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Master MICA - Analisi di "Her"
Gli studenti del Master in Management dell'Immagine, del Cinema e dell'Audiovisivo dell'Università Cattolica di Milano, hanno svolto delle interessanti analisi per il corso di Storia e scenari dell'immagine e dell'audiovisivo: le pubblichiamo con piacere sul nostro portale! Complimenti!

HER
di Chiara Modica De Mohac

Her, film del 2013 diretto e scritto dallo statunitense Spike Jonze, ha conquistato agli Oscar 2014, nonché ai Golden Globes, la statuetta per la miglior sceneggiatura originale che consta di 105 pagine. La stessa è stata ritenuta un capolavoro di dialoghi, immagini e contenuti, spesso lenti e ripetitivi come i movimenti interiori del protagonista, Theodore (Joacquin Phoenix), e della co-protagonista (Scarlett Johansson) che si manifesterà solo attraverso la voce, doppiata nella versione italiana da Micaela Ramazzotti. 
L’opera è stata anche premiata a Roma Film Festival, ai Critics Choice Award e a AFI Awards. In Italia al Box Office ha incassato nelle prime 6 settimane di programmazione 2 milioni di euro e 512 mila euro nel primo weekend.
Inoltre il 17 gennaio 2014 è stato pubblicato il trailer del documentario, tratto dal film, Love in the Modern Age realizzato da Lance Bangs, da molti anni collaboratore di Spike Jonze. Quest’opera mostra le reazioni al film di alcuni personaggi della cultura contemporanea in “a piece that explores relationships and love in our time”.
È bene precisare come il titolo originale Her sia stato tradotto in Lei allontanandosi dalla volontà autoriale atteso che “her” in inglese indichi l’aggettivo o il pronome possessivo femminile. Tale impropria traduzione ha comportato la perdita della ratio del titolo originale il cui intento era, e continua ad essere, sottolineare come Samantha non appartenga a nessuno ma si appartenga. Bisogna considerare questo aspetto come filo conduttore dell’opera.

1. The unknown place
La scena iniziale del film vede il protagonista Theodore a stretto contatto con la telecamera - e, quindi, con lo spettatore - in un primo piano di trenta secondi che ci rivela il fluire di un uomo all’interno di un ambiente del tutto asettico.
Appare chiaro come Jonze abbia voluto, sin dall’inizio, rivelare il fulcro del suo elaborato: analizzare da vicino le difficoltà di un uomo - Theodore - nella solitudine di un ambiente - la vita. Uno spazio anonimo denotato da un’atmosfera fredda e straniante che fa perdere allo spettatore il contatto, già nella prima scena del film, con la realtà.
Lo sfalsamento percettivo generato in chi osserva sarà un continuum nella narrazione del regista. Infatti nella seconda scena Theodore legge, o meglio detta, una serie di lettere, facendo illudere lo spettatore che siano lettere d’amore elaborate dallo stesso per una persona cara.
Tuttavia i mittenti sono uomini e donne che si affidano al protagonista, un mero ingranaggio di un ben più ampio meccanismo, perché incapaci - d’altronde come lui - di manifestare sentimenti. Lo spettatore, dunque, si sente spaesato poiché l’illusione che il protagonista abbia una sorta di profondità emotiva viene “hackerata” da una sceneggiatura altamente destabilizzante e da un ambiente privo anch’esso di qualsivoglia appiglio emotivo.
Buona parte dell’opera, viene filtrata da una velatura color seppia usata per offuscare lo spettatore che non solo si lascia, ingenuamente, convincere della realità della storia - crudamente verosimile - ma ancor di più si ritrova, inconsapevolmente, in una dimensione visibilmente alienante e cromaticamente surreale.
Lo spettrale incantesimo di cui è vittima chi guarda conduce all’accettazione di una realtà completamente distorta in cui, se da un lato, le apparecchiature avanzate sembrano potersi ricollegare ad un futuro non del tutto prossimo, dall’altro, gli abbigliamenti, le acconciature e l’uso del rapporto epistolare, sembrano ricordare gli anni ottanta - i primi - ed epoche ben più antiche – l’ultimo.
Tale sfalsamento logico-temporale aumenta l’idea di esser di fronte ad un luogo artificialmente costruito: un “unkown place”, per l’appunto, il cui risultato finale è confondere il pubblico difronte ad una realtà che spera non potere esistere ma teme potere essere molto più realistica di quanto immaginato.
Il connubio tra futuro e passato porta lo spettatore del presente a chiedersi se in realtà lo stesso non si trovi schiacciato dalle due dimensioni, proprio nel mezzo del più dirompente cambiamento tecnologico dell’“oggi”.

