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Hanno ucciso l’uomo ragno – La favola musicale degli 883 sulle sponde del Ticino
«Ne parlavamo tanto tanti anni fa...»


Questa frase, una sorta di versione anni ’90 e pavese di C’era una volta, è a tutti gli effetti per raccontare una favola di provincia, quella di due ragazzi nati e cresciuti a Pavia (una città dove d’estate «la gente preferisce morire che rimanerci») che, descrivendo la loro realtà, sono riusciti a riservarsi e riservarle un posto privilegiato nella memoria collettiva: Max Pezzali e Mauro Repetto. Gli 883, che a distanza di più di 30 anni rimangono stabili nel raccontare l’universalità dei sentimenti nella loro semplicità. Dopotutto, è proprio Repetto a esplicitarlo nella serie.


«Noi dobbiamo cantare come parliamo, Max»



La formula magica è stata quella: la semplicità del linguaggio e l’immediatezza dei contenuti, privilegiando il divertimento, la quotidianità e la componente emotiva, parlando di amicizia e d'amore. Le stesse coordinate che guidano Hanno ucciso l’uomo ragno – La leggendaria storia degli 883, serie di Sydney Sibilia (regista dei primi due episodi e produttore insieme a Matteo Rovere e alla loro Grøenlandia) in esclusiva su Sky con protagonisti Elia Nuzzolo (Max Pezzali) e Matteo Oscar Giuggioli (Mauro Repetto). Max e Mauro, «in motorino sempre in due», quel cinquantino che porta via dai guai e che dal primo banco di scuola li ha portati per tutta la provincia fino alla cantinetta dove comporre i loro pezzi. Max e Mauro, che hanno «sempre il sogno nel cervello di una moto per cavallo» e che grazie alla passione comune per le Harley hanno trovato il nome 883 da presentare a Claudio Cecchetto (Roberto Zibetti) e Pier Paolo Peroni (Edoardo Ferrario). Max e Mauro, il melanconico e l’entusiasta, l’inverno e l’estate, i sognatori. Max e Mauro, «dov’è che vuoi che andiamo con ste facce io e te?», e che ancora oggi fanno registrare un’impennata di ascolti su ogni piattaforma e fare sold out ad ogni concerto. Non c’è da stupirsi, quindi, dell’enorme successo di una serie capace di riavvolgere le lancette e trasportare gli spettatori nella Pavia degli anni ’90, con tutte le sue abitudini, il suo respiro lento, la sua ripetitività, rappresentando alla perfezione quello che Max ha scritto anni dopo in Tutto ciò che ho: «Avrei voluto andare via quando questa cittadina l’ho sentita stretta addosso, non la credevo più mia. Avrei voluto stare anch’io in un posto dove il mio destino non fosse già scritto».
Una Pavia dove non può mancare la Jolly Blue (per fortuna non il trascurabile e presto dimenticato film del 1998) e soprattuto Cisco (Davide Calgaro), quello che «passa in bagno un’eternità» e che «si alza dalla sedia del bar chiuso», l’amico con cui tirare tardi a parlare sul Ponte Coperto, l’amico diretto con cui poter condividere i sogni anche se su frequenze totalmente differenti. Ma Pavia è anche il luogo dove trovare l’amore, il primo grande amore. 


«Tu per tutti noi sei la più bella ma impossibile»


Lei, Silvia, la ragazza più bella del liceo dal nome evocativo di leopardiana memoria, musa ispiratrice e che per stessa dichiarazione di Max Pezzali rappresenta tutte le donne della sua vita, è interpretata da Ludovica Barbato. Silvia, l'unico personaggio mai realmente esistito della serie, a cui «piacciono le birre scure» e che mangia la pizza solo con le mani, la creatura angelica e inarrivabile che pian piano si trasforma in amica fidata e in grande amore, personaggio centrale nella narrazione capace di guadagnare spazio e spessore episodio dopo episodio. L’amore è una tematica centrale nella discografia degli 883 ed è per questo che Sibilia decide di far ruotare tutto attorno a lei. A Silvia. La donna...


 «... il sogno e il grande incubo»




Il grande incubo, quello di rimanere intrappolati in una realtà soffocante, con una madre che gli dice «dai, come fai tutte le volte a non svegliarti mai». La serie indaga anche questa dimensione claustrofobica familiare, in cui lo scontro generazionale tra pragmatismo e desiderio è frutto di un’incompatibilità profonda. Ma se si dovesse cercare una tematica centrale del prodotto di Sibilia (al di là della musica e dell'amicizia) è proprio quella del sogno, declinato sotto diversi aspetti: sogno anelato, sogno coronato, sogno inseguito, sogno infranto. Ed è per parlare di desideri infranti che nasce quello che, probabilmente, è il pezzo più famoso degli 883, Hanno ucciso l’uomo ragno, metafora di tutti i sogni che sono stati portati via e di come sia necessario lottare con tutte le proprie forze per mantenere vivi i propri.   


«Stessa storia, stesso posto, stesso bar...»

Parlare di Hanno ucciso l’uomo ragno come di una serie nostalgica è solo parzialmente reale. Quello che è indubbio è che si tratta di un racconto emotivamente coinvolgente, una favola di provincia leggera capace di toccare le corde emotive di chi quegli anni li ha vissuti (anche solo di sfuggita) e che troverà tante chicche – dalle figurine degli Sgorbions ai primi cellulari, passando per i poster delle band appesi in camera o dalla prima apparizione di Max e Mauro con Jovanotti, arrivando a rimandi visivi delle canzoni (il due di picche preso dalla cassiera, ad esempio) – ma anche chi è nato successivamente e quel periodo l’ha sentito raccontare vivendolo di riflesso. Emozionandosi. Come quando si ascoltano le fiabe. Come quando si ascolta una canzone degli 883.


«Il tempo passa per tutti lo sai. Nessuno indietro lo riporterà, neppure noi». Sibilia ci è riuscito, anche se solo per 8 episodi. Per ora.

Lorenzo Bianchi
Maximal Interjector
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