Alcuni giovani criminali cresciuti nel quartiere di Secondigliano si avviano alla malavita: nel giro di pochi anni arrivano a dettare legge in gran parte della Campania, mettendo a segno una scalata sociale che pone nelle loro mani una dose di potere e di influenza sempre maggiore. Tutto questo nell'arco di un trentennio.

Di film di questo tipo, in Italia, che tentano di salire sul carro del vincitore e di cavalcare la moda avviata da Gomorra – La serie (2014), se ne vedono tanti, anche se le ambizioni non sempre paiono supportate da un polso della situazione all'altezza; ci prova anche Alessandro Piva, ma senza troppa convinzione e senza nerbo. La mano del regista de LaCapaGira (2000) è abbastanza solida e di mestiere, ma il film è davvero troppo derivativo nel suo essere un'illustrazione letterale del romanzo di partenza (scritto da Luigi Alberto Cannavale e Giacomo Gensini, ispiratisi al boss camorrista Paolo Di Lauro), in cui ogni movimento di macchina sembra asservito al compito di dover restituire le pagine scritte, tra spiegazioni continue elargite dalla voice-off del protagonista e interpretazioni imbalsamate, sempre un passo indietro rispetto all'effettiva credibilità dei loro personaggi. Approssimativo e decisamente gigione nell'affrontare lo scomodo (e dilagante) tema di base, senza contare qualche sterile ammiccamento citazionista non aiuta, contribuendo a evidenziare ancor di più le falle di un'opera timida e insicura, scolastica e povera di idee, che una regia con sparute velleità “scorsesiane”, si fa per dire, non riesce di certo a rivitalizzare in alcun modo. Evitabile.