«Avevo bisogno più di una maschera che di un attore, ed Eastwood a quell'epoca aveva solo due espressioni: con il cappello e senza cappello». Così inizia la leggenda di Clint Eastwood, con la frase ormai cult (e poco conta che sia veritiera o meno) di Sergio Leone. Attore prima e regista poi, balzato agli onori delle cronache grazie al genere western e raffinatosi negli anni successivi come autore classico e crepuscolare, Eastwood ha imparato bene dai suoi maestri («a Sergio e Don» è la dedica che significativamente chiude Gli spietati, opera pessimista e decadente che mette al centro un universo virile antieroico e non riconciliato; un omaggio ai mentori Leone e Siegel), afferrando, limando, rielaborando. Trasformandosi in un riferimento assoluto per il mondo del cinema.
Il 31 maggio Clint Eastwood compirà 90 anni: una carriera costellata di trionfi, che sembra inarrestabile. Ma quali furono gli esordi? Nato nel 1930 da una famiglia protestante, il giovane Clint fece il suo ingresso nel mondo di celluloide a 25 anni grazie a Jack Arnold e al suo La vendetta del mostro, anche se il suo nome non era segnalato nei credits; seguirono altri ruoli minori fino a L'urlo di guerra degli Apaches (1958), per il quale fu notato da Robert Sparks della CBS e ottenne la parte di protagonista nella serie TV Gli uomini della prateria (Rawhide). Poi, l'incontro con Leone: «avevo fatto Rawhide per circa cinque anni. L’agenzia mi chiamò e mi chiese se fossi interessato a fare un western in Italia e in Spagna. Risposi, “Non particolarmente”, dopo aver recitato nella serie ero stanco del western. A quel punto mi dissero, “Perché non dai un’occhiata veloce al copione?”. Ero curioso, per cui lo lessi e capii subito il legame con La sfida del samurai, un film di Kurosawa che mi era piaciuto moltissimo. Pensai: grandioso, nessuno negli Stati Uniti avrebbe il fegato di fare un film del genere. Non avevo niente da perdere, dopo la pausa sarei tornato a registrare Rawhide, quindi pensai “Perché no? Non sono mai stato in Europa"».
Il western italo-spagnolo è Per un pugno di dollari, primo capitolo della Trilogia del dollaro che fece conoscere al mondo il talento del regista Leone, lo sguardo penetrante dell'attore Eastwood e le soavi partiture musicali di Ennio Morricone. La figura dello "straniero senza nome" diventa iconica: Eastwood, più che un personaggio pienamente caratterizzato, è una maschera (per citare lo stesso Leone) dotata di sigaro, cappello e poncho (custodito ancora oggi gelosamente in una teca), funzionale a una narrazione che conduce allo splendido epilogo, marchio di fabbrica della poetica leoniana, il duello. Un duello a due (Eastwood vs. Volonté), destinato successivamente a evolversi in un due + uno (Per qualche dollaro in più, secondo capitolo della Trilogia, dove Eastwood funge da "moderatore" al vis-à-vis tra Gian Maria Volonté e Lee Van Cleef) fino al memorabile "triello" de Il buono, il brutto, il cattivo (Eastwood vs. Van Cleef vs. Eli Wallach).
Costruito in maniera geometricamente perfetta, al centro di un cimitero circolare, il "triello" più celebre nella storia del cinema colpisce ed emoziona per un montaggio che via via si fa sempre più serrato tra primissimi piani, dettagli delle mani, piani americani e campi lunghi, unito a un crescendo continuo delle musiche composte da Morricone. Sorta di deus ex machina, sempre lui, Clint alias il Biondo.
«Quando Sergio mi chiese di continuare a fare altri western, pensai che sarebbe stato eccessivo e decisi di tornare a Hollywood, per fare Impiccalo più in alto. Sergio voleva ampliare la portata dei suoi film, io ero interessato ad approfondire trama e personaggi. Forse, un po' egoisticamente, volevo impegnarmi con un personaggio più studiato rispetto all’Uomo senza nome». Così finisce il sogno. Il buono, il brutto, il cattivo segna la fine della collaborazione tra Eastwood e Leone, che il secondo, appunto, avrebbe voluto prolungare con la richiesta di far interpretare all'ormai amico Clint il personaggio di Armonica, poi incarnato da Charles Bronson, in C'era una volta il West (o, secondo alcune leggende metropolitane, uno dei tre pistoleri dell'incipit insieme a Wallach e Van Cleef). Ma Eastwood era ormai proiettato verso la carriera americana, e non avrebbe deluso le aspettative.
Sara Barbieri