Vampiro per eccellenza, unico e inimitabile Principe delle tenebre, vizioso non morto assetato di sangue: tutto questo (e molto di più) è Dracula, memorabile antagonista dell'omonimo romanzo gotico (1897) dello scrittore irlandese Bram Stoker, ispirato alla figura di Vlad III Principe di Valacchia. Un riferimento assoluto in termini di atmosfere cupe, orrore e languida sensualità, che si è manifestato sul grande schermo attraverso variegate trasposizioni che hanno spaziato dall'horror puro al mélo, passando per la parodia.
Andiamo a ripercorrere i 10 film cult con al centro il mitico conte della Transilvania, in un viaggio all'ultimo morso che copre 80 anni di storia del cinema.
Nosferatu – Il vampiro (1922)
Liberamente ispirato al romanzo Dracula di Bram Stoker (cambiando i nomi dei personaggi per eludere il pagamento dei diritti d'autore), Nosferatu è una vera e propria sinfonia dell'orrore (come enunciato nel titolo originale) e uno dei più alti risultati dell'estetica espressionista. È proprio attraverso lo stile, con un uso insolito delle inquadrature e audaci soluzioni visive che F.W. Murnau costruisce un immaginario spettrale, inquietante e indimenticabile. Capolavoro metafisico, permeato da un costante senso di morte e di sospensione onirica, ritratto allucinato di un'umanità agonizzante, inerme e fragile, predisposta ad essere sopraffatta dal male. Straordinaria la prova di Max Schreck nei panni del conte Dracula (diventato qui Orlok). Citatissimo all'interno dei generi più disparati, rimane un monumento cinematografico assolutamente imprescindibile.
Dracula (1931)
Diretto da Tod Browning (regista del capolavoro Freaks del 1932), Bela Lugosi, chiamato a sostituire Lon Chaney, stroncato da un cancro nel 1930, ha dato corpo alla caratterizzazione del conte più longeva e iconica di sempre: cappa, brillantina e infinita eleganza hanno cominciato da qui in avanti a caratterizzare l'ambiguo personaggio, un look impeccabile riproposto più avanti anche dal Dracula di Christopher Lee (con l'aggiunta dei canini aguzzi) e dagli innumerevoli epigoni. L'attore magiaro è letteralmente il film, grazie a una indimenticabile presenza scenica giocata sullo sguardo ipnotico e su una serie di battute pronunciate con il duro accento slavo che lo contraddistingue («Spero mi scuserete se non mi unisco a voi, ma ho già cenato e non bevo mai... vino»). Meraviglia.
Dracula il vampiro (1958)
Dopo il successo di La maschera di Frankenstein (1957), alla Hammer si pensò di ripescare uno degli altri mostri Universal e affidarne la rilettura delle gesta al bravo Terence Fisher, giocandosi l'unica star della casa, Peter Cushing, nel ruolo del protagonista. Prende così avvio il progetto di Dracula il vampiro (reintitolato negli Usa Horror of Dracula per evitare confusione con la pellicola di Tod Browning), che vede la celeberrima cappa affidata all'altissimo e allora sconosciuto Christopher Lee: per l'attore londinese è l'inizio di una gloriosa carriera che lo vedrà vestire numerose altre volte i neri panni del vampiro. Molti sono gli elementi di distacco dalla tradizione e dall'opera di Bram Stoker che questa trasposizione offre: in primo luogo, proprio la figura del Conte, non più un nobile di bell'aspetto come quello di Lugosi o un tragico innamorato come il Nosferatu (1922) di Murnau, ma una creatura ferina, carnale, assetata dello stesso sangue che ne inietta lo sguardo, vivificato dalla potenza quasi posticcia del Technicolor.
Dracula cerca sangue di vergine... e morì di sete!!! (1974)
Diretto da Paul Morrissey su idea di Andy Warhol (anche produttore), con la collaborazione di uno dei massimi pionieri del B-movie all'italiana, Anthony Dawson alias Antonio Margheriti, che si limitò tuttavia a integrare qualche ripresa e lavorare sul 3D, è il secondo film che il regista underground della trilogia con Joe Dallesandro Flesh (1968), Trash (1970) e Heat (1972) realizzò in Italia dopo Il mostro è in tavola… barone Frankenstein (1973). Il risultato è un curioso esperimento d'epoca che si prende consapevolmente e deliberatamente poco sul serio, giocando sull'horror come pretesto per inanellare una rivisitazione della figura del vampiro più celebre di sempre che aspira chiaramente a diventare di culto, soprattutto attraverso trovate strampalate e soluzioni dal forte impatto visivo dal sapore granguignolesco. Il divertimento sornione è garantito, più fragile invece la dimensione dell'allegoria politico-sociale, che pure c'è e non è affatto secondaria. Gioiosamente oltre che ingenuamente imperfetto, rivisto oggi sembra una specie di Roger Corman aggiornato al tempo della controcultura. Memorabile Udo Kier.
