins) e Ilia (Persis Khambatta), in un epos corale che è anche il racconto una grande amicizia. Abbandonato il carattere avventuroso-esplorativo della versione seriale, la pellicola vede i protagonisti affrontare una misteriosa minaccia rivolta alla Terra, fino a una conclusione che suscita ambiziosi interrogativi sull’interazione tra uomo e tecnologia.
Più movimentato e coinvolgente è il successivo Star Trek II – L’ira di Khan di Nicholas Meyer (1982), in cui i protagonisti fronteggiano un antico nemico prelevato dall’episodio Spazio profondo della serie tv, il tragico e vendicativo superuomo Khan (Ricardo Montalban). Tra echi shakespeariani, il film si dimostra il capitolo migliore dell’intera saga (tralasciando il reboot contemporaneo, che merita un discorso a parte). Con Star Trek III – Alla ricerca di Spock di Leonard Nimoy (1984), l’epopea cinematografica comincia a dare segni di cedimento, ribadendo come i punti di forza della saga non siano tanto il ritmo o la componente narrativa (che oggi risultano un po’ datati), ma la sua modernissima riflessione filosofica e umanista, compendiata nell’“etica di Star Trek” che si fonda sull’accettazione delle differenze razziali e culturali e su una società interplanetaria democratica ed egalitaria.
Piuttosto trascurabili sono i successivi Star Trek IV – Rotta verso la Terra (ancora di Nimoy, 1986), che catapulta l’equipaggio dell’Enterprise in uno straniante viaggio temporale sino agli anni Ottanta del XX secolo, in un’atmosfera prevalentemente umoristica, e il risibile Star Trek V – L’ultima frontiera di William Shatner (1989), detestato persino dai fan, dove i nostri eroi sono impegnati in un incontro con il Divino ai limiti del trash. Ci si riprende con Rotta verso l’ignoto (1991), che vede nuovamente in cabina di regia Nicholas Meyer e chiude con un finale pacifista sia l’era di Kirk & Co. che l’antico conflitto con i Klingon, avversari temibili quanto adorati dal pubblico. Un consiglio su una follia da fare prima dei 60 anni? Imparate la loro lingua, codificata integralmente dal linguista Marc Okrand.
Con Generazioni (1994) assistiamo al passaggio di testimone con il cast di Star Trek: The Next Generation, la serie sequel trasmessa tra il 1987 e il 1994 e ambientata circa 80 anni dopo quella classica. Dei vecchi eroi resta solo Kirk, con brevi apparizioni di Scotty e Chekov. Il vecchio capitano, trasportato nel futuro, incontra il suo “erede”, Jean-Luc Picard (Patrick Stewart, eroe più riflessivo e intellettuale) e si accomiata definitivamente dal pubblico – in modo un po’ deludente, per la verità – dopo lo scontro con uno dei nemici più sinistri, il Soran impersonato da Malcolm McDowell. Al centro della nuova saga c’è dunque un equipaggio completamente rinnovato – in cui spicca l’androide Data di Brent Spiner, neo-Spock/Pinocchio che sogna ardentemente di diventare umano – in un’era in cui vecchi nemici come i Klingon sono ora alleati e spuntano all’orizzonte nuovi avversari ancora più pericolosi. Si tratta dei Borg, esseri semicibernetici che puntano alla distruzione degli altri popoli attraverso una forzata assimilazione organica, antagonisti assoluti nel successivo Primo contatto di Jonathan Frakes (1996). L’epopea vira così nei toni del cyberpunk, ma la scarsa introspezione psicologica e la mediocrità della sceneggiatura rendono questi capitoli, visti oggi, digeribili solo dai fan più accaniti. È anche il caso del successivo Star Trek – L’insurrezione, del 1998 (sempre diretto da Frakes, interprete del personaggio di Riker), nel quale latita la dimensione epica presente nelle opere precedenti, sostituita da una sciapa storiella vagamente misticheggiante e quasi soapoperistica. L’era di Picard e co. si chiude nel 2002 con Star Trek – La nemesi di Stuart Baird, dove comunque il Shinzon impersonato da un ancora giovane Tom Hardy, il più inatteso e pericoloso nemico di Picard, è un villain difficile da dimenticare.
Per qualche anno tutto tace, fino a quando un certo J.J. Abrams, ideatore di serie tv di culto (leggi alla voce Lost), non pensa bene di tornare alle origini, resettando la saga classica in un reboot aggiornato ai fasti della più moderna computer graphics, ambientato in una linea temporale alternativa e parallela, per non scontentare troppo i puristi. Il cast di Star Trek (2009) si compone di Chris Pine (Kirk), Zachary Quinto (Spock), Zoe Saldana (Uhura), Karl Urban (“Bones” McCoy), Simon Pegg (Scotty), John Cho (Sulu) e Anton Yelchin (Chekov, morto poche settimane fa a soli 27 anni). C’è persino spazio per un incontro con lo Spock dell’altra realtà, che porta al godurioso cameo di Leonard Nimoy. A fronte di straordinari effetti speciali, dialoghi frizzanti, una rielaborazione intelligente dell’iconografia e scelte narrative a volte discutibili ma coerenti, Abrams vince la rischiosa scommessa con un prodotto che trascina in sala il pubblico giovane, replicato dall’ancora più riuscito Into Darkness – Star Trek (2013). In questo caso, l’astuto regista-produttore gioca diabolicamente da genio del marketing, mantenendo il riserbo sul misterioso antagonista interpretato da Benedict Cumberbatch (un po’ come si farà con il Blofeld di Spectre un paio d’anni dopo): è solo all’uscita in sala che si ha la conferma di trovarsi di fronte al remake de L’ira di Khan, persino superiore all’originale. Ora, gli sguardi sono tutti puntati su Star Trek Beyond, per capire se la presenza di Justin Lin al posto di Abrams (troppo impegnato con il progetto Star Wars, qui solo produttore) manterrà alto il livello qualitativo di una serie cinematografica che, comunque vada, sembra destinata a una longevità paragonabile alla vastità dell’Universo solcato dall’Enterprise.