The Third Day è un progetto molto particolare.
Una miniserie HBO dai toni misteriosi, drammatici e, a tratti, horror ambientata sull’affascinante isola di Osea, nella paludosa contea inglese dell’Essex. Un’opera sulla falsariga degli horror folkloristici diventati celebri con The Wicker Man (1973) e proseguiti fino al recente Midsommar (2019), che vede tra i protagonisti Jude Law, Naomie Harris e Katherine Waterston.
La serie è strutturata in due grossi blocchi da tre puntate ciascuno ma, se la curiosità cresce molto nei primi episodi, non si trova nessuna soddisfazione negli ultimi.
La trama comincia con Sam, un uomo di mezz’età, seduto sulla riva di un fiume a ricordare la tragica morte del figlio scomparso anni prima proprio in quel luogo per una tragica distrazione. Improvvisamente si accorge di una giovane ragazza che sta provando a impiccarsi. Sam riesce a salvarla per il rotto della cuffia. La giovane dice di chiamarsi Epona e di abitare a Osea, un’isola poco distante, raggiungibile via terra solo quando la marea è bassa. Sam riporta la ragazza al suo villaggio ma, una volta raggiunta l’isola, ormai la marea si è risollevata, la linea telefonica non ha segnale e Sam è obbligato a passare la notte a Osea senza neanche poter avvertire la famiglia, che lo aspetta sulla terraferma.
Presto si accorgerà che gli abitanti dell’isola non sono mansueti come sembrano e che più di un segreto si cela dietro le loro parole gentili, un mistero antico e pericoloso. Sam, però, si trova ancorato a quel luogo da una strana attrazione e, allo stesso tempo, da una repulsione, come se le sue radici fossero in qualche modo connesse all’isola nonostante sia la prima volta che vi approda.
Dopo il terzo episodio si assiste a un significativo slittamento di tempi e atmosfere: sono passati 9 mesi, ci troviamo sempre a Osea ma ora è Helen a raggiungere il luogo insieme alle sue due bambine. L’atmosfera sull’isola è completamente cambiata, il luogo emana desolazione e negatività come se stesse andando incontro a un’apocalisse e gli abitanti che tanto avevano premuto perché Sam rimanesse, allo stesso modo adesso vogliono che Helen li abbandoni.
Sicuramente l’incipit è di grande impatto, catapultando l’ignaro Jude Law e lo spettatore in una realtà allucinata ma affascinante. A Osea si respira un’aria di antiche tradizioni, fortemente legate alla cultura celtica e a quella cristiana, ma aleggia anche un’aria di presagio, di drammatica inevitabilità. Il dramma è radicato nel personaggio di Sam che non ha ancora superato il trauma della perdita del figlio. Cerca quindi inconsciamente una sorta di redenzione e di nuovo inizio sull’isola che a tutti gli effetti è una realtà opposta e fuori dal tempo rispetto al mondo esterno. La sacralità ancestrale che aleggia sul villaggio sospende gli eventi in un limbo di simboli e allegorie mistiche dove è facile lasciarsi andare.
Osea, isola realmente esistente ed effettivamente legata a una storia di affascinanti misteri, è la vera protagonista del racconto. Ma i suoi enigmi non trovano una reale giustificazione nello svolgimento della storia. La curiosità dei primi episodi comincia a scemare quando troppi simbolismi non vengono colmati e risultano fine a se stessi, vuoti. L’interesse viene riacceso con la virata improvvisa del quarto episodio che cambia protagonista, ma la fiamma ben presto si affievolisce. La storia non riesce a trovare una sua dimensione coerente, distribuendo elementi di orrore alternati con toni misteriosi ma virando sempre di più verso una drammaticità posticcia ed esasperata che ha poco di nuovo.
Se lo stile visivo, che si divide tra due registi per i due cicli di episodi, rimane di grande potere magnetico, regalando immagini di stupenda forza visionaria, è la sceneggiatura a essere confusa. Cambi di direzione narrativa ingiustificati confondono lo spettatore, privando la storia di organicità. L’interesse rimane solo per l’effetto stupefacente delle immagini dalla potenza lirica (si vedano le abbacinanti inquadrature dall’alto della stradina sommersa dall’acqua che collega l’isola alla terraferma) perché il mistero che muove le vicende perde quasi completamente di interesse. La qualità del cast però è molto alta e, tralasciando l’indubbia bravura delle star protagoniste, sono di altissimo livello le interpretazioni di tutti i caratteristi del cast tra i quali spiccano Paddy Considine ed Emily Watson.
Forse la colpa di questa miniserie è la troppa ambizione. Un progetto ad alto budget che vuole raccontare in pochi episodi i segreti di una comunità religiosa della periferia inglese e, allo stesso tempo, del dramma umano di due protagonisti, rimanendo comunque un prodotto mainstream. Ma nonostante il coinvolgimento claudicante, quel che resta di positivo è sicuramente il grande fascino dei luoghi e delle atmosfere che definiscono The Third Day come un esperimento molto interessante nelle intenzioni e nella tecnica.
Peccato che non sia assolutamente riuscita sul piano narrativo.
Cesare Bisantis