Manbei Kohayagawa (Ganjirō Nakamura) è il proprietario di una distilleria di saké che non se la passa poi benissimo, sia per la crisi generale che attanaglia il paese sia per il suo non essere propriamente al passo con la strumentazione adeguata. La sua vita sentimentale e familiare, nel frattempo, è complicata e piena di situazioni ingarbugliate. Ozu firma un'opera in cui la moltiplicazione delle situazioni e la confusione prima di tutto morale con cui i personaggi si trovano a convivere sono più acute e determinanti del solito. Il risultato è l'ennesima messa a punto della conflittualità etica del popolo giapponese, guardata non con empatia smaccata ma nemmeno con ostentato distacco. Quello dell'autore è, dopotutto, un cinema che fa dell'equilibrio e della lucidità di vedute degli irrinunciabili e fondamentali punti di forza. Anche in questo caso si toccano temi cari al regista come il conflitto e la convivenza tra tradizione e modernità, ma il tutto viene immerso in un quadro complessivo fortemente problematico, dinamico, pieno di contraddizioni: un insieme di elementi che testimoniano la maturità espressiva di un occhio acuto e strutturato, capace di generare tensione drammatica a partire da situazioni apparentemente irrilevanti. Lontanissimo dai capolavori del maestro giapponese, rimane un tassello non trascurabile, rivolto soprattutto a chi subisce, sempre e comunque, la fascinazione del suo cinema.