Tra i nostri autori del cuore c'è senza dubbio Todd Solondz, regista simbolo del cinema indipendente americano e mano capace di plasmare, sempre con delicatezza, la materia straniante e il disagio che si nasconde dietro l'apparente serenità dell'uomo qualunque. Vincitore, tra l'altro, del primo LongTake Interactive Film Festival con Wiener-Dog, ecco i suoi tre migliori film:
Quattro episodi, simili e diversi tra loro, compongono la struttura di Wiener-Dog, film con cui Solondz segue la circolarità della vita e torna a giocare con la narrazione e con le aspettative dello spettatore, riflettendo sul terrorismo, sul razzismo e su una società dove tutti sono perennemente soli. Uno dei suoi lavori più politici, caustici e pessimisti, che contiene anche una forte critica a certa cultura pop come dimostra anche lo straziante sberleffo conclusivo. Il bassotto protagonista (che può ricordare alla lontana l’asino di Au hasard Balthazar di Robert Bresson) è l’animale che porta con sé i mali dei suoi tanti padroni, incapaci di trovare una felicità a cui tendono senza riuscire mai a raggiungerla.
Con Palindromi, Todd Solondz arriva al culmine della sperimentazione formale, realizzando un’opera di matrice postmoderna che parla della società post 11 settembre, e dei suoi conseguenti problemi d’identità. Nel farlo utilizza un linguaggio maturo e innovativo, che rende ancor più potente la riflessione su situazioni e modi di pensare propri dell’agire comune. Raramente, nel cinema del nuovo millennio, le “zome d’Ombra” degli Stati Uniti sono state trattate con così grande spessore e con un respiro cinematografico di tale maestosità.
A partire dal titolo, Happiness ironizza ferocemente sulla fallimentare ricerca della felicità, che ossessiona l’uomo costringendolo alla perenne insoddisfazione. L’intento di Solondz è quello di scardinare e rovesciare i valori fondamentali del sogno americano, affrontando di petto tematiche scomode (pedofilia, crisi dei ruoli sociali, incomunicabilità), ma che riguardano tutti da vicino. E, per affrontarle, accosta alla freddezza e alla crudezza delle tematiche una regia, una fotografia e alcune scelte musicali, di spiazzante “normalità” e delicatezza. Un’opera fondamentale all’interno del cinema (indie) americano contemporaneo.