Dracula (1979)
Quella del regista britannico John Badham è una trasposizione cinematografica curata nelle atmosfere e nelle scenografie, forse un po' troppo povera (esangue, verrebbe da dire) sul versante strettamente horror, seppur filologica nel suo attingere all'immaginario vampiresco. In realtà, si tratta di una scelta coerente con l'idea di portare sullo schermo un Dracula carico di charme e vellutata sensualità, che segna la netta superiorità del vampiro rispetto ai banali borghesi e perbenisti inglesi di provincia. Perfetto, in questo senso, il carismatico Frank Langella. Suggestivo e raffinato, con il plus della presenza di Laurence Olivier nella parte del professor Van Helsing. Fotografia di Gilbert Taylor, musiche di John Williams.
Nosferatu – Il principe della notte (1979)
Concepito dal regista come un omaggio al vecchio Nosferatu – Il vampiro (1922) di Friedrich Wilhelm Murnau, simbolo dell'epoca d'oro dell'espressionismo tedesco, Nosferatu – Il principe della notte ambisce a ricoprire lo stesso ruolo nell'ambito del "Nuovo cinema tedesco", movimento cinematografico di cui Werner Herzog era considerato alfiere e che alla fine degli anni '70 viveva il suo periodo di massimo splendore. Il risultato è un elegante e lugubre horror d'autore, dove l'atmosfera romantica, il tema del viaggio e la Natura ricoprono un ruolo preponderante rispetto ad altre trasposizioni sul grande schermo del romanzo di Bram Stoker. Herzog sposta l'ambientazione in Olanda, cita i pittori fiamminghi nell'uso della luce e nella scenografia di ascendenza gotica (premiata con l'Orso d'argento a Berlino) e, soprattutto, riesce a domare Klaus Kinski, che regala alla storia del cinema uno dei vampiri più profondi, cupi e soli di sempre. Musiche dei Popol Vulh e fotografia di Jörg Schmidt-Reitwein.
Fracchia contro Dracula (1985)
Pur condividendo il medesimo personaggio, Fracchia contro Dracula non può essere considerato un seguito “ufficiale” di Fracchia la belva umana (1981): è soprattutto un tentativo di sfruttare in parallelo il successo del (simile) personaggio di Fantozzi, interpretato dallo stesso Paolo Villaggio. Ed è proprio con la saga di quest' ultimo che si ha un curioso crossover visto che il fantomatico acquirente del castello è nientemeno che il rag. Filini, interpretato da Gigi Reder. Tra rimandi a Bram Stoker e al cinema horror classico, il film regala più di una genuina risata e qualche citazione cinefila del tutto inaspettata per un prodotto sulla carta meramente triviale, risultando un'operazione tutto sommato godibile, a patto di partire con aspettative non molto alte... Colonna sonora di Bruno Zambrini e fotografia di Luciano Tovoli (!).
Dracula di Bram Stoker (1992)
Dopo una serie di piccoli progetti, negli anni Ottanta, caratterizzati da difficoltà finanziarie e da compromessi con le case di produzione, Francis Ford Coppola centra il grande successo al botteghino con un'opera tra le più sperimentali della sua filmografia. Il suo Dracula è infatti un trionfo visivo, virtuoso e debordante, dove sinuosi voli della macchina da presa si abbracciano a dissolvenze, filtri, ombre espressioniste e un gusto estetico quasi postmoderno, che fonde l'immaginario horror classico con atmosfere preraffaelite e addirittura il cyberpunk (nel personaggio di Renfield interpretato da Tom Waits). Più che un semplice horror d'autore, la pellicola è un mélo definitivo («Ho attraversato gli oceani del tempo per trovarti»), che si tinge dei toni cupi della fiaba nera nella sua struggente visione romantica incentrata su Amore e Morte. Indimenticabile Gary Oldman. Magistrali contributi tecnici, tra i quali spiccano la fotografia di Michael Ballhaus, la colonna sonora di Wojciech Kilar e i costumi di Eiko Ishioka, premiati con l'Oscar così come trucco e montaggio sonoro. Straordinario.
