Cinema e sport, due realtà che all’apparenza sembrano separate e molto diverse tra loro. Se da un lato ci sono le sale di un cinema e il silenzio degli spettatori, dall’altro ci sono gli stadi pieni e i cori dei tifosi. Ma entrambi gli ambienti sono frequentati da persone. E le persone, in quanto tali, hanno bisogno di essere coinvolte e vogliono essere nutrite di emozioni. Sebbene lo sport sia precedente al cinema, fin dalla nascita (alla fine del XVIII secolo) è stato visto come un partner molto efficace. Addirittura, al punto tale da creare la figura dell'attore-atleta. Molti infatti sono stati coloro che dopo una carriera sportiva sono passati alla recitazione. E con l'affermarsi della televisione, il rapporto si è intensificato fino a raggiungere un livello globale con l’era digitale.
Hermann Bauer in Visible Man (1924) disse che “ci si è dati allo sport con sacro furore”. Perché il genere cinematografico a carattere sportivo ha sempre riscosso grande successo, e non è difficile capirne i motivi. Nello sport ci sono sentimenti, sfide, passioni, eroismi, lotte personali e di gruppo. Tutto ciò può inchiodare lo spettatore e mantenere alta l’attenzione senza troppi problemi. Ci basti pensare che già ai tempi del cinema muto (quindi più di 100 anni fa) le pellicole di questo genere erano in voga. Il grandissimo Charlie Chaplin, ad esempio, nel 1915 fu il protagonista di The Champion, che trattava del mondo della boxe.
Nel 1932 uscì invece Horse Feathers (I fratelli Marx al college), una sulfurea commedia dei fratelli Marx sul football collegiale, che ancor oggi è considerata una pietra miliare. Il cinema è un potente strumento di storytelling. I film raccontano storie in cui il singolo individuo che sta osservando la storia può immedesimarvisi, legandosi ai personaggi o anche sviluppando antipatie verso di loro. Che siano biografie di atleti o trame che utilizzano lo sport come sottotesto, il genere sportivo ha raccontato pagine indelebili, entrate di diritto nell’immaginario collettivo. Lo sport e gli avvenimenti storici si sono intrecciati indissolubilmente con il fine primario di dar voce alle grandi gesta e agli atti più rivoluzionari, dimostrando che questi possono derivare anche da atleti. Se Jesse Owens non avesse vinto quelle Olimpiadi del 1936, o il Sudafrica non avesse trionfato nei Mondiali di Rugby nel 1997 segnando, molto più che simbolicamente, la definitiva fine dell’apartheid, il contesto storico e sociale sarebbe lo stesso?
Il cinema, infatti, viene incaricato di esporre e spesso favoleggiare i valori connaturati allo sport. Non solo biografici ritratti ma anche narrazioni che assumono lo sport come pretesto per narrare altro, per raccontare storie di sacrifici e di autentica ostinazione, di situazioni e personaggi fittizi che incarnano le virtù della persistente dedizione. Il celebre monologo di Al Pacino in Ogni Maledetta Domenica è solo un esempio di come la tematica è divenuta chiave interpretativa di variegati contesti. Perché il cinema si è anche inoltrato in terreni più fertili da cui trarre ispirazione per i nuovi miti del
domani, finti ma non meno importanti.
Se invece dobbiamo analizzare i biopic sportivi, è molto interessante e soddisfacente la tendenza all’apertura verso l’universo femminile. È ormai qualche anno, infatti, che l’industria di Hollywood ha iniziato a produrre film che si incentrano esclusivamente sulla vita e sulla carriere di atlete e campionesse realmente esistite. Fino a poco tempo fa si era raccontato solamente di personaggi di finzione (in film quali Million Dollar Baby o Sognando Beckham).
Nel 2017 vedono la luce i due film attualmente più significativi in tal senso: La battaglia dei sessi e Tonya.
Billie Jean King (Emma Stone), protagonista della prima pellicola, viene ritratta non solo in qualità di sportiva ma anche in qualità di donna impegnata nella battaglia per la pari retribuzione dei compensi tra atleti e atlete, dentro e fuori il campo da tennis. Omosessuale dichiarata, ad oggi si batte ancora contro sessismo e discriminazione. Un biopic non convenzionale, che mina alle fondamenta gran parte degli stilemi del genere e contribuisce a creare una nuova narrazione del “mito” dell'atleta.
Ma la destrutturazione totale dell’aura “sacrale” dalla quale molti sportivi vengono attorniati avviene in Tonya, incentrato sulla figura della pattinatrice Tonya Harding: sboccata, irriverente, irascibile, vittima di violenza da parte della madre e del marito, non particolarmente fine ed elegante. L’esatto opposto dell’atleta rappresentata come eroina dalla maggior parte dei film sullo sport. Ma soprattutto protagonista di uno scandalo.
Insomma, in definitiva potremmo dire che binomio cinema e sport funziona perché, raccontando attraverso i film storie in cui il mondo dello sport è parte del mondo del protagonista, l’effetto che si ottiene è proprio quello di suscitare emozioni. Il cinema ci racconta storie attraverso i film proiettati nelle sale: quando queste pellicole ci mostrano il mondo dello sport e le dinamiche di chi ne è parte, si stabilisce un legame emotivo ancora più forte e lo storytelling diventa uno strumento ancora più efficace.
Carmen Apadula