 2. Un’identità poco nitida 

2.1 Theodore e Samantha due identità distinte
Occorre sin da subito evidenziare come Jonze usi la forma per accentuare la crisi identitaria che perturba lo stato emotivo del protagonista e lo fa utilizzando una patina per la maggior parte dell’opera: quel fastidioso, e già citato, filtro color seppia che offusca la vista dello spettatore ponendo un velo tra quest’ultimo e il protagonista.
Questo escamotage stilistico si tramuta in un espediente sostanziale sulla personalità di Theodore anch’essa offuscata e poco nitida.
Dal punto di vista contenutistico, invece, la scena chiave che esplicita le fattezze identitarie del protagonista è quella in cui Theodore decide di istallare il sistema operativo OS1 per la cui creazione viene sottoposto ad una serie di domande.
All’esito di queste Theodore risulta una creatura non troppo socievole che si diletta passando ore davanti ad uno schermo o - più in generale - ad una realtà virtuale; è una creatura insicura che non vive la vita nel pieno delle sue potenzialità ma in una costante esitazione che non gli permette di valutare lucidamente lasciandosi assorbire dalle convinzioni altrui; è una creatura che cerca di evolversi e plagiarsi a piacimento del suo interlocutore.
Inoltre il protagonista opta, con esitazione, per una voce femminile del suo OS.
Da qui lo spettatore comprende che, con molte probabilità, il rapporto genitoriale materno sarà stato turbolento e, pertanto, la richiesta della voce femminile sorge dalla volontà di sopperire alla mancanza di una figura materna nella vita del protagonista. La voce che colma l’assenza è un tema che ritornerà anche nel rapporto tra il protagonista e l’OS1.
Viene creata Samantha, l’OS1 di Theodore, nome non datole dal protagonista ma auto programmato dalla stessa che afferma - risoluta - “I gave it to myself”.
La seconda azione che svolge Samantha è sistemare in modo funzionale il computer di Theodore creando un ordine al suo interno e dunque all’interno della mente del protagonista essendo il pc una proboscide fisica e sensoriale di quest’ultimo. Pare quindi che l’OS1 sia creato per ristabilire un ordine cognitivo nella vita di Theodore archiviando correttamente i file del suo computer come si archiviano i ricordi nella mente.

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D’altronde il tema dell’archiviazione è stato trattato anche dallo sceneggiatore Charlie Kaufman con il quale lo stesso Jonze ha collaborato in diverse opere e del quale si notano delle chiare influenze autoriali. Primo fra tutti il film “Se mi lasci ti cancello” che narra la storia di Joel e Clementine, due innamorati che decidono di rimuovere dalla mente ogni pensiero relativo alla loro relazione, oramai in declino.
Il tutto tramite una macchina modificatrice della memoria programmata per asportare ogni ricordo; tale pratica di rimozione risulta l’emblema di una vita frammentata per compartimenti stagno contenenti pensieri, emozioni e situazioni: la vita - come un computer che contiene dei file che formano la memoria dello stesso - è la somma di tante caselle sensoriali che nella loro integrità costituiscono l’essenza.
Allo stesso modo Theodore, pur di non vivere una vita fatta di un apparato sensoriale completo, si chiude in una realtà virtuale dove l’ossessione dell'archiviazione regna sovrana e dove Samantha decide per lui arredando/archiviando a suo piacimento i cassetti emotivi del pc - latamente inteso - di Theodore che, passivamente, subisce la volontà di un’ingerenza esterna che lo controlla dall’alto. 
Eppure tra i due nasce una storia d’amore vivendo di percezioni ed emozioni reali in una realtà surreale. Ma i due vivono? 
Probabilmente a vivere pienamente la sua realtà, per quanto virtuale, è Samantha che sfrutta in toto le potenzialità del suo pianeta tecnologico, a differenza di Theodore che non vuole vivere nella sua dimensione e vuole cercare qualcosa di rassicurante al di fuori di sé al fine di ottenere la certezza in ciò che – probabilmente in maniera voluta - certo non è: un sistema operativo. È quindi Theodore che si crea una realtà, o un’illusione di realtà, in cui regna una rincuorante certezza: l’impossibilità che quelle percezioni possano diventare epidermiche, dunque vivibili e, in definitiva, mortali. 