Dracula morto e contento (1995)
Ultima, debole, opera di Mel Brooks, che dopo aver parodiato quasi tutti i classici generi hollywoodiani (western, horror, avventura, thriller, muto), torna alla presa in giro, questa volta dedicandosi al mito di Dracula. Il confronto con quella perla assoluta di Frankenstein Junior (1974) è a dir poco impietoso, ma qualche momento divertente non manca, soprattutto grazie alla presenza di Leslie Nielsen. Ezio Greggio, amico di Brooks, interpreta lo strampalato cocchiere all'inizio del film.
Dracula: Pages From a Virgin's Diary (2002)
Se pensavate che non avesse più senso fare un film su Dracula all'inizio del nuovo millennio… ricredetevi. Tra i migliori risultati della carriera di Guy Maddin, Dracula: Pages From a Virgin's Diary non assomiglia a nessun'altra rappresentazione del mondo dei vampiri realizzata nella storia della Settima arte. Più che al romanzo di Bram Stoker, il film prende ispirazione da una rappresentazione teatrale di Mark Godden, coreografata dal Royal Winnipeg Ballet. Accompagnato dalle note soavi di Gustav Mahler, il risultato è così un film-balletto dove immagini e suoni danzano all'unisono, senza bisogno di alcuna parola. Maddin, qui all'apice della sua creatività, ha realizzato un'opera fortemente sperimentale che utilizza le tecniche tipiche del cinema muto (mascherini, filtri colorati, didascalie) secondo la precisa idea di rilettura del linguaggio cinematografico tipica del suo autore. Il regista canadese non si è limitato, però, all'aspetto estetico ma, a modo suo, ha dato vita a una pellicola fortemente politica, in cui si va a enfatizzare la xenofobia dei personaggi nei confronti del vampiro (non a caso interpretato da un attore cinese). È un Dracula androgino, sensuale e misterioso, ma tremendamente diverso e per questo impossibile da accettare. Vincitore di diversi premi internazionali, tra cui quello per il miglior film al Festival di Sitges. Una vera e propria esperienza di visione, assolutamente imperdibile.
«Nessuno può sapere, se non dopo una notte di patimenti, quanto dolce e prezioso al cuore e agli occhi possa essere il mattino» (Jonathan Harker)
Andiamo a ripercorrere i 10 film cult con al centro il mitico conte della Transilvania, in un viaggio all'ultimo morso che copre 80 anni di storia del cinema.
Nosferatu – Il vampiro (1922)
Liberamente ispirato al romanzo Dracula di Bram Stoker (cambiando i nomi dei personaggi per eludere il pagamento dei diritti d'autore), Nosferatu è una vera e propria sinfonia dell'orrore (come enunciato nel titolo originale) e uno dei più alti risultati dell'estetica espressionista. È proprio attraverso lo stile, con un uso insolito delle inquadrature e audaci soluzioni visive che F.W. Murnau costruisce un immaginario spettrale, inquietante e indimenticabile. Capolavoro metafisico, permeato da un costante senso di morte e di sospensione onirica, ritratto allucinato di un'umanità agonizzante, inerme e fragile, predisposta ad essere sopraffatta dal male. Straordinaria la prova di Max Schreck nei panni del conte Dracula (diventato qui Orlok). Citatissimo all'interno dei generi più disparati, rimane un monumento cinematografico assolutamente imprescindibile.
Dracula (1931)
Diretto da Tod Browning (regista del capolavoro Freaks del 1932), Bela Lugosi, chiamato a sostituire Lon Chaney, stroncato da un cancro nel 1930, ha dato corpo alla caratterizzazione del conte più longeva e iconica di sempre: cappa, brillantina e infinita eleganza hanno cominciato da qui in avanti a caratterizzare l'ambiguo personaggio, un look impeccabile riproposto più avanti anche dal Dracula di Christopher Lee (con l'aggiunta dei canini aguzzi) e dagli innumerevoli epigoni. L'attore magiaro è letteralmente il film, grazie a una indimenticabile presenza scenica giocata sullo sguardo ipnotico e su una serie di battute pronunciate con il duro accento slavo che lo contraddistingue («Spero mi scuserete se non mi unisco a voi, ma ho già cenato e non bevo mai... vino»). Meraviglia.
