Sofisticato umorista, attento osservatore della realtà e malinconico narratore delle miserie umane: pochi registi hanno saputo raccontare con acume e irresistibile ironia le nevrosi e le inquietudini dell’uomo contemporaneo come il grande Woody Allen.
Cinefilo appassionato, capace di unire rimandi e autori come Ingmar Bergman, Federico Fellini e Michelangelo Antonioni a suggestioni letterarie di varia natura (spaziando da Dostoevskij a Kafka, passando per Cechov e Strindberg), Allen ha usato la sua amata New York come metafora di un mondo caotico, complesso e al tempo stesso sorprendente e affascinante, dove la vita di ogni individuo è costellata da vicende sempre al confine tra farsa e tragedia, ma che merita in ogni caso di essere vissuta a pieno.
In attesa di vedere la sua ultima fatica Rifkin's Festival, in uscita nei cinema il 6 maggio, ecco i cinque migliori film di Woody Allen secondo il nostro giudizio:
5) Harry a pezzi (1997)
La più radicale e pessimistica riflessione esistenziale di Allen, consapevole di attraversare un tangibile appannamento creativo, è un’analisi frammentaria delle proprie nevrosi, del proprio forsennato narcisismo, del proprio intellettualismo che stride con le esigenze del pubblico “popolare”. Antinarrativo, rapsodico, decostruito, inventivo nelle trovate fantastiche (da antologia la discesa all’Inferno), nel montaggio sincopato e nella capacità di sovrapporre realtà e meta-finzione, Harry a pezzi è un’opera in cui la trivialità della parola non è altro che il (disperato) bisogno di sincerità di un autore che sente il peso dell’età che avanza. Finale amaro, tra autocelebrazione e rassegnata malinconia.
4) Un'altra donna (1988)
Viaggio nei meandri della memoria alla ricerca del tempo perduto, delle occasioni mancate, dei rimpianti e dei ricordi di una donna impermeabile ai sentimenti più profondi (e autentici), incapace di lasciarsi andare alle emozioni. Gravidanze interrotte, vecchi rancori, adulteri, matrimoni fallimentari sono il doloroso controcanto di un effimero benessere consumato nell’Upper East Side di Manhattan. Toccante ritratto femminile, capace di scavare nel profondo un universo segnato dall’impossibilità di raggiungere la felicità, nella consapevolezza, però, che non è mai troppo tardi per (ri)cominciare a vivere. Austero, riflessivo, onirico, percorso dalle suadenti note della composizione per pianoforte Gymnopédies I di Erik Satie e illuminato dalle luci del maestro Sven Nykvist.
3) Crimini e misfatti (1989)
Uno dei risultati più alti nell’itinerario cinematografico di Allen. Attraverso una parabola esistenziale complessa e articolata che indaga il rapporto fede/ragione, i misteri della psiche umana, la cecità dell’uomo e la ricerca del perdono cristiano, il regista newyorkese ha tracciato una profonda riflessione che richiede la partecipazione proattiva dello spettatore, impossibilitato a subire passivamente la natura degli eventi messi in scena, perché per tutta la vita siamo messi di fronte a decisioni angosciose, a scelte morali di differente entità, proprio come i protagonisti della fiction. Spiazzante, lucido, rigoroso, lontanissimo da riflessioni compiaciute o provocazioni gratuite.
2) Io & Annie (1977)
Maturazione artistica di un cineasta dall’indole comica, dietro la quale fa capolino una vena malinconica e sottilmente crepuscolare che ritornerà nei suoi film successivi. Spontanea, vitale, multiforme pellicola capace di restituire e integrare armoniosamente la minuziosa analisi di un rapporto di coppia segnato da piccoli traumi e repressioni infantili, la profonda riflessione su un’esistenza alienante (che comunque vale la pena di essere vissuta) e la testimonianza sincera di un’epoca e dei suoi costumi socio-culturali. Lo sconfinato affetto per i personaggi è sublimato dalla componente autobiografica che contraddistingue il film, autentica dichiarazione d’amore di Allen a Diane Keaton (all’anagrafe Diane Hall), compagna nella vita dal 1972 al 1978.
1) Manhattan (1979)
L’opera imprescindibile di Allen, probabilmente la più significativa. Atto d’amore per New York immerso in un clima nostalgico e sognante, una rapsodia ovattata in bianco e nero sull’impalpabile imprevedibilità delle relazioni sentimentali, coniugando adorabile ironia, rarefatto romanticismo e dissertazioni intellettuali da antologia. Un autentico modello di scrittura, che stupisce per l’assoluta naturalezza con cui si spinge in profondità nell’analisi dei sentimenti senza un’ombra di moralismo. Armonia audiovisiva elevata a componimento poetico in immagini, in cui le carezzevoli note di George Gershwin e le luci di Gordow Willis sublimano la magia senza tempo di una città che nessuno meglio di Allen ha saputo esaltare.