2.2 Theodore e Samantha due facce della stessa medaglia
Tuttavia, tali considerazioni valgono se si sposa l’idea che Samantha sia una creatura al di fuori di Theodore.
E se così non fosse? Se Samantha fosse la coscienza più profonda di Theodore e i due coincidessero nella stessa persona? È lei a crearsi così o lui? 
D’altronde è lui che la crea a sua immagine e somiglianza come fa Dio e, a ben vedere, è lo stesso Theodore a pronunciare le parole “I’ve never loved anyone like I loved you” il che suona allo spettatore quasi macabro ma acquista un suo significato se lo si intende come un amore autoreferenziale essendo Samantha la trasposizione virtuale del protagonista.
Theodore ama se stesso in preda al più che ardito narcisismo. 
La corrispondenza fisico-psichica tra i due trova giustificazione nel fatto che l’OS1 rappresenta ciò che Theodore non riesce ad essere ma in che in realtà nel profondo è. Il protagonista, infatti, riesce a firmare gli atti del divorzio con l’ex moglie Catherine, con cui non riusciva a separarsi, solo grazie a Samantha che gli permette di compiere quel salto, il suo salto. 
Theodore si lascia spronare da Samantha, e dunque da se stesso, riscoprendo la forza emotiva nascosta dentro di sé e trasmessa alla sua Lei tramite la creazione: Theodore è il creatore e, creando, si ricrea. 
Samantha dunque rappresenta la parte emotiva di Theodore che gli permette, paradossalmente, di vivere.

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Tale tema delle personalità multiple ed indefinite è già stato raccontato da Jonze e Kaufman nel precedente lungometraggio “Essere John Malkovic” con il quale è impossibile non fare un parallelismo. 
Il ruolo pregresso di burattinaio rivestito da Craig altro non è che il ruolo di Theodore che gestisce le emozioni delle persone cui sono indirizzate le sue lettere - come fa un burattinaio con i suoi burattini - in una finzione scenica l’una, sensoriale l’altra.
Dunque se da un lato torna il tema dell’archiviazione dei dati in senso fisico-strutturale in “Essere John Malkovic”, e in senso metaforico-virtuale in “Her”; dall’altro il problema identitario viene riproposto sotto altre e più astratte vesti.
In Essere John Malkovich i quattro personaggi insoddisfatti lottano per essere qualcun altro e per vivere una vita che non appartiene loro in una battaglia in cui le personalità si fanno più nitide viaggiando attraverso altre dimensioni.
E non è forse quello che fa Theodore nella sua vita?
Craig e Theodore, affannandosi nella ricerca della loro realtà, sono molto simili con l’unica differenza che mentre Craig, rimane l'ottuso ominide di sempre, Theodore raggiunge delle consapevolezze positive. Lo dimostra la lettera finale scritta alla ex moglie che è un fluire di emozioni e di parole sincere - questa volta realmente provate da Theodore stesso - ciò rappresentando l’evolversi di un uomo che attraverso la scoperta dell’altro (di Samantha e dunque di se stesso) si riconosce.

