Lumina
2021
Paese
Italia
Genere
Sperimentale
Durata
105 min.
Formato
Colore
Regista
Samuele Sestieri
Attori
Matteo Cecchi
Carlotta Velda Mei
Vasile Morosan
Laura Sinceri
Una donna misteriosa (Carlotta Valda Mei) si risveglia su una spiaggia deserta. Vaga tra ruderi e macerie, percependo la memoria degli oggetti. Come una fonte di energia è in grado di riattivare dispositivi tecnologici spenti da tempo. In una città fantasma la donna accede all'archivio digitale dello smartphone appartenuto ad un ragazzo chiamato Leonardo (Matteo Cecchi). Apprende così il linguaggio delle immagini e dei suoni e, attraverso i video della relazione fra Leonardo e la sua fidanzata (Laura Sinceri), conosce l'amore.
Sei anni dopo I racconti dell’orso (2015), co-diretto con Olmo Amato, il regista Samuele Sestieri torna dietro la macchina da presa per un film che si configura nuovamente come una sorta di “fantascientifico” ufo nel panorama produttivo del cinema italiano: un oggetto transitorio nei formati e nei linguaggi, fuori norma e orgogliosamente low budget, con dalla sua uno sguardo votato allo sperimentalismo e all’autorialità più intransigente ma anche con uso leggero e disincarnato di smartphone e archivi digitali. Applicando un filtro ora straniante ora fiabesco a un paesaggio di macerie da ricomporre, Sestieri opera però un salto più ambizioso rispetto al film precedente, erigendo con dolcezza intorno all’attrice, compagna e musa Carlotta Velda Mei una piccolo poema per immagini che s’interroga sulla transizione ineludibile tra tecnologia e privato, ma anche sui processi immaginativi e sensoriali legati alla scoperta e all’esplorazione primaria (quando non addirittura primigenia e ancestrale) del corpo e della scoperta di un sentimento amoroso. Girato in sei settimana in Basilicata e in alcune zone del Lazio, con una sensibilità paesaggistica a tratti prossima al tableaux vivants e più di frequente alla natura morta, è un’operazione che dà del tu, ma con umiltà, sia a certi cortocircuiti audiovisivi di Lynch che allo spaesamento esistenziale e ai ruderi dell’ultima parte della produzione di Tsai Ming-liang; di tanto in tanto le ambizioni tarpano le ali e la fascinazione dell’ingranaggio sembra incepparsi, anche per via di un eccessivo procedere per lampi e frammento, ma è un’opera coraggiosa e senza compromessi, al cospetto della quale non è raro imbattersi un stimolante commistione di tenerezza e sbigottimento. La presenza in scena di familiari e genitori degli autori (l’attrice protagonista, alle prese con una prova non semplice, si configura a tutti gli effetti come una co-autrice del progettto), quasi sempre distorti attraverso i filtri della memoria e di una nostalgia a doppio taglio, va di pari passo con l’utilizzo, anch’esso lynchiano (nel senso di recupero della musica americana archetipica degli anni ’50) del brano musicale Mr. Lonely di Bobby Vinton e Gene Allan. Fotografia di Andrea Sorini e montaggio, tutt’altro che trascurabile per impronta e stile, di Fabio Bobbio. Unico italiano presentato in concorso all’International Film Festival di Rotterdam del 2021 e presentato in seguito nello stesso anno anche al Pesaro Film Festival e allo ShorTS International Film Festival di Trieste.
Sei anni dopo I racconti dell’orso (2015), co-diretto con Olmo Amato, il regista Samuele Sestieri torna dietro la macchina da presa per un film che si configura nuovamente come una sorta di “fantascientifico” ufo nel panorama produttivo del cinema italiano: un oggetto transitorio nei formati e nei linguaggi, fuori norma e orgogliosamente low budget, con dalla sua uno sguardo votato allo sperimentalismo e all’autorialità più intransigente ma anche con uso leggero e disincarnato di smartphone e archivi digitali. Applicando un filtro ora straniante ora fiabesco a un paesaggio di macerie da ricomporre, Sestieri opera però un salto più ambizioso rispetto al film precedente, erigendo con dolcezza intorno all’attrice, compagna e musa Carlotta Velda Mei una piccolo poema per immagini che s’interroga sulla transizione ineludibile tra tecnologia e privato, ma anche sui processi immaginativi e sensoriali legati alla scoperta e all’esplorazione primaria (quando non addirittura primigenia e ancestrale) del corpo e della scoperta di un sentimento amoroso. Girato in sei settimana in Basilicata e in alcune zone del Lazio, con una sensibilità paesaggistica a tratti prossima al tableaux vivants e più di frequente alla natura morta, è un’operazione che dà del tu, ma con umiltà, sia a certi cortocircuiti audiovisivi di Lynch che allo spaesamento esistenziale e ai ruderi dell’ultima parte della produzione di Tsai Ming-liang; di tanto in tanto le ambizioni tarpano le ali e la fascinazione dell’ingranaggio sembra incepparsi, anche per via di un eccessivo procedere per lampi e frammento, ma è un’opera coraggiosa e senza compromessi, al cospetto della quale non è raro imbattersi un stimolante commistione di tenerezza e sbigottimento. La presenza in scena di familiari e genitori degli autori (l’attrice protagonista, alle prese con una prova non semplice, si configura a tutti gli effetti come una co-autrice del progettto), quasi sempre distorti attraverso i filtri della memoria e di una nostalgia a doppio taglio, va di pari passo con l’utilizzo, anch’esso lynchiano (nel senso di recupero della musica americana archetipica degli anni ’50) del brano musicale Mr. Lonely di Bobby Vinton e Gene Allan. Fotografia di Andrea Sorini e montaggio, tutt’altro che trascurabile per impronta e stile, di Fabio Bobbio. Unico italiano presentato in concorso all’International Film Festival di Rotterdam del 2021 e presentato in seguito nello stesso anno anche al Pesaro Film Festival e allo ShorTS International Film Festival di Trieste.
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