La flor
La flor
2018
Paese
Argentina
Generi
Storico, Sentimentale, Spionaggio, Musical, Grottesco, Drammatico, Horror
Durata
808 min.
Formati
Bianco e Nero, Colore
Regista
Mariano Llinás
Attori
Elisa Carricajo
Valeria Correa
Pilar Gamboa
Laura Paredes
Esteban Lamothe
Pablo Seijo
Walter Jacob
Verónica Llinás
Mariano Llinás
Sei episodi, ognuno contraddistinto da un genere diverso. Il primo ricorda i film di serie B, quelli che una volta gli americani giravano a occhi chiusi e che ora sembrano non saper più fare. Il secondo è una sorta di musical con un tocco di mistero. Il terzo è un film di spionaggio. Il quarto è difficile da descrivere. Il quinto trae ispirazione da un vecchio film francese. L’ultimo, ambientato nell’Ottocento, racconta la storia di alcune donne, tenute prigioniere dagli indiani, che tornano dal deserto dopo molti anni.

Sono le parole dello stesso Mariano Llinás, regista e sceneggiatore del film, a darci una mano nel riassumere La flor, progetto monstre di quasi quattordici ore, presentato in diverse kermesse internazionali. Un omaggio alla storia del cinema: è forse questa la base da cui partire per analizzare quest’opera gigantesca, tanto per durata quanto per la complessità artistica messa in campo. Non è (sol)tanto una questione di generi, ma di riflessioni differenti, di narrazioni che si intersecano dentro altre narrazioni, in cui è proprio il piacere del narrare a rappresentare il motore principale dell’azione. Lo si potrebbe definire un prodotto anti-seriale (anche in una chiave fortemente polemica nei confronti delle serie tv ormai tanto di moda), dato che ogni episodio (a parte l’ultimo) non ha un finale e non ci sono collegamenti evidenti tra uno e l’altro, fatta eccezione per la presenza delle stesse quattro attrici (tranne nel quinto episodio) che tornano da un “film” all’altro in ruoli sempre diversi: Elisa Carricajo, Valeria Correa, Pilar Gamboa, e Laura Paredes, che meritano davvero una menzione speciale. La flor è un film di continue digressioni, parentesi aperte e mai chiuse, fatte sempre di nuove storie e nuovi personaggi in uno schema impossibile da prevedere, dove è magnifico perdersi senza riuscire poi a ritrovarsi. È un film sulla natura del cinema, sulla sua forza drammaturgica, sul suo potere immaginifico e sulla sua artisticità sregolata. Un film che è un viaggio capace di arricchire chi decide di parteciparvi, accompagnati da un regista affabulatore che sa usare la voce narrante come pochi altri, che ama raccontare fin dall’incipit ciò a cui stiamo assistendo e che aveva già dimostrato un grande talento nel precedente Historias Extraordinarias. Llinás ama indagare le piccole storie del suo paese natale, l’Argentina, ma amplia lo sguardo al resto del mondo girando in diverse location e in diverse lingue. Si nota quanto sia appassionato di cinema francese, sia dal quinto episodio che è un rifacimento del capolavoro La scampagnata (1936) di Jean Renoir (o, se preferite, un nuovo adattamento di Une partie de campagne di Guy de Maupassant), sia da tanti piccoli dettagli, come la scelta di accompagnare i potentissimi titoli di coda con la canzone Ma môme di Jean Ferrat, che subito fa venire in mente Questa è la mia vita (1962) di Jean-Luc Godard. Non soltanto per la sua durata, La flor è un’esperienza esistenziale, che come tutte le esistenze ha momenti altissimi e altri decisamente meno positivi, sequenze memorabili e altre poco incisive o dimenticabili. Un’esperienza potentissima eppure mai urlata, quasi mai sopra le righe, ma sempre alla ricerca di svelare il mistero della vita e, allo stesso tempo, del linguaggio della Settima arte, anche con chiavi metacinematografiche o persino metafisiche, come nel quarto episodio in cui si parte con una ribellione del set, ma si finisce da tutt’altra parte, passando per un ragionamento sulla differenza tra riprendere le attrici oppure degli alberi. Un’esperienza paradossalmente in sottrazione (senza più finali, senza più inizi) in cui si viagge sempre più verso il passato (del cinema, in primis) e in cui l’ultima tappa non può che essere un ritorno alle origini, la stenoscopia, che sfrutta il procedimento della camera oscura nella quale l’immagine finisce per risultare ribaltata, sottosopra, per poter essere ripresa. Una forma di cinema che pian piano si spoglia di tutti gli orpelli di troppo della narrazione odierna, come un fiore che pian piano perde i suoi petali lasciandoci intravedere la sua vera anima. 
Maximal Interjector
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