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I migliori film di Jim Jarmusch: la nostra Top 5

Tra le personalità più eclettiche e influenti nel panorama artistico americano contemporaneo, Jim Jarmusch si è da sempre contraddistinto per uno stile e una poetica minimale inconfondibili: abbiamo deciso di omaggiarlo con la classifica dei suoi migliori 5 film! 

5) Paterson (2016)



Essenziale e fin minimalista, Paterson è un “film zen”, in cui ogni inquadratura, ogni parola, ogni suono porta con sé un carico di significati di notevole spessore: se da un lato la pedante routine del protagonista (un Adam Driver perfettamente in parte) viene amplificata dalla riflessione numerologica che contamina il film in tutti i suoi minuti (le coppie di gemelli, l'omonimia con la città), dall'altro la voglia di un riscatto e di un'azione fuori contesto costituiscono il vero cuore pulsante dell'opera.

4) Solo gli amanti sopravvivono (2013)



Un film di vampiri, ma i vampiri jarmuschiani non potevano che essere esteti, colti, solitari, in rotta col mondo esterno e attaccatissimi ai loro ninnoli, siano essi preziosi manufatti, antiche opere letterarie o chitarre di pregevole fattura (le Gibson!). Il modo in cui Jarmusch ha dato loro concretezza ha in ogni caso del sorprendente: i personaggi di Hiddleston e della Swinton sono infatti gli ultimi depositari di cultura e verità rimasti sulla faccia del pianeta, delle creature distaccate e affascinanti, che osservano la distruzione intorno a loro con gli occhi velati dalla loro stessa superiorità. Il sapere, per i due, è l’unica e l’ultima àncora di salvezza, il solo appiglio per resistere in mezzo allo sfacelo moderno. Il controllo che Jarmusch ha sulla confezione estetica del film e sulla ricchezza dei suoi contenuti lascia semplicemente a bocca aperta, esercitando sullo spettatore un magnetismo languido davvero irresistibile.

3) Broken Flowers (2005)



Don Johnston (Bill Murray) è un ex donnaiolo impenitente al quale riaffiora, all’improvviso, la voglia di riannodare i fili della propria esistenza un po’ allo sbando. Quando riceve una misteriosa lettera che lo informa di essere padre, si mette sulle tracce delle sue vecchie amanti per saperne di più. Uno spaccato di vita di un altro uomo solitario, ma dal noir sofisticato passa a un road movie esistenziale sul vuoto pneumatico di un personaggio che sembra aver smarrito l’entusiasmo dei suoi anni migliori e che ci appare, nella sua disarmante semplicità e nel suo ostinato male di vivere, un uomo incredibilmente normale. Broken Flowers è l’ennesimo saggio registico di Jim Jarmusch che in questo caso ci dimostra cosa voglia dire far dialogare la malinconia, e come instaurare un equilibrio eccellente tra la tristezza del protagonista e i luoghi che attraversa, in un film realizzato con la totale assenza di scene madri. Straordinario anche Bill Murray in una delle prove più importanti della sua carriera

2) Dead Man (1995)



Uno dei film più impressionanti di Jarmusch, e forse il vero spartiacque della sua carriera: Dead Man è un western dalle avvolgenti spire mortifere, a metà tra il loop e il trip, tra l’inquietudine paesaggistica e l’incursione acida nel genere cinematografico più archetipico della cultura americana. La furia visionaria del regista non è però in stato di perenne esaltazione, come qualcuno potrebbe immaginare: al contrario sposa una remissività di incredibile forza estetica e concettuale, che trascina lo spettatore dentro quello che sembra a tutti gli effetti un incubo senza ritorno. La lentezza e la contemplazione, in questo caso, seguono un tracciato idealista e formale, come spesso accade nel cinema di Jarmusch. Ma Dead Man va anche oltre: è un film, soprattutto se rapportato al suo tempo (gli anni Novanta), sul dissolversi della classicità e del mito della frontiera, che scompaiono per lasciar posto alle visioni turbate e metafisiche del postmodernismo.

1) Ghost Dog - Il codice del samurai (1999)



Dopo aver esplorato meravigliosamente il western in bianco e nero, con Dead Man (1995), il talento incontenibile di Jim Jarmusch si posa su un altro genere fondamentale per il cinema americano: il noir. Ma l’approccio filosofico e revisionista alla materia resta immutato, riuscendo a bissare le incredibili vette del film precedente. La matrice in questo caso è molto più spirituale che lisergica, ma la sostanza tuttavia resta la stessa, e leggere i due lungometraggi come un dittico è un passaggio pressoché obbligato. L’andamento palpitante dell’opera è reso vivo, nella sua densa complessità, da molte deviazioni ironiche e da un utilizzo di registri contrastanti, dal solenne al pulp, che restituiscono tutta la tridimensionalità di un mondo che, nonostante i suoi eccessi fumettistici, resta colmo di sfumature e piste da seguire, anche nei semplici scambi di battute tra i personaggi. Più di ogni altra cosa, però, Ghost Dog – Il codice del samurai è un film sull’incomunicabilità e sulla reticenza – due aspetti da sempre centrali nella poetica di Jarmusch – nonché sul bisogno costante di riconsiderare i propri parametri di riferimento. Ed è anche una metafora sulle infinite anime dell’America. Un film stratosferico.


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