Giovane magistrato (Massimo Girotti) arriva in un paesino della Sicilia deciso a combattere la mafia. Tutti gli saranno contro: poveri e ricchi, buoni e cattivi, padroni e lavoratori. Tutti tranne un ragazzo, Paolino (Bernardo Indelicato), la cui morte non potrà essere perdonata.

Tratto dal romanzo Piccola pretura di Giuseppe Guido Lo Schiavo, In nome della legge è il terzo lungometraggio di Pietro Germi, ma il primo della sua carriera incentrato sulla Sicilia, con i suoi paradossi e le sue ingiustizie. Rispetto a future commedie come Sedotta e abbandonata (1964), il tono è qui decisamente più serioso, e la critica sociale più severa: l'omertà siciliana sembra avere la meglio sul protagonista, pronto ad arrendersi, fino a quando l'omicidio di una persona a lui cara non lo farà tornare sui propri passi. Il modello del regista è il cinema americano, dal noir al western fino al dramma sociale e al melò. Efficacemente avvalorato dalla bella fotografia di Leonida Barboni, che sa come usare le luci, il film alterna momenti di stanca (la possibile storia d'amore tra Girotti e Salinas) a sequenze di grande impatto visivo (l'arrivo della mafia a cavallo). Ancora oggi attuale, In nome della legge viene ricordato anche per un finale piuttosto ambiguo, che ha fatto nascere più di una polemica. Tra gli sceneggiatori, figurano anche Federico Fellini e Mario Monicelli. Il regista Camillo Mastrocinque interpreta (bene) il barone Lo Vasto. Ottimo successo al botteghino.
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