The Eternal Daughter
The Eternal Daughter
2022
Paesi
Usa, Gran Bretagna
Generi
Drammatico, Poliziesco
Durata
96 min.
Formato
Colore
Regista
Joanna Hogg
Attori
Tilda Swinton
Joseph Mydell
Carly-Sophia Davies
Alfie Sankey-Green
Zinnia Davies-Cooke
Tornate nell’antica dimora di famiglia, trasformata in un hotel ma carica di un misterioso passato, un’artista (Tilda Swinton) e la madre anziana (Tilda Swinton) affrontano segreti rimasti a lungo sepolti.
Dopo l’affascinante The Souvenir (2019), del quale ha girato due anni dopo anche una seconda parte, la cineasta britannica Joanna Hogg firma un’elegante storia familiare con protagonista Tilda Swinton in un doppio ruolo: da un lato una regista, che vorrebbe fare un film sulla madre ma non riesce neanche a cominciare la stesura della sceneggiatura, e dall’altro la genitrice ormai in là con gli anni, figura d’altri tempi, reticente e non sempre capace, come molte donne di un’altra generazione, a esprimere ed elaborare a parole il proprio vissuto e i relativi traumi. Il ritorno delle due donne alla vecchia casa di famiglia, ora trasformata in albergo, è il motore di un piccolo film quasi da camera, che parla di dialogo intergenerazionale ripiegandosi con intimità dentro una struttura dai contorni fantasmatici, corrispettivo ideale delle pieghe di un rapporto carico di sfumature e sfaccettature silenti e sottili. L’approccio formale della Hogg crea una sospensione estremamente carica di mistero ed elementi dissonanti ed evocativi: sono infatti moltissime le inquadrature che si soffermano a setacciare i corridoi dell’albergo, avvolti nella semi-oscurità ma ravvivati da uno sguardo elettrico, che dietro la grana pastosa e cupamente austera delle immagini, dal gusto molto vintage, si dimostra sempre vigile nel cogliere scricchiolii impalpabili e crepe spettrali. L’impianto da film di fantasmi si raccorda in maniera molto organica anche all’interpretazione della Swinton, il cui raddoppiamento eleva al quadrato la dimensione auto-riflessiva di un film tutto di rispecchiamento. Accanto alla fattura d’alto livello si associa una sceneggiatura volutamente semplice e scarna, a tratti forse eccessivamente didascalica e disadorna nel rendere espliciti e didascalici vagheggiamenti, tenerezze, rimpianti e conflitti - quasi sempre tenui e sussurrati - tra le due donne: un aspetto che col passare dei minuti aggiunge sicuramente delicatezza ma toglie molto in mordente, specie sulla componente di ambiguità, che avrebbe meritato forse ancor più mistero e che invece trova uno sbocco non troppo all’altezza in in un epilogo dalla soluzione eccessivamente spiattellata. Anche i personaggi di contorno, dalla portiera d’albergo al marito della chef morta, per quanto dolcemente abbozzati, faticano a incidere appieno, mentre è ragguardevole il lavoro poroso e ricettivo, oltre che di grande sensibilità, che la regista fa sul sonoro. La regista aveva iniziato a scrivere la sceneggiatura nel 2008, ma solo nel 2020, probabilmente in concomitanza con l’avvento della pandemia, si è optato per trasferire la storia in un hotel inquietante che amplificasse il portato da ghost story. Prodotto dalla A24. Presentato in Concorso alla Mostra del cinema di Venezia 2022.
Dopo l’affascinante The Souvenir (2019), del quale ha girato due anni dopo anche una seconda parte, la cineasta britannica Joanna Hogg firma un’elegante storia familiare con protagonista Tilda Swinton in un doppio ruolo: da un lato una regista, che vorrebbe fare un film sulla madre ma non riesce neanche a cominciare la stesura della sceneggiatura, e dall’altro la genitrice ormai in là con gli anni, figura d’altri tempi, reticente e non sempre capace, come molte donne di un’altra generazione, a esprimere ed elaborare a parole il proprio vissuto e i relativi traumi. Il ritorno delle due donne alla vecchia casa di famiglia, ora trasformata in albergo, è il motore di un piccolo film quasi da camera, che parla di dialogo intergenerazionale ripiegandosi con intimità dentro una struttura dai contorni fantasmatici, corrispettivo ideale delle pieghe di un rapporto carico di sfumature e sfaccettature silenti e sottili. L’approccio formale della Hogg crea una sospensione estremamente carica di mistero ed elementi dissonanti ed evocativi: sono infatti moltissime le inquadrature che si soffermano a setacciare i corridoi dell’albergo, avvolti nella semi-oscurità ma ravvivati da uno sguardo elettrico, che dietro la grana pastosa e cupamente austera delle immagini, dal gusto molto vintage, si dimostra sempre vigile nel cogliere scricchiolii impalpabili e crepe spettrali. L’impianto da film di fantasmi si raccorda in maniera molto organica anche all’interpretazione della Swinton, il cui raddoppiamento eleva al quadrato la dimensione auto-riflessiva di un film tutto di rispecchiamento. Accanto alla fattura d’alto livello si associa una sceneggiatura volutamente semplice e scarna, a tratti forse eccessivamente didascalica e disadorna nel rendere espliciti e didascalici vagheggiamenti, tenerezze, rimpianti e conflitti - quasi sempre tenui e sussurrati - tra le due donne: un aspetto che col passare dei minuti aggiunge sicuramente delicatezza ma toglie molto in mordente, specie sulla componente di ambiguità, che avrebbe meritato forse ancor più mistero e che invece trova uno sbocco non troppo all’altezza in in un epilogo dalla soluzione eccessivamente spiattellata. Anche i personaggi di contorno, dalla portiera d’albergo al marito della chef morta, per quanto dolcemente abbozzati, faticano a incidere appieno, mentre è ragguardevole il lavoro poroso e ricettivo, oltre che di grande sensibilità, che la regista fa sul sonoro. La regista aveva iniziato a scrivere la sceneggiatura nel 2008, ma solo nel 2020, probabilmente in concomitanza con l’avvento della pandemia, si è optato per trasferire la storia in un hotel inquietante che amplificasse il portato da ghost story. Prodotto dalla A24. Presentato in Concorso alla Mostra del cinema di Venezia 2022.
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