Il film più imponente mai realizzato sull'Olocausto: una testimonianza capitale dell'eccidio messo a punto dalla crudeltà nazista vissuto direttamente attraverso le voci di coloro che subirono quella mostruosità, ricorrendo al minor numero di filtri possibile. Un'operazione titanica, quella del regista Claude Lanzmann, che consegna al cinema e alla storia uno dei documentari più importanti mai realizzati, impressionante tanto per la concezione di partenza quanto per il rigore e l'oltranzismo col quale è stato portato a termine. Il risultato finale è un'opera di nove ore, che sono costate all'autore ben dodici anni di lavoro complessivo e uno sforzo immane (trecentocinquanta ore di riprese, ben cinque anni di montaggio). La natura rivoluzionaria ed epocale di Shoah risiede più di ogni altra cosa nell'assenza pressoché totale di sovrastrutture, di parafrasi o considerazioni sul genocidio ebraico lasciati filtrare tra le righe: Lanzmann si affida solo e soltanto al potere essenziale e al contempo sconcertante della pura testimonianza, sia degli ebrei sopravvissuti che di alcuni ex-nazisti, senza scivolamenti retorici, con una coesione irripetibile. Tutto è all'insegna di un'impersonalità estrema e voluta, che mette i brividi e ammutolisce, silenziando in partenza la necessità di qualsiasi considerazione ulteriore o di qualsivoglia nota a margine. Un lavoro in sottrazione ammirevole, destabilizzante, che costringe lo spettatore a una discesa agli inferi interminabile, nella quale Lanzmann riesce nel miracolo di non arretrare di fronte a nulla senza mai suggerire l'idea del compiacimento e dell'indulgenza. A livello strettamente cinematografico, è una pellicola al grado zero, priva di qualsiasi virtuosismo o soluzione artificiosa. Tutto merito di un cineasta immenso che lavora sulla forma scarnificandola oltre ogni limite e trasformando le singole interviste in blocchi inamovibili. Imprescindibile.