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Netflix d'essai: in streaming il grande cinema scandinavo di Dreyer, Stiller e Sjöström
Non solo serie TV alla moda e nuove uscite cinematografiche (spesso di livello non eccelso, per usare un eufemismo). Con l'obiettivo di spostare il focus della proposta Netflix cercando qualcosa "fuori dal consueto" nel calderone del suo catalogo, orientato principalmente a prodotti di facile consumo da vedere sul divano tra amici con il cartone della pizza sulle gambe, siamo andati a scovare un pugno di imperdibili titoli d'essai che sono quanto di più lontano ci sia dai film commerciali solitamente associati alle offerte in streaming.

E allora ecco il salotto di casa trasformarsi nell'esclusiva location di una retrospettiva da far impallidire i festival europei più blasonati. Sembra incredibile, ma su Netflix è possibile avvicinarsi alle opere di Carl Theodor Dreyer, Mauritz Stiller e Victor Sjöström. Tre maestri assoluti del cinema scandinavo (il primo danese, il secondo finlandese e il terzo svedese) che hanno scritto la storia della Settima arte di ogni tempo. Sei film muti di straordinaria bellezza, per (ri)scoprire un patrimonio culturale di inestimabile valore.

6. Ingeborg Holm (1913)


Sven (Aron Lindgren) ha una vita felice con la sua famiglia, composta dalla moglie Ingeborg (Hilda Borgström) e dai tre figli. Dopo aver avviato un'attività commerciale, l'uomo si ammala di tubercolosi e muore. Per Ingeborg sarà l'inizio di un incubo da cui è impossibile svegliarsi.

Primo film importante del grande Victor Sjöström, Ingeborg Holm è tratto da un'opera del drammaturgo Nils Krok: il regista ne riprende la struttura dando vita a un duro dramma strappalacrime, spietato e commovente. Le lunghe inquadrature danno alla vicenda un ritmo particolarmente meditativo, in grado di approfondire al meglio la psicologia femminile della protagonista. Diverse le sequenze strazianti, a partire dal momento in cui Ingeborg Holm (ottima prova di Hilda Borgström) è costretta a dare i suoi figli in adozione ad altre famiglie. La mano di Sjöström è già dura e raffinata allo stesso tempo.

5. C'era un uomo (1917)


Storia del pescatore Terje Vigen (Victor Sjöström) che, durante le guerre napoleoniche, si avventura in mare per sfamare moglie e figlia. Arrestato, finisce in prigione fino alla fine del conflitto. Una volta tornato a casa scoprirà che la sua famiglia è stata distrutta.

Prendendo spunto da una celebre opera di Henrik Ibsen, Victor Sjöström ha costruito un potente dramma morale incentrato su amore, povertà, guerra e vendetta. Struggente e spietato, è il ritratto di un uomo inizialmente felice che vede la sua vita andare lentamente in piccoli pezzi: una storia simile a quella che il regista aveva diretto nel suo primo lavoro importante, Ingeborg Holm (1913), in cui la protagonista era però una donna. In questo caso, Sjöström conferma le sue fini doti di psicologo dei sentimenti umani e dimostra anche le sue ottime qualità attoriali.

4. I proscritti (1918)


Islanda. Un vagabondo (Victor Sjöström), evaso dal carcere poco tempo prima, va a lavorare nella fattoria di una ricca vedova (Edith Erastoff) di cui s'innamora, ricambiato. Un ammiratore della donna, per vendicarsi, scopre e le rivela il passato dell'uomo: i due saranno costretti a fuggire per scappare dalla polizia.

Victor Sjöström trae ispirazione dal romanzo omonimo di Johann Sigurjonsson accentuandone lo spessore grazie al suo rigoroso stile cinematografico. Quello che più conta in questo dramma senza speranza sono gli ambienti e gli inospitali e sublimi paesaggi islandesi, che sommergono l'essere umano rendendone impossibile l'esistenza. Come nella maggior parte dei film precedenti del regista svedese, al centro della scena c'è un nucleo familiare, apparentemente tranquillo, la cui vita viene sconvolta da un fatto tragico che dà il via a una serie di terribili conseguenze. Ottima prova attoriale dello stesso Sjöström che si conferma interprete di struggente intensità.

