Adozione
Örökbefogadás
1975
Paese
Ungheria
Genere
Drammatico
Durata
89 min.
Formato
Bianco e Nero
Regista
Márta Mészáros
Attori
Katalin Berek
Gyöngyvér Vigh
László Szabó
Kata (Katalin Berek) ha quasi 43 anni e vuole un figlio. Il suo amante (László Szabó), però, è già sposato con prole e non ne vuole sapere. Nel frattempo, Kata fa amicizia con alcune ragazze di un istituto statale che raccoglie figli abbandonati dai genitori, e tiene per alcuni giorni con sé Anna (Gyöngyvér Vigh), giovane che sogna il matrimonio.
L’opera più importante di Márta Mészáros, che la portò ad essere la prima donna vincitrice dell’Orso d’Oro a Berlino, tratta i temi di famiglia, desiderio di maternità e amicizia e complicità femminile senza alcun tipo di banalità o didascalismo. La regia è attentissima ai dettagli, dalla pelle bagnata sotto la doccia ai primissimi piani delle parti del viso, che rendono le protagoniste quasi impossibili da riprendere nella loro interezza: è uno sguardo dallo spioncino, quello di Mészáros, non voyeuristico però, bensì fortemente suggerente. Ne è un esempio la scena del matrimonio, in cui invece dei festeggiamenti, vengono ripresi i visi delle invitate e le loro reazioni, senza dare spiegazioni ma lasciando parlare la loro cruda emotività. La sceneggiatura, a cui collaborò la stessa regista, è ugualmente capace di approfondire le psicologie dei personaggi senza inutili giri di parole: basta un gesto, un abbraccio, una frase all’apparenza disinvolta. Molti dialoghi restano impressi: quello notturno tra Kata e Anna e quello con la moglie dell’amante sono tra i momenti più intensi. Ma anche il finale non si fa dimenticare facilmente.
L’opera più importante di Márta Mészáros, che la portò ad essere la prima donna vincitrice dell’Orso d’Oro a Berlino, tratta i temi di famiglia, desiderio di maternità e amicizia e complicità femminile senza alcun tipo di banalità o didascalismo. La regia è attentissima ai dettagli, dalla pelle bagnata sotto la doccia ai primissimi piani delle parti del viso, che rendono le protagoniste quasi impossibili da riprendere nella loro interezza: è uno sguardo dallo spioncino, quello di Mészáros, non voyeuristico però, bensì fortemente suggerente. Ne è un esempio la scena del matrimonio, in cui invece dei festeggiamenti, vengono ripresi i visi delle invitate e le loro reazioni, senza dare spiegazioni ma lasciando parlare la loro cruda emotività. La sceneggiatura, a cui collaborò la stessa regista, è ugualmente capace di approfondire le psicologie dei personaggi senza inutili giri di parole: basta un gesto, un abbraccio, una frase all’apparenza disinvolta. Molti dialoghi restano impressi: quello notturno tra Kata e Anna e quello con la moglie dell’amante sono tra i momenti più intensi. Ma anche il finale non si fa dimenticare facilmente.
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