«L’immortale è tornato»
Con questa promessa, presagio e profezia, si era concluso il film spin-off di Gomorra, dove nell’ultima scena Gennaro Savastano incontrava un redivivo Ciro Di Marzio.
Da questa sconvolgente, ma per alcuni prevedibile, rivelazione riparte l’ultima attesa stagione del serial italiano più visto e apprezzato nel mondo. Questo quinto capitolo torna alle radici, al nucleo che ha dato inizio e poi sorretto l’epopea camorrista dal 2014: i due protagonisti Ciro e Genny. La loro amicizia, la loro rivalità: Gomorra, infine, si riduce a questo. Un amore fraterno, una battaglia fratricida, una guerra civile. Chi l’avrà vinta tra i due? Questo annoso dilemma è il vero motore che fa crescere e progredire l’ultima stagione.
Trionferà Genny, prima rampollo viziato di un impero criminale e adesso temuto e potente re della Camorra di Scampia? Oppure Ciro l'immortale, assurto ora a figura messianica per il suo popolo, in grado di trasformare in martire chi in lui vede un salvatore dal giogo del potere dei Savastano? È una battaglia che non si gioca solo nelle piazze di spaccio e tra i dismessi palazzi di Secondigliano, ma dimora anche e soprattutto nella coscienza di chi vive quei luoghi. Romolo contro Remo, o meglio, Cesare, rivoluzionario dalla parte del popolo, contro Pompeo, restauratore del potere gerarchico. In questo caso però, a vincere sarà sempre e comunque la piaga del crimine camorristico, il veleno stratificato nelle viscere della realtà campana contro cui la serie e, prima ancora, il film e il romanzo hanno voluto scagliarsi.
Se però le prime due stagioni di Gomorra mantenevano una spietata lucidità che dipingeva i suoi protagonisti come mostruosità con cui è impossibile empatizzare, dalla terza stagione questo distacco era andato via via affievolendosi, lasciando spazio a una maggiore immedesimazione ed empatia. Nella quarta stagione, poi, era stato introdotto il personaggio del magistrato Ruggieri, colui che forse per una volta avrebbe potuto rappresentare le forze del bene, che attraverso la legge avrebbe potuto minare la stabilità degli efferati criminali protagonisti. Adesso invece, in questi ultimi dieci episodi dello show, le potenzialità del giudice non vengono sfruttate appieno, facendo scomparire lentamente la critica sociale, insieme al suo personaggio.
Rimane quindi spazio solo per l’azione, per i colpi di scena e gli scontri spettacolari. Su questo fronte Gomorra 5 sicuramente non delude, la carne al fuoco è molta, gli eventi abbondanti e spesso anche incalzanti e inaspettati. Vengono introdotte nuove figure carismatiche, in particolare due: O’ Maestrale e O’ Munaciello. Il primo, già nominato alla fine della quarta stagione, è un monolitico (forse troppo) caporegime che sostiene Genny nello scontro ancora aperto con la famiglia rivale dei Levante. Il secondo, invece, è di gran lunga una delle figure più affascinanti e intriganti di questo nuovo ciclo di episodi. Soprannominato “il piccolo monaco”, per la statura e il taglio di capelli, appare come una figura ascetica nel suo fare, contemplativo e austero. In più, si rivela come un furbo stratega in grado di sapersi destreggiare saggiamente nei giochi pericolosi dei suoi competitori. Grazie al Munaciello, ma anche alle sembianze quasi cristologiche che il personaggio di Ciro arriva a incarnare per i suoi seguaci, questa quinta stagione di Gomorra assume più che mai atmosfere mistiche, affondando forse solo in superficie le sue radici nel folklore napoletano, reinterpretandolo in chiave moderna e criminale.
Guidato anche dalla sua estetica della “sacralità al neon”, illuminato da croci al led che brillano nella notte, questo stile visivo è portato al suo apice grazie alla mano matura dei due registi. Si parla dell’ormai confermato talento di Claudio Cupellini, ma anche delle crescenti capacità registiche dell’interprete di Ciro, Marco D’Amore, che dirige ben sei episodi su dieci. Il suo percorso dietro la macchina da presa era cominciato sul set di Gomorra 4, per poi proseguire con il film L’immortale e, infine, maturare in questa ultima stagione, dove dimostra talento sia per alcune scene d’azione sofisticate, che per la scelta di inquadrature più estetiche. Si può dire che D’Amore sia ormai tra i maggiori autori dello show, essendone protagonista, supervisore e, infine, regista. Questa quinta stagione è più che mai quella di Ciro/Marco.
Così termina il percorso Gomorra, iniziato nel 2014. La conclusione non è esente da difetti, alcuni passaggi sono troppo bruschi, altri un po’ telefonati, però Gomorra 5 ha il pregio di non tradirsi, di non snaturarsi, riducendosi anzi alla sua essenzialità: il rapporto tra i due protagonisti, Ciro e Genny, cresciuti ed evolutisi sul piccolo schermo insieme alla serie italiana che ha più fatto parlare di sé oltreoceano.
Hanno creato un precedente, un mito, scomodo, spesso scorretto e immorale, ma pur sempre un risultato audiovisivo di alto livello a cui aspirare e che, infine, non si è mai veramente allontanato dalle sue origini, rimanendo fedele a se stesso.
Cesare Bisantis