Alì
Alì
2001
Paese
Usa
Generi
Biografico, Sportivo, Drammatico
Durata
157 min.
Formato
Colore
Regista
Michael Mann
Attori
Will Smith
Jamie Foxx
Jon Voight
Mario Van Peebles
Ron Silver
Jeffrey Wright
Mykelti Williamson
Jada Pinkett Smith
Dieci anni di vita di uno dei più celebri pugili della storia: dal 1964 al 1974. Cassius Clay (Will Smith) sconfigge Sonny Liston e si laurea campione dei pesi massimi. Poco dopo Clay conosce Malcom X (Mario Van Peebles), si converte all'Islam e ripudia il suo nome di battesimo, diventando Muhammad Ali. Processato perché si rifiuta di partire per il Vietnam e poi assolto, Ali torna sul ring e batte prima Joe Frazier (James Toney) e poi George Foreman (Charles Shufford) nello storico Rumble in the Junge, incontro ospitato a Kinshasa in Zaire.
Inconsueta incursione nel genere biopic per Michael Mann con una storia in cui pubblico e privato del grande campione vengono trattati con uguale attenzione e con uno sguardo refrattario a qualsiasi facile agiografia (mettendone anzi in luce contraddizioni e spigolosità caratteriali). Come al solito il regista mostra straordinaria padronanza del mezzo cinematografico e tecnicamente il film riesce a regalare momenti altissimi, specie negli splendidi combattimenti, coreografati e montati in maniera mirabile, con una menzione particolare per l'incontro finale contro Foreman. A funzionare meno è la parte più narrativa e decisamente più convenzionale, dove la personalità e lo spirito inventivo di Mann appaiono tarpati in nome di una classicità mainstream che è quanto di più lontano si possa pensare rispetto allo stile di racconto dell'autore di Chicago, fatto soprattutto di silenzi, ellissi, valorizzazione delle componente visiva e sottrazione dell'esplicità di senso. Il risultato è un compromesso al ribasso che funziona in modo discontinuo ed è riscattato da una confezione impeccabile (ottima la fotografia di Emmanuel Lubezki che preannuncia in parte le successive sperimentazioni manniane nel campo del digitale), da una notevolissima parte iniziale e un altrettanto sontuoso finale nonchè dalla prestazione di Will Smith, nominato all'Oscar così come Jon Voight.
Inconsueta incursione nel genere biopic per Michael Mann con una storia in cui pubblico e privato del grande campione vengono trattati con uguale attenzione e con uno sguardo refrattario a qualsiasi facile agiografia (mettendone anzi in luce contraddizioni e spigolosità caratteriali). Come al solito il regista mostra straordinaria padronanza del mezzo cinematografico e tecnicamente il film riesce a regalare momenti altissimi, specie negli splendidi combattimenti, coreografati e montati in maniera mirabile, con una menzione particolare per l'incontro finale contro Foreman. A funzionare meno è la parte più narrativa e decisamente più convenzionale, dove la personalità e lo spirito inventivo di Mann appaiono tarpati in nome di una classicità mainstream che è quanto di più lontano si possa pensare rispetto allo stile di racconto dell'autore di Chicago, fatto soprattutto di silenzi, ellissi, valorizzazione delle componente visiva e sottrazione dell'esplicità di senso. Il risultato è un compromesso al ribasso che funziona in modo discontinuo ed è riscattato da una confezione impeccabile (ottima la fotografia di Emmanuel Lubezki che preannuncia in parte le successive sperimentazioni manniane nel campo del digitale), da una notevolissima parte iniziale e un altrettanto sontuoso finale nonchè dalla prestazione di Will Smith, nominato all'Oscar così come Jon Voight.
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