Dracula il vampiro (1958)
Dopo il successo di La maschera di Frankenstein (1957), alla Hammer si pensò di ripescare uno degli altri mostri Universal e affidarne la rilettura delle gesta al bravo Terence Fisher, giocandosi l'unica star della casa, Peter Cushing, nel ruolo del protagonista. Prende così avvio il progetto di Dracula il vampiro (reintitolato negli Usa Horror of Dracula per evitare confusione con la pellicola di Tod Browning), che vede la celeberrima cappa affidata all'altissimo e allora sconosciuto Christopher Lee: per l'attore londinese è l'inizio di una gloriosa carriera che lo vedrà vestire numerose altre volte i neri panni del vampiro. Molti sono gli elementi di distacco dalla tradizione e dall'opera di Bram Stoker che questa trasposizione offre: in primo luogo, proprio la figura del Conte, non più un nobile di bell'aspetto come quello di Lugosi o un tragico innamorato come il Nosferatu (1922) di Murnau, ma una creatura ferina, carnale, assetata dello stesso sangue che ne inietta lo sguardo, vivificato dalla potenza quasi posticcia del Technicolor.
Dracula cerca sangue di vergine... e morì di sete!!! (1974)
Diretto da Paul Morrissey su idea di Andy Warhol (anche produttore), con la collaborazione di uno dei massimi pionieri del B-movie all'italiana, Anthony Dawson alias Antonio Margheriti, che si limitò tuttavia a integrare qualche ripresa e lavorare sul 3D, è il secondo film che il regista underground della trilogia con Joe Dallesandro Flesh (1968), Trash (1970) e Heat (1972) realizzò in Italia dopo Il mostro è in tavola… barone Frankenstein (1973). Il risultato è un curioso esperimento d'epoca che si prende consapevolmente e deliberatamente poco sul serio, giocando sull'horror come pretesto per inanellare una rivisitazione della figura del vampiro più celebre di sempre che aspira chiaramente a diventare di culto, soprattutto attraverso trovate strampalate e soluzioni dal forte impatto visivo dal sapore granguignolesco. Il divertimento sornione è garantito, più fragile invece la dimensione dell'allegoria politico-sociale, che pure c'è e non è affatto secondaria. Gioiosamente oltre che ingenuamente imperfetto, rivisto oggi sembra una specie di Roger Corman aggiornato al tempo della controcultura. Memorabile Udo Kier.
Dracula (1979)
Quella del regista britannico John Badham è una trasposizione cinematografica curata nelle atmosfere e nelle scenografie, forse un po' troppo povera (esangue, verrebbe da dire) sul versante strettamente horror, seppur filologica nel suo attingere all'immaginario vampiresco. In realtà, si tratta di una scelta coerente con l'idea di portare sullo schermo un Dracula carico di charme e vellutata sensualità, che segna la netta superiorità del vampiro rispetto ai banali borghesi e perbenisti inglesi di provincia. Perfetto, in questo senso, il carismatico Frank Langella. Suggestivo e raffinato, con il plus della presenza di Laurence Olivier nella parte del professor Van Helsing. Fotografia di Gilbert Taylor, musiche di John Williams.
Nosferatu – Il principe della notte (1979)
Concepito dal regista come un omaggio al vecchio Nosferatu – Il vampiro (1922) di Friedrich Wilhelm Murnau, simbolo dell'epoca d'oro dell'espressionismo tedesco, Nosferatu – Il principe della notte ambisce a ricoprire lo stesso ruolo nell'ambito del "Nuovo cinema tedesco", movimento cinematografico di cui Werner Herzog era considerato alfiere e che alla fine degli anni '70 viveva il suo periodo di massimo splendore. Il risultato è un elegante e lugubre horror d'autore, dove l'atmosfera romantica, il tema del viaggio e la Natura ricoprono un ruolo preponderante rispetto ad altre trasposizioni sul grande schermo del romanzo di Bram Stoker. Herzog sposta l'ambientazione in Olanda, cita i pittori fiamminghi nell'uso della luce e nella scenografia di ascendenza gotica (premiata con l'Orso d'argento a Berlino) e, soprattutto, riesce a domare Klaus Kinski, che regala alla storia del cinema uno dei vampiri più profondi, cupi e soli di sempre. Musiche dei Popol Vulh e fotografia di Jörg Schmidt-Reitwein.
