Cento milioni di euro spariscono a seguito di una frode telematica. La principale sospettata è una cliente di Fernando Piazza (Marco Bocci), avvocato milanese figlio di Ugo, noto criminale ucciso anni prima. La madre di Fernando, Nelly (Barbara Bouchet), ha lottato tutta la vita perché il destino del figlio fosse diverso da quello del padre, ma ora Fernando si trova in pericolo. La società alla quale sono stati sottratti i soldi è infatti una copertura della 'ndrangheta, intenzionata a vendicarsi e pronta a far scoppiare una guerra tra cosche.
Omaggio, travestito (si fa per dire) da sequel, al cult Milano calibro 9 (1972) di Fernando Di Leo, Calibro 9 del regista Tony D’Angelo, figlio del noto cantante neomelodico Nino, si rifà a uno dei titoli più celebri della tradizione del poliziesco italiano: un noir tagliato in due da un realismo cupo e sordo, ambientato nella gelida Milano degli anni di piombo e post boom economico, oltre che diretto da uno dei più schietti ed ispirati artefici del genere. Non si capisce invece bene, a quasi cinquant’anni di distanza, quale sia la reale necessità espressiva di quest’operazione di stantia e sterile riproposizione del film di Di Leo, che s’inspirò a suo tempo ai racconti di Giorgio Scerbanenco: Calibro 9 non va mai oltre, infatti, la strizzata d’occhio infantile e il calco peggiorativo dell’originale, evocato alla lettera fin dal titolo, che omette Milano per preferire, al semplice capoluogo meneghino, una trama che prende blandamente le mosse dalla fine del capostipite per intavolare una sceneggiatura inconsistente che si divide tra il sud Italia, Francoforte, Toronto, Mosca e Anversa. La devozione al film preso a ingombrante pietra di paragone è senz’altro sincera e anche rischiosa e autolesionista, tra immagini e titoli di testa in versione copia carbone, ma la messinscena di D’Angelo, che con Falchi (2017) si era già cimentato col poliziesco, non regala alcun tipo di scarto e si adagia su un compitino sfiatato e lacunoso, tanto nella messa a punto di personaggi e dialoghi quanto nell’assemblaggio artigianale e dozzinale della scene d’azione e nella direzione degli attori, a dir poco pressappochista. Il confronto tra l’Ugo che fu di Gastone Moschin e il figlio interpretato da Marco Bocci è naturalmente impari, ma i comprimari Ksenia Rappoport e Alessio Boni non fanno certo meglio. Del cinismo di Milano Calibro 9 non c’è poi traccia e a sostituirlo troviamo un profluvio di modernità posticcia (e musica invadente), che azzera e annega ogni slancio sociale nel macchiettismo di grana grossissima. Barbara Bouchet torna, in un piccolo ruolo, a interpretare il personaggio di Nally, che con la sua scena di go-go dance erotica aveva contribuito a consegnare all’immaginario cinefilo il film originale, mentre il personaggio di Rocco Musco, in passato interpretato da Mario Adorf, è interpretato qui da uno spaesato Michele Placido. Presentato fuori concorso al Torino Film Festival 2020, edizione svoltasi interamente online.