Il destino del nome – The Namesake
The Namesake
Durata
122
Formato
Regista
Calcutta, anni Ottanta. Ashoke (Irrfan Khan) prende in moglie la bella e silenziosa Ashima (Tabu) secondo il tradizionale rito bengalese: un'unione combinata che li porta a vivere insieme da immigrati a New York, nella terra delle opportunità. Decidono di chiamare il loro primogenito Gogol (Kal Penn): per il giovane non sarà facile crescere in un mondo così distante dalle proprie origini.
Trascorsi cinque anni da Monsoon Wedding – Matrimonio indiano (2001) e dopo una parentesi hollywoodiana, Mira Nair traspone sul grande schermo il romanzo omonimo premio Pulitzer di Jhumpa Lahiri. La regista torna a parlare della celebrazione del classico matrimonio indiano che, questa volta, non è al centro della narrazione, ma funge da incipit per dare il via alle vicissitudini di una coppia di origine indiana trapiantata in America, con annesso bipolarismo tra cultura yankee e influsso familiare. Pur avvalendosi di due protagonisti dotati di sufficiente intensità recitativa, la sceneggiatura ha un ritmo lento (a tratti catatonico) e pecca di soluzioni narrative alquanto prevedibili che, paradossalmente, risultano meno indigeste nella seconda parte del film, più scorrevole. In ogni caso, un'opera anonima e affatto incisiva: trascurabile. Musiche di Nitin Sawhney, fotografia di Frederick Elmes.
Trascorsi cinque anni da Monsoon Wedding – Matrimonio indiano (2001) e dopo una parentesi hollywoodiana, Mira Nair traspone sul grande schermo il romanzo omonimo premio Pulitzer di Jhumpa Lahiri. La regista torna a parlare della celebrazione del classico matrimonio indiano che, questa volta, non è al centro della narrazione, ma funge da incipit per dare il via alle vicissitudini di una coppia di origine indiana trapiantata in America, con annesso bipolarismo tra cultura yankee e influsso familiare. Pur avvalendosi di due protagonisti dotati di sufficiente intensità recitativa, la sceneggiatura ha un ritmo lento (a tratti catatonico) e pecca di soluzioni narrative alquanto prevedibili che, paradossalmente, risultano meno indigeste nella seconda parte del film, più scorrevole. In ogni caso, un'opera anonima e affatto incisiva: trascurabile. Musiche di Nitin Sawhney, fotografia di Frederick Elmes.