Fracchia contro Dracula (1985)
Pur condividendo il medesimo personaggio, Fracchia contro Dracula non può essere considerato un seguito “ufficiale” di Fracchia la belva umana (1981): è soprattutto un tentativo di sfruttare in parallelo il successo del (simile) personaggio di Fantozzi, interpretato dallo stesso Paolo Villaggio. Ed è proprio con la saga di quest' ultimo che si ha un curioso crossover visto che il fantomatico acquirente del castello è nientemeno che il rag. Filini, interpretato da Gigi Reder. Tra rimandi a Bram Stoker e al cinema horror classico, il film regala più di una genuina risata e qualche citazione cinefila del tutto inaspettata per un prodotto sulla carta meramente triviale, risultando un'operazione tutto sommato godibile, a patto di partire con aspettative non molto alte... Colonna sonora di Bruno Zambrini e fotografia di Luciano Tovoli (!).
Dracula di Bram Stoker (1992)
Dopo una serie di piccoli progetti, negli anni Ottanta, caratterizzati da difficoltà finanziarie e da compromessi con le case di produzione, Francis Ford Coppola centra il grande successo al botteghino con un'opera tra le più sperimentali della sua filmografia. Il suo Dracula è infatti un trionfo visivo, virtuoso e debordante, dove sinuosi voli della macchina da presa si abbracciano a dissolvenze, filtri, ombre espressioniste e un gusto estetico quasi postmoderno, che fonde l'immaginario horror classico con atmosfere preraffaelite e addirittura il cyberpunk (nel personaggio di Renfield interpretato da Tom Waits). Più che un semplice horror d'autore, la pellicola è un mélo definitivo («Ho attraversato gli oceani del tempo per trovarti»), che si tinge dei toni cupi della fiaba nera nella sua struggente visione romantica incentrata su Amore e Morte. Indimenticabile Gary Oldman. Magistrali contributi tecnici, tra i quali spiccano la fotografia di Michael Ballhaus, la colonna sonora di Wojciech Kilar e i costumi di Eiko Ishioka, premiati con l'Oscar così come trucco e montaggio sonoro. Straordinario.
Dracula morto e contento (1995)
Ultima, debole, opera di Mel Brooks, che dopo aver parodiato quasi tutti i classici generi hollywoodiani (western, horror, avventura, thriller, muto), torna alla presa in giro, questa volta dedicandosi al mito di Dracula. Il confronto con quella perla assoluta di Frankenstein Junior (1974) è a dir poco impietoso, ma qualche momento divertente non manca, soprattutto grazie alla presenza di Leslie Nielsen. Ezio Greggio, amico di Brooks, interpreta lo strampalato cocchiere all'inizio del film.
Dracula: Pages From a Virgin's Diary (2002)
Se pensavate che non avesse più senso fare un film su Dracula all'inizio del nuovo millennio… ricredetevi. Tra i migliori risultati della carriera di Guy Maddin, Dracula: Pages From a Virgin's Diary non assomiglia a nessun'altra rappresentazione del mondo dei vampiri realizzata nella storia della Settima arte. Più che al romanzo di Bram Stoker, il film prende ispirazione da una rappresentazione teatrale di Mark Godden, coreografata dal Royal Winnipeg Ballet. Accompagnato dalle note soavi di Gustav Mahler, il risultato è così un film-balletto dove immagini e suoni danzano all'unisono, senza bisogno di alcuna parola. Maddin, qui all'apice della sua creatività, ha realizzato un'opera fortemente sperimentale che utilizza le tecniche tipiche del cinema muto (mascherini, filtri colorati, didascalie) secondo la precisa idea di rilettura del linguaggio cinematografico tipica del suo autore. Il regista canadese non si è limitato, però, all'aspetto estetico ma, a modo suo, ha dato vita a una pellicola fortemente politica, in cui si va a enfatizzare la xenofobia dei personaggi nei confronti del vampiro (non a caso interpretato da un attore cinese). È un Dracula androgino, sensuale e misterioso, ma tremendamente diverso e per questo impossibile da accettare. Vincitore di diversi premi internazionali, tra cui quello per il miglior film al Festival di Sitges. Una vera e propria esperienza di visione, assolutamente imperdibile.