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La presentazione de La città proibita di Gabriele Mainetti al Cinema Arcadia di Melzo
domenica 16 marzo 2025 alle 21:30
Appare sereno Gabriele Mainetti, che con andatura dinoccolata si avvicina al grande schermo della sala Terra del cinema Arcadia di Melzo. Un evento speciale, quello di presentazione della sua ultima creatura audiovisiva, “La città proibita”, che necessita di un cinema speciale. Appare sereno Mainetti, e ne ha ben donde: d’altronde, il suo ultimo film funziona egregiamente. Un film ancora fortemente ancorato alla Città Eterna, a Roma, più precisamente il rione Esquilino. Un film in cui, nuovamente, il regista romano gioca sapientemente con due generi cinematografici solo all’apparenza inconciliabili: questa volta il “gongfu” movie e la commedia all’italiana. Co – sceneggiato e diretto dal cineasta classe ’76, già noto soprattutto per i precedenti “Lo chiamavano Jeeg Robot” (che quest’anno compie dieci anni di vita) e “Freaks Out” (del 2021), e sulla falsariga delle citate pellicole, il film osa con merito, e Mainetti, sprezzante dei rischi potenzialmente insiti in una scelta di genere così caparbia, recupera quanto di meglio appartiene alle arti marziali e a una commedia leggera ma dagli inevitabili rimandi all’oggi politico, fondendole in un corpo unico. Molti sono i punti di riferimento del regista, lodati e citati più o meno sommessamente in questa pellicola: Quentin Tarantino, Bruce Lee, William Wyler.

Due sono i passaggi più significativi dell’incontro tenutosi tra il pubblico in sala e il regista romano, solleticato dalle domande puntuali di Fiaba Di Martino di FilmTv. In primo luogo, Mainetti evidenzia il forte debito che sente di avere nei confronti dei cinema in genere e degli spettatori che li popolano quotidianamente. Dapprima, infatti, racconta di aver avuto più volte in passato l’opportunità di sceneggiare e dirigere prodotti da destinare al piccolo schermo, tra l’altro dalle potenziali rendite economiche più profittevoli di quanto possa assicurare l’uscita in sala. Tuttavia, si è sempre rifiutato di farlo: tanta, troppa la stima nei diretti confronti della settima arte. Stima che va di pari passo col rispetto che Mainetti mostra nei confronti degli avventori degli esercizi cinematografici: il suo diktat è, da sempre,  quello di restituire qualcosa di valido e nobile a coloro i quali decidono di investire il proprio tempo e il proprio denaro per vedere un film in una sala e non sul divano.

Quindi, imbeccato, il regista torna a parlare del modus putandi che soggiace alla creazione delle sue fatiche cinematografiche e alla scelta di una sempre peculiare contaminazione di genere. Centrale, da questo punto di vista, la chiosa, che riportiamo di seguito e che virgolettiamo perché estrapolata proprio dalla sua introduzione al film: “Io potrei avere una giara nella quale butto dentro vari generi cinematografici e ne tiro fuori uno… “Adesso è il momento del film di fantascienza!”... Però quest’armonizzazione, che di fatto è un’unione e non solo una contaminazione […] o un’attività di citazione che però non rimanda a un corpo unico, è possibile per me soltanto attraverso i personaggi”. I suoi personaggi vengono raccontati a tutto tondo, senza giudizi di sorta, così da diventare “veicoli emotivi” per lo spettatore, consentendogli di sospendere l’incredulità e di divertirsi.

Quindi, non possiamo che rendere merito a un autore che si ostina, a ragione, a portare nelle sale italiane dei film audaci e che, e in questo sottoscriviamo l’appunto di Wired, “è l’uomo che fa i film che non pensiamo possibili in Italia”: Gabriele Mainetti. 


Enrico Riziero
Maximal Interjector
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