Dahomey
Dahomey
2024
In sala
dal 07/11
Paesi
Francia, Senegal
Genere
Documentario
Durata
67 min.
Formato
Colore
Regista
Mati Diop
Alla fine del 2021, 26 tesori reali appartenenti al Regno di Dahomey (oggi l’attuale Benin) sono pronti a lasciare Parigi per fare ritorno alla patria d’origine. Insieme a migliaia di altri oggetti preziosi, questi artefatti erano stati presi dalle truppe coloniali francesi nel 1892. Dopo la descrizione di questo viaggio, il film si concentra sul dibattito tra gli studenti di un’università in Benin che discutono sull’argomento
Dopo l'esordio dietro la macchina da presa con il drammatico Atlantique (2019), l'attrice e regista Mati Diop firma un documentario in cui torna a parlare di identità africana. Nata a Parigi nel 1982 da una famiglia di origini senegalesi, Diop si concentra su una serie di tematiche che si percepisce le stanno molto a cuore: dall’eredità culturale alla politica coloniale, dalle motivazioni della Francia di oggi attorno a questo gesto sino a cosa ha rappresentato per il loro paese l’assenza di questi tesori reali per tutto questo tempo. Le basi dell’operazione sono molto interessanti, seppur la messinscena sia spesso troppo convenzionale, fatta eccezione per alcuni passaggi più sperimentali – in cui sentiamo direttamente le voci delle statue, con un taglio che può richiamare il cinema del cambogiano Rithy Panh – e su cui Mati Diop avrebbe potuto spingere anche maggiormente. Notevole è però la parte del dibattito tra i giovani, simile ad alcuni passaggi del cinema di un maestro del documentario come Frederick Wiseman e capace di far davvero sentire il peso delle tematiche che sta proponendo la pellicola. Qualche guizzo in più avrebbe comunque fatto bene al film, così come qualche minuto in meno (nonostante la breve durata), ma nel complesso è un prodotto incisivo e capace di far riflettere. Ha vinto l'Orso d'oro al Festival di Berlino 2024.
Dopo l'esordio dietro la macchina da presa con il drammatico Atlantique (2019), l'attrice e regista Mati Diop firma un documentario in cui torna a parlare di identità africana. Nata a Parigi nel 1982 da una famiglia di origini senegalesi, Diop si concentra su una serie di tematiche che si percepisce le stanno molto a cuore: dall’eredità culturale alla politica coloniale, dalle motivazioni della Francia di oggi attorno a questo gesto sino a cosa ha rappresentato per il loro paese l’assenza di questi tesori reali per tutto questo tempo. Le basi dell’operazione sono molto interessanti, seppur la messinscena sia spesso troppo convenzionale, fatta eccezione per alcuni passaggi più sperimentali – in cui sentiamo direttamente le voci delle statue, con un taglio che può richiamare il cinema del cambogiano Rithy Panh – e su cui Mati Diop avrebbe potuto spingere anche maggiormente. Notevole è però la parte del dibattito tra i giovani, simile ad alcuni passaggi del cinema di un maestro del documentario come Frederick Wiseman e capace di far davvero sentire il peso delle tematiche che sta proponendo la pellicola. Qualche guizzo in più avrebbe comunque fatto bene al film, così come qualche minuto in meno (nonostante la breve durata), ma nel complesso è un prodotto incisivo e capace di far riflettere. Ha vinto l'Orso d'oro al Festival di Berlino 2024.
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