3. Tecnologia come mezzo per fuggire dalle emozioni
Theodore è un protagonista che rappresenta l’emblema di ciò che lo spettatore non vuole essere ma che forse in fondo è. La sua personalità estremamente evitante nei confronti di ciò che non sa controllare - le emozioni - è con tutta certezza la personalità di ogni essere umano verso un problema che non si riesce a risolvere. In tal senso Theodore rappresenta l’uno per il tutto riflettendosi, la sua incapacità di affrontare le situazioni, in un comportamento collettivo di abnegazione verso ciò che è all’apparenza irrisolvibile, o per lo meno, ostile.
Dunque, l’atteggiamento del protagonista è una mera reazione alla paura di affrontare la realtà dei fatti o meglio delle emozioni rendendole sempre meno concrete e più evanescenti.
E non è questa la fuga di ogni essere umano?
È la fuga di una collettività che si rifugia nella tecnologia per trovare conforto in ciò che virtualmente la rende più padrona - e subdolamente più consapevole - crogiolandosi in un mondo che, al tatto, non esiste.
È il viaggio della mente verso un mondo più sicuro dove le difficoltà si affrontano con un semplice “delete”: l’imperativo di Theodore è cancellare ciò che dà fastidio e disturba fuggendo, così, dalla concretizzazione di un qualsiasi ordine emotivo dentro di sé e - in definitiva - fuggendo dalla vita come, d’altronde, in Essere John Malkovich.
Anche il colore prevalente dell’opera di Jonze fornisce delle informazioni. 
L’arancione da un alto rappresenta la creatività dell’essere umano nella quale potrebbe rispecchiarsi l’animo di Theodore che immagina una realtà virtuale in cui fuggire, dall’altro ricorda il colore dell’uniforme dei detenuti nelle prigioni facendo vivere una sensazione di disagio nello spettatore che subisce, probabilmente in maniera inconsapevole, il parallelismo visivo delle due condizioni.
Il protagonista è prigioniero nella sua stessa vita, come lo è un galeotto nella propria cella.
Theodore è schiavo del suo corpo e della sua mente in una prigione dalla quale vuole evadere con ogni mezzo, sia esso fisico e virtuale. Ancora una volta Jonze utilizza la forma per esprimere la sostanza.
Da qui il legame metafisico che Theodore costruisce con il suo OS1: un legame fittizio per lo spettatore ma molto reale per il protagonista che usa la tecnologia per aprirsi ad una vita nuova e priva di riscontri emozionali concretizzabili.
Tale problema relazionale ed emozionale è evidenziato dalla conversazione con la moglie, l’unico momento di realità della storia - insieme ai flashback -, nella quale emerge che Theodore la invitava a prendere il prozac perché non riusciva a relazionarsi con le fluttuazioni emotive, tendenzialmente depresse, della stessa.
È dunque chiaro che ci viene prospettata una realtà distorta in cui il protagonista, fatto di carne e ossa, non riesce a gestire le emozioni finendo per depennarle, e la donna, fatta di software e virtualità, riesce ad essere empatica col protagonista e a vivere molto più di come riesca a fare un essere umano.

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D’altronde il tema dell’empatia inaspettata di ciò che umano non è, è un tema già affrontato da Jonze nel cortometraggio “I’m Here” del 2010 in cui gli umani sono degli esseri vili, e i robot - con grande sgomento dello spettatore - sono delle creazioni emotive capaci di innamorarsi al punto di smembrarsi pezzo per pezzo per rendere felice l’altro. Avvenimento che un mortale - secondo la visione cinica, e macabramente realistica, del regista - non riuscirebbe a sopportare poiché volutamente privo della summenzionata empatia.

