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"The Rider": lo sparo e il fischio di Chloé Zhao

La carne sbrindellata di Apollo appena sotto i garretti, lungo gli stichi, strappata e torturata dagli aculei freddi del filo spinato, è forse il momento più inclemente e intenso di The Rider. Muscoli, tendini e ossa in cambio della libertà. Ma i cavalli con le gambe rotte non vivono e nella vetta di Chloé Zhao un colpo di pistola porta tutti dritti all’oblio. Il privilegio scarcerato della distesa è solo illusione e fantasia.  Il ferro – come gelido giudizio inesorabile del cosmo – arriva precorso dalla dogana di spine dove restano appesi filamenti di carne cruda di un cavallo difficile. 

La suspense di questi pochi minuti – nella scena più alta - è severa come la pistola puntata sulla fronte del purosangue. È tanto forte che traina tutto quello che c’è prima e quello che viene dopo; è come un grumo promotore di tutto l’insieme.  Gli avvenimenti attorno a quei pochi minuti si fanno cornice quieta e introversa nella periferia quell’unico sparo. L’attimo che insegue il fatale fischio del cowboy.

Dentro lo stropiccio secco delle piante nel vento, verso il capolina di The Rider, si avverte l’istante torreggiante che alimenta l’intera storia.

Sgomento. Rovescio. Perdita. È il primo momento in cui Brady afferra la pistola dalla fondina, lì dove si nutre l’allarme, l’orrore per il potere umano, per i mezzi truculenti di cui dispone anche l’uomo con le intenzioni più nobili. Lo spettatore transita dal protagonista al cavallo. Sprofonda nel suo tentativo vano di supplica, in un componimento disperato di versi sommessi e per un attimo trova giudizio e pace. Poco prima del colpo fatale fra gli occhi scuri del baio Apollo e lo sputo triste di un giovane sconfitto.

Anche il giovane cowboy è ferito al cranio, privato della sua passione, espropriato dalla sua vita, defraudato del suo ruolo, ma “sono una persona e quindi devo vivere”, dice alla sorella Lilly. 

Se un qualsivoglia animale si facesse male come me, dovrebbe essere abbattuto. Credo che Dio abbia dato uno scopo a ognuno di noi.

Per tutto il film della giovane regista cinese, qualcosa muore.  Muore la corsa al successo di Brady Blackburn, muore la sua redenzione che non arriva mai, muore il sodalizio con Gus – il cavallo amato dal ragazzo -, muore a piccoli passi anche il suo corpo. Muoiono le corse libere di Apollo. Muore l’abbaglio spedito del sogno. Muore la menzogna fulminea dell’eccitazione proprio dove vive l’orma, la cicatrice e il ricordo.

                                                                                                                                                                                                              Hilary Tiscione

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