Everything Will Be Ok
Everything Will Be OK
2022
Paese
Cambogia
Generi
Fantascienza, Documentario
Durata
98 min.
Formato
Colore
Regista
Rithy Panh
Mentre i monumenti della Terra svaniscono lentamente sotto la sabbia, gli animali hanno reso schiavi gli esseri umani e preso il controllo del mondo. Le statue del passato sono state rimosse, ma alcune nuove forme molto simili sono state erette per sopprimere la libertà delle persone. Ora sono scimmie, cinghiali e altri animali a ricreare le atrocità del mondo precedente, mentre il capo di questa rivoluzione osserva i filmati d’archivio del nostro mondo ormai passato.
Dopo il bellissimo L’immagine mancante del 2013, Rithy Panh torna a usare i pupazzi, mescolando documentario, materiali d’archivio, allegorie e simbolismo: una serie di diorami fortemente teorici sono alla base di questa potente operazione, che non guarda più (soltanto) al passato dei genocidi e al presente delle dittature, ma a un futuro distopico ancora più inquietante. La storia si ripete, anche con gli animali al potere, in questo lungometraggio che è un vero e proprio grido d’allarme che utilizza la storia del cinema per farci riflettere: da Méliès a Chris Marker (numerosi i riferimenti a La jetée), passando per Dziga Vertov e per le sue teorie relative al “cineocchio”, Panh regala un’esperienza audiovisiva tanto interessante quanto angosciosa per costringerci a guardare ciò che abbiamo fatto e… ciò che siamo. Grazie, ancora una volta, alle parole dello scrittore Christophe Bataille, il regista cambogiano accompagna il suo apparato visivo (i pupazzi sono immobili) con una onnipresente voce narrante che rappresenta proprio le parole delle immagini d’archivio che gli animali a capo della Rivoluzione si mettono a guardare. Seppur la carne al fuoco rischi di essere troppa e gli accostamenti risultino a tratti un po' azzardati, Rithy Panh ci ricorda che si può fare cinema di denuncia non solo attraverso il contenuto, ma anche attraverso una forma che muovendo dai materiali di repertorio raggiunge una grande novità estetica ed espressiva, attraverso il montaggio e l’uso dello split screen. Il titolo, Everything Will Be Ok, prende spunto dallo slogan presente sulla maglietta di un’adolescente uccisa in una manifestazione di protesta in Myanmar. Una base di partenza terribile e coerente per un’operazione che non lascia indifferenti e che non può non farci riflettere sul nostro futuro: le forme del passato (i film della nostra storia, i pupazzi di legno, una voce che ci accompagna) sono forse ancora il modo migliore per rappresentare i pericoli dell’avvenire. Presentato in concorso al Festival di Berlino 2022.
Dopo il bellissimo L’immagine mancante del 2013, Rithy Panh torna a usare i pupazzi, mescolando documentario, materiali d’archivio, allegorie e simbolismo: una serie di diorami fortemente teorici sono alla base di questa potente operazione, che non guarda più (soltanto) al passato dei genocidi e al presente delle dittature, ma a un futuro distopico ancora più inquietante. La storia si ripete, anche con gli animali al potere, in questo lungometraggio che è un vero e proprio grido d’allarme che utilizza la storia del cinema per farci riflettere: da Méliès a Chris Marker (numerosi i riferimenti a La jetée), passando per Dziga Vertov e per le sue teorie relative al “cineocchio”, Panh regala un’esperienza audiovisiva tanto interessante quanto angosciosa per costringerci a guardare ciò che abbiamo fatto e… ciò che siamo. Grazie, ancora una volta, alle parole dello scrittore Christophe Bataille, il regista cambogiano accompagna il suo apparato visivo (i pupazzi sono immobili) con una onnipresente voce narrante che rappresenta proprio le parole delle immagini d’archivio che gli animali a capo della Rivoluzione si mettono a guardare. Seppur la carne al fuoco rischi di essere troppa e gli accostamenti risultino a tratti un po' azzardati, Rithy Panh ci ricorda che si può fare cinema di denuncia non solo attraverso il contenuto, ma anche attraverso una forma che muovendo dai materiali di repertorio raggiunge una grande novità estetica ed espressiva, attraverso il montaggio e l’uso dello split screen. Il titolo, Everything Will Be Ok, prende spunto dallo slogan presente sulla maglietta di un’adolescente uccisa in una manifestazione di protesta in Myanmar. Una base di partenza terribile e coerente per un’operazione che non lascia indifferenti e che non può non farci riflettere sul nostro futuro: le forme del passato (i film della nostra storia, i pupazzi di legno, una voce che ci accompagna) sono forse ancora il modo migliore per rappresentare i pericoli dell’avvenire. Presentato in concorso al Festival di Berlino 2022.
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