4. Fuga verso il naturale ordine delle cose
L’elemento naturalistico è celatamente presente nel film. La natura intesa come il naturale ordine delle cose che sovrasta l’essere umano facendolo arrendere al suo destino: i sentimenti.
Tra gli elementi spiccano il gufo e l’albero.
Il gufo dispiega le ali e sembra scagliarsi alle spalle di Theodore quasi a voler comandare su di lui e condurlo ad un “cessate il fuoco”. Non a caso la scena è immediatamente successiva alla prima crisi del rapporto tra i due innamorati nella quale Theodore giunge alla consapevolezza che la storia sarebbe giunta alla fine nell’impossibilità di tradursi in qualcosa di tangibile. A comunicarlo è proprio l’animale.
Infatti già i Sumeri ritenevano che il gufo fosse associato alla morte, così come in Egitto nella cui tradizione l’anima che esalava dal corpo era rappresentata da una civetta e il dio Horus da un gufo.
Dunque il gufo è sempre stato considerato – in passato, sin dagli antichi greci e i romani, e nel presente, tutt’ora in Alsazia dove si pensa che un gufo sia messaggero di morte - il simbolo della malasorte e portatore di sventure, in questo caso la sventura della fine della relazione amorosa tra i due protagonisti.
Tuttavia nella tradizione dei nativi americani del nord-ovest, la civetta (gufo) rappresentava la creatrice della notte e quindi simbolo della perspicacia e della proiezione astrale le cui visioni le rivelano la via verso la grande e unica saggezza.
Quindi se da un lato il gufo è premonitore della mala sorte e, in tal caso, di una fine del rapporto tra i due innamorati, dall’altro simboleggia la consapevolezza.
Non a caso è proprio da questo momento che il protagonista rinsavisce rendendosi così conto della realtà virtuale che si stava costruendo per fuggire al naturale ordine delle cose. 
Le ali del gufo infatti si dispiegano metaforicamente come sono le ali di Theodore che si aprono verso il raggiungimento di una nuova realtà più consapevole. 
È come se Theodore prendesse il volo, come fa un gufo librandosi nel cielo, verso una vita diversa questa volta costruita sulle emozioni.
I colori cambiano e l’immagine è più nitida. 
Jonze abbandona quel simbolico filtro color seppia per lasciare spazio al vero mondo, quello di Theodore. Ancora una volta, in quel gioco dove la forma è sostanza, sembra che la purezza dell’immagine non filtri più nessuna emozione lasciando trasparire Theodore e la sua essenza. La sua personalità fuoriesce da un guscio così come fa l’immagine dal suo involucro cromatico.
Altro elemento interessante è l’albero che si intravede dietro l’ascensore quando Theodore risale nel suo appartamento. La scena cela, come si cela l’albero stesso, un significato.
L’albero che si intravede sembra essere una conifera detta “sempreverde” che è simbolo di immortalità ed eternità. Tali caratteristiche rispecchiano in pieno l’illusione che regna nella mente di Theodore ossia la speranza che la relazione tra lui e il suo sistema operativo sia immortale. Difatti le conifere simboleggiano la felicità coniugale e la fertilità, ciò per via degli aghi uniti a coppia innestati sui rametti denominati brachiblasti.
Tale idea di fecondità è trainata dalla circostanza che nella Grecia antica i Pini erano consacrati a Rea, un’entità androgina dalla quale nasceva la creazione.
Essa pare convogliare in un’unica figura la carnalità di Theodore e la spiritualità di Samantha come proiezione dello stesso, i due si fondono insieme per creare qualcosa di nuovo. 
L’albero quindi rappresenta la relazione auspicata tra Theodore e Samantha che, tuttavia, non potrà tramutarsi in qualcosa di reale poiché profondamente instabile.
Infatti man mano che l’ascensore sale, l’albero si assottiglia perché ci si sposta verso la cima che è più flessibile e più pericolante. È proprio lassù che si trova l’appartamento di Theodore. Un luogo che dovrebbe rappresentare un rifugio sicuro.
Eppure così non è. 
Lassù la relazione tra i due si fa sempre meno stabile e più fluttuante, lassù Theodore non è al sicuro da se stesso e dalle sue insicurezze. È lì che i due creano una famiglia immaginaria con l’esserino nel videogioco, è lì che si addormentano quasi a simulare l’abitudine di una relazione.
La casa è dunque il luogo delle fragilità: così come è pericolante la cima di un albero lo è anche la vita di Theodore che vacilla tra i sentimenti fuggendo qua e là.
Solo alla fine Theodore scriverà una lettera indirizzata alla ex moglie e comprenderà come la risposta ai turbamenti dell’uomo sia da ricercarsi all’interno di se stessi: è l’essere umano a rappresentare l’ordine naturale.

