Riferimento assoluto nel cinema indipendente, John Cassavetes è stato un maestro nella resa visiva delle emozioni sul grande schermo, al punto da ergersi a modello e riferimento per moltissimi registi. Il catalogo italiano di Amazon Prime Video ha reso disponibili quattro titoli fondamentali della filmografia dell'autore americano, a partire dal suo film d'esordio, il rivoluzionario Ombre.
Ombre (1959)
Una specie di anno zero nel cinema americano underground alla vigilia dell'avvento degli anni sessanta, l'opera prima di John Cassavetes è una sinfonia jazz, ruvida e lacerata nella forma e ancora oggi impressionante nella compattezza estetica e nella direzione degli attori. Un cinema rapace di sguardi e di facce, girato come un flusso di coscienza tremante e montato con uno stile singhiozzante e tremendamente efficace. La recitazione è improvvisata sul set e l'uso della macchina da presa, rigorosamente a mano, fluido come non mai.
Volti (1968)
Prima vera espressione dell'approccio totalitario di John Cassavetes alla sua idea di cinema senza compromessi, costruita in questo caso su un girato dal minutaggio spropositato e su un lavoro al montaggio pluriennale e altrettanto immersivo. Il titolo esprime appieno la voracità dello sguardo del cineasta, forse la voce in assoluto più autarchica di tutta la New Hollywood, rispetto all'utilizzo dei primi piani e alla presa diretta quanto più ravvicinata possibile della recitazione degli attori.
Assassinio di un allibratore cinese (1976)
Forse il film più acido e sperimentale di John Cassavetes, il meno semplice dal punto di vista della ricezione e il più spinto sotto il profilo della ricerca sonora, cromatica, percettiva. Intorno a Ben Gazzara prende corpo un sottobosco simile a una ronda imperterrita, un caleidoscopio notturno più vicino a una jam session tra anime del Purgatorio che a un film di genere.
La sera della prima (1977)
John Cassavetes fa finalmente i conti frontalmente con la recitazione naturalista e col teatro, accogliendo fisicamente nel proprio cinema un'arte alla quale ha sempre dovuto moltissimo e dalla quale non ha mai smesso di farsi influenzare. Il palcoscenico è in questo caso il depositario di una verità morale che finisce inevitabilmente perduta nelle falsificazioni cui quotidianamente costringono i compromessi della realtà e i rapporti umani
Ombre (1959)
Una specie di anno zero nel cinema americano underground alla vigilia dell'avvento degli anni sessanta, l'opera prima di John Cassavetes è una sinfonia jazz, ruvida e lacerata nella forma e ancora oggi impressionante nella compattezza estetica e nella direzione degli attori. Un cinema rapace di sguardi e di facce, girato come un flusso di coscienza tremante e montato con uno stile singhiozzante e tremendamente efficace. La recitazione è improvvisata sul set e l'uso della macchina da presa, rigorosamente a mano, fluido come non mai.
Volti (1968)
Prima vera espressione dell'approccio totalitario di John Cassavetes alla sua idea di cinema senza compromessi, costruita in questo caso su un girato dal minutaggio spropositato e su un lavoro al montaggio pluriennale e altrettanto immersivo. Il titolo esprime appieno la voracità dello sguardo del cineasta, forse la voce in assoluto più autarchica di tutta la New Hollywood, rispetto all'utilizzo dei primi piani e alla presa diretta quanto più ravvicinata possibile della recitazione degli attori.
Assassinio di un allibratore cinese (1976)
Forse il film più acido e sperimentale di John Cassavetes, il meno semplice dal punto di vista della ricezione e il più spinto sotto il profilo della ricerca sonora, cromatica, percettiva. Intorno a Ben Gazzara prende corpo un sottobosco simile a una ronda imperterrita, un caleidoscopio notturno più vicino a una jam session tra anime del Purgatorio che a un film di genere.
La sera della prima (1977)
John Cassavetes fa finalmente i conti frontalmente con la recitazione naturalista e col teatro, accogliendo fisicamente nel proprio cinema un'arte alla quale ha sempre dovuto moltissimo e dalla quale non ha mai smesso di farsi influenzare. Il palcoscenico è in questo caso il depositario di una verità morale che finisce inevitabilmente perduta nelle falsificazioni cui quotidianamente costringono i compromessi della realtà e i rapporti umani