Wilde
Wilde
1997
Paesi
Germania, Giappone, Gran Bretagna
Generi
Drammatico, Storico
Durata
118 min.
Formato
Colore
Regista
Brian Gilbert
Attori
Stephen Fry
Jude Law
Vanessa Redgrave
Jennifer Ehle
Oscar Wilde (Stephen Fry) è all’apice della sua carriera letteraria e intrattiene una vivace vita di società insieme alla moglie (Jennifer Ehle). La stabilità famigliare e la sua reputazione sono però messe a repentaglio dalla scoperta della sua relazione con il giovane Bosie (Jude Law) che porterà al processo per immoralità.
Il regista Brian Gilbert mette in scena un biopic sul celeberrimo scrittore e poeta inglese interpretato da un particolarmente ispirato Stephen Fry che, con l’aiuto di uno smagliante cast britannico, vivifica una pellicola dalla buona confezione formale, curata nella ricostruzione storica e misurata nei contenuti. Il punto di forza è proprio la presenza di numerosi comprimari che smorzano l’egocentrismo che il protagonista, per sua propria indole, tende a ostentare e il risultato, anche se non privo di difetti, è funzionale alla resa della polifonia londinese di inizio Novecento. Eppure, lo spazio ceduto ai caratteri secondari che gravitano attorno al genio risulta sottratto a una più profonda analisi dello spirito del poeta, del suo snobismo intellettuale e della sua tendenza verso le forti emozioni: ciò è rivelatore di una sceneggiatura che non riesce a essere radicale quanto il personaggio di cui vorrebbe raccontare l’eccentricità. Visto il soggetto di partenza era lecito aspettarsi qualche guizzo di originalità in più oltre che una maggiore attenzione alla condizione esistenziale del dandy, al rapporto con la sua produzione letteraria e con l’arte decadente in generale. Insomma, il prodotto finale mostra le ragioni dei comportamenti, le colpe e le mancanze di tutti, perfino dei salotti letterari e della società vittoriana, ma non si sbilancia mai per criticarne o sostenerne la moralità: il punto di vista esterno è una scelta che rende l’operazione simile a un dramma teatrale da guardare con distacco, furbo, perché evita derive polemiche, ma anche e soprattutto poco coraggioso e in definitiva trascurabile.
Il regista Brian Gilbert mette in scena un biopic sul celeberrimo scrittore e poeta inglese interpretato da un particolarmente ispirato Stephen Fry che, con l’aiuto di uno smagliante cast britannico, vivifica una pellicola dalla buona confezione formale, curata nella ricostruzione storica e misurata nei contenuti. Il punto di forza è proprio la presenza di numerosi comprimari che smorzano l’egocentrismo che il protagonista, per sua propria indole, tende a ostentare e il risultato, anche se non privo di difetti, è funzionale alla resa della polifonia londinese di inizio Novecento. Eppure, lo spazio ceduto ai caratteri secondari che gravitano attorno al genio risulta sottratto a una più profonda analisi dello spirito del poeta, del suo snobismo intellettuale e della sua tendenza verso le forti emozioni: ciò è rivelatore di una sceneggiatura che non riesce a essere radicale quanto il personaggio di cui vorrebbe raccontare l’eccentricità. Visto il soggetto di partenza era lecito aspettarsi qualche guizzo di originalità in più oltre che una maggiore attenzione alla condizione esistenziale del dandy, al rapporto con la sua produzione letteraria e con l’arte decadente in generale. Insomma, il prodotto finale mostra le ragioni dei comportamenti, le colpe e le mancanze di tutti, perfino dei salotti letterari e della società vittoriana, ma non si sbilancia mai per criticarne o sostenerne la moralità: il punto di vista esterno è una scelta che rende l’operazione simile a un dramma teatrale da guardare con distacco, furbo, perché evita derive polemiche, ma anche e soprattutto poco coraggioso e in definitiva trascurabile.
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