5. L’ordine naturale dei numeri primi
A pochi minuti dalla conclusione del film lo sceneggiatore svela un numero che rappresenta il nodo concettuale attorno cui ruota l’opera: 641.
Il protagonista infatti riceverà una terribile notizia alla luce della quale il rapporto tra lui e Samantha subirà un forte declino e definitivamente l’arresto: l’OS1 si è innamorato di 641 utenti e, riconoscendo l’amore come una falla del sistema, si autodistruggerà.
Ma cosa si nasconde dietro un semplice numero a tre cifre?
641 è un numero primo ossia un numero naturale maggiore di 1 divisibile per 1 e per sé stesso.
I numeri primi sono diventati famosi perché protagonisti del romanzo “La solitudine dei numeri primi” di Paolo Giordano che li scelse per descrivere i due personaggi Alice e Mattia, le cui vite viaggiano parallele e mai si uniscono.
Questa è la storia di Theodore e Samantha due personaggi opposti perché fatto di carne – il primo – fatta di spiritualità – la seconda, due figure appartenenti a mondi lontani che si avvicinano tramite la tecnologia ma che, in fondo, non possono condividere l’aria che respirano e gli spazi che percorrono per l’appartenenza a due mondi paralleli.
Sono due esseri autoreferenziali disposti a condividersi solo con se stessi e non con altri poiché si ritengono il centro del loro universo e sono fedeli unicamente ai loro interessi e alla loro essenza: Theodore, infatti, crea Samantha per non sentirsi più solo e Samantha si autodistrugge perché non sopporta di dividersi tra più amori.
Peraltro la scelta delle cifre 6-4-1 nonché il loro posizionamento in ordine decrescente non sono irrilevanti.
Il sei - relativo al tatto - possiede carisma, la possibilità di conversare con tutti, la capacità di costruire relazioni in incontri a due. Tratta delle cose da cui si è attratti o da cui si trae piacere. Denota perfezionismo in quanto le operazioni 1+2+3 e 1X2X3 lo danno come risultato. Tuttavia nella sua valenza negativa è associato all'infedeltà.
Il sei incarna ciò che Samantha vorrebbe essere, ciò che è e, infine, ciò che è diventata.
Ciò che vorrebbe essere perché il tatto rappresenta la condizione che l’OS vorrebbe raggiungere. Samantha infatti cercherà di colmare il vuoto creato dalla sua evanescenza utilizzando una musica evocativa di immagini ed affidandosi ad una interposta persona che farà visita, in maniera del tutto infruttuosa, a Theodore. Samantha non sarà mai carne e questa circostanza la porta all’autodistruzione.
Ciò che è perché Samantha è fervidamente desiderata dal protagonista essendo l’oggetto di piacere in tutta la sua perfezione anche se nella sua dimensione amorfa: è infatti creata da Theodore a sua immagine e somiglianza poiché formattatasi a seguito delle risposte dello stesso.
Tuttavia Samantha è anche simboleggiata dal sei nella sua accezione più negativa rappresentando, tale numero, ciò che l’OS è diventata. 
Il sei infatti rappresenta la gelosia e l’infedeltà e anche in questo aspetto si rivede Samantha che non riesce a mantenere l’esclusività nella relazione con Theodore ma che si innamora di altri operatori.
D’altronde anche il titolo stesso suggerisce una sorta di indipendenza relazionale del sistema operativo; infatti “her” in inglese indica l’aggettivo o il pronome possessivo femminile stando a sottolineare che Samantha non appartiene a nessuno ma si appartiene.
Il Quattro, da un punto di vista religioso, simboleggia per la religione cristiana il numero dei Vangeli, e più in generale rappresenta il tetraedro - figura solida con quattro facce - che viene legato ad una personalità composita che trae idee da fonti diverse e spesso in conflitto per elaborare un fiero modo di pensare "fuori dal coro".
Ebbene il quattro è Theodore: un personaggio, come la figura che lo rappresenta, con più facce. È la versione difettosa di Dio che incarna, invece, tre Entità. Theodore infatti non è un unicum col suo spirito ma rappresenta una personalità multipla e rarefatta – con più facce per l’appunto -, che oscilla tra sé, la sua proiezione, ciò che avrebbe voluto essere e ciò che in realtà è.
Theodore dunque se da un lato prova a rivestire la funzione di creatore di un qualcosa che è simile a sé creando Samantha come Dio creò l’uomo, dall’altro non riesce ad elevarsi a tale livello di santità realizzando una versione fittizia della sua essenza.
Samantha infatti è la proiezione surreale dell’anima di un uomo perturbato che consola la sua solitaria dimensione realizzando un’illusione di benessere.
Infine l’Uno. L’uno è il primo numero usato per contare e quindi rappresenta l'origine di tutte le cose. La perfezione, l'assoluto e la divinità nelle religioni monoteiste. L'Uno è la sorgente di ciò che esiste, di ciò che è altro dall'uno. Nell'Uno coesiste il Tutto e in tal senso è Perfezione. 
L’uno quindi rappresenta la fusione tra Theodore e Samantha che, non solo si chiama “OS1”, ma ancor di più possiede un nome che si ritiene abbia avuto origine nel XVIII secolo e derivi dal maschile Samuele ossia il nome di Dio.
Samantha e Theodore si fondono insieme in un’unica dimensione realistico-emozionale.
Da un lato Samantha rappresenta i sentimenti e la spiritualità, dall’altro Theodore rappresenta la carne e la razionalità che uniti rappresentano nient’altro che l’essere umano con tutte le sue frustrazioni, le sue difficoltà e, in definitiva, le sue emozioni.
L’uno non vive senza l’altro poiché l’uno costituisce la prosecuzione dell’altro.
Le loro realtà si sovrappongono in un unico nucleo duro in cui coesistono. Ciò incarna alla perfezione - per l’appunto - la credenza per cui Theodore e Samantha, nonostante tutte le diversità, sono la stessa persona e solo quando si fondono insieme riescono a raggiungere la vita. 
L’ordine dunque decrescente delle cifre 6-4-1 indica proprio il processo evolutivo dell’uomo che finisce per ritrovare se stesso: Samantha infatti rappresenta la sfera emotiva di Theodore e sarà quando lei sparirà, incarnandosi definitivamente in Theodore, che il protagonista ritroverà – o troverà per la prima volta – se stesso.
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