Le quattro volte
2010
Mubi
Paese
Italia
Generi
Documentario, Drammatico
Durata
88 min.
Formato
Colore
Regista
Michelangelo Frammartino
Un vecchio pastore di capre (Giuseppe Fuda) passa l'ultima fase della sua vita in un silenzioso paesino calabrese.
Dopo Il dono (2003), Michelangelo Frammartino si dedica a uno pseudo-documentario incentrato sul passaggio del tempo, in cui la parvenza di trama svanisce di minuto in minuto con l'intensificarsi della quieta lentezza, pragmatica e ipnotica insieme, dei riti agresti. Cerimonie naturali che si svolgono all'interno delle “quattro volte” del titolo, cioè le “quattro vite” secondo Pitagora: quella minerale, quella vegetale, quella animale e quella umana. Le quattro volte è un'ode alla natura e alla semplicità della vita, inscenata dall'occhio lucidissimo di un autore italiano già padrone di un'estetica personalissima e non più derivata dalle proprie ossessioni pittoriche (Velásquez e Vermeer) e cinematografiche (Bartas e Tarr), ben visibili e piuttosto esplicite nel precedente lungometraggio. Riferimenti che qui, con una maggiore dose di maturità, vengono sublimati e sorpassati, elevando il respiro complessivo dell'opera. La solitudine, la lentezza, il silenzio: sono questi gli elementi con i quali Frammartino realizza un sincero e commovente atto d'amore nei confronti di quella quotidianità rurale tanto povera e umile quanto coraggiosa, del cui ardore la macchina da presa del regista si fa carico in primissima persona.
Dopo Il dono (2003), Michelangelo Frammartino si dedica a uno pseudo-documentario incentrato sul passaggio del tempo, in cui la parvenza di trama svanisce di minuto in minuto con l'intensificarsi della quieta lentezza, pragmatica e ipnotica insieme, dei riti agresti. Cerimonie naturali che si svolgono all'interno delle “quattro volte” del titolo, cioè le “quattro vite” secondo Pitagora: quella minerale, quella vegetale, quella animale e quella umana. Le quattro volte è un'ode alla natura e alla semplicità della vita, inscenata dall'occhio lucidissimo di un autore italiano già padrone di un'estetica personalissima e non più derivata dalle proprie ossessioni pittoriche (Velásquez e Vermeer) e cinematografiche (Bartas e Tarr), ben visibili e piuttosto esplicite nel precedente lungometraggio. Riferimenti che qui, con una maggiore dose di maturità, vengono sublimati e sorpassati, elevando il respiro complessivo dell'opera. La solitudine, la lentezza, il silenzio: sono questi gli elementi con i quali Frammartino realizza un sincero e commovente atto d'amore nei confronti di quella quotidianità rurale tanto povera e umile quanto coraggiosa, del cui ardore la macchina da presa del regista si fa carico in primissima persona.
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