3. Il tesoro di Arne (1919)


Nella seconda metà del Cinquecento, tre mercenari scozzesi rubano un forziere appartenente al signor Arne (Hjalmar Selander), uccidendo lui, una delle sue due figlie e incendiando la fattoria. La figlia sopravvissuta, Elsalill (Mary Johnson), qualche tempo dopo s'innamora di uno dei tre assassini.

Tratto dal romanzo di Selma Lagerlöf, si tratta di un tipico dramma morale in salsa scandinava degli anni Dieci del Novecento. Al centro del film di Mauritz Stiller un dilemma impossibile da risolvere in cui la protagonista si trova davanti a un bivio: da un lato il sentimento che prova per il suo amato; dall'altro la giustizia e il desiderio di vendicarsi dell'assassino della sua famiglia. Ricco sul piano dei contenuti, Il tesoro di Arne presenta anche diversi interessanti guizzi formali: dall'incendio alla processione finale delle donne vestite di nero, che ha ispirato persino Sergej Ėjzenštejn per Ivan il terribile (1944). Come nella maggior parte dei lungometraggi nordici del periodo, il maestoso paesaggio circostante (in questo caso innevato e ghiacciato) influenza le azioni dei personaggi, troppo deboli per poterne contrastare la potenza.

2. Verso la felicità (1920)


Irene (Tora Teje), moglie trascurata dal marito professore di entomologia (Anders de Wahl), è corteggiata da diversi uomini, tra cui uno scultore di nome Preben (Lars Hanson). Nel frattempo, il marito sviluppa un malizioso interesse per la giovane nipote Marte (Karin Molander).

Dopo il drammatico Il tesoro di Arne (1919), Mauritz Stiller dimostra di saperci fare anche con la commedia: prendendo spunto da una pièce di Ferenc Herczeg, il regista costruisce una pellicola effervescente che, come si può facilmente evincere dalla trama, fece scandalo al momento dell'uscita in sala, soprattutto per una sequenza finale particolarmente distante dalla morale cinematografica tipica dell'epoca. Cinico e ricco di sarcasmo, il film non soffre di alcun calo e colpisce per i “battibecchi muti” tra i diversi personaggi in scena. Indubbiamente un modello per la commedia sofisticata che prenderà piede negli anni Trenta, grazie all'introduzione del “parlato”.

1. La vedova del pastore (1920)


Un giovane predicatore (Einar Röd) e la sua compagna (Greta Almroth) giungono in un villaggio rurale con la speranza di occupare il posto vacante di pastore e sposarsi. Ottenuto l'incarico, il giovane scopre che la tradizione locale gli impone di sposare l'anziana vedova del precedente presbitero.

Secondo lungometraggio di Carl Theodor Dreyer, e prima sua opera fortemente influenzata dagli scenari naturalistici dei paesaggi nordici. Ambientato nella Norvegia del 1600 e ispirato al cinema di Victor Sjöström e Mauritz Stiller, il film fu girato da Dreyer con maniacale cura per il dettaglio nelle case museo di Maihaugen, vicino Lillehammer. La ricostruzione dell'epoca è studiata fin nei minimi particolari, dai costumi agli arredi, alle suppellettili. Pienamente riuscita la caratterizzazione dei tre personaggi principali, tre volti di una stessa mutilazione, imposta dal costume e dalla tradizione. Come molti dei personaggi del cinema di Dreyer, il pastore, la sua giovane compagna e l'anziana vedova denunciano una condizione di libertà mutilata in nome della cultura dominante del tempo in cui vivono. Li sostiene, anche nelle privazioni e nella clandestinità, solo la forza dell'amore. L'austera, solenne ed enigmatica vedova Margrethe (Hildur Carlberg) è il primo grande personaggio femminile del cinema di Dreyer. Imperdibile.
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