Gli studenti del Master in Management dell'Immagine, del Cinema e dell'Audiovisivo dell'Università Cattolica di Milano, hanno svolto delle interessanti analisi per il corso di Storia e scenari dell'immagine e dell'audiovisivo: le pubblichiamo con piacere sul nostro portale! Complimenti!
LAZZARO FELICE
di Linda Venturini
Una comunità di contadini viene sfruttata dalla Marchesa Alfonsina de Luna, produttrice di sigarette. I mezzadri vivono nel podere dell’Inviolata, isolati dal mondo e in condizioni riprovevoli: non ci sono letti a sufficienza o lampadine per illuminare tutte le stanze. Questo è il punto di partenza di Lazzaro Felice, il film di Alice Rohrwacher che nel 2018 si è aggiudicato il premio alla Miglior Sceneggiatura al Festival di Cannes.
Secondo Giorgio Agamben essere contemporanei significa essere attuali e inattuali allo stesso tempo. Per l’uomo è difficile analizzare la contemporaneità dal momento in cui è immerso in essa. «Appartiene veramente al suo tempo […] colui che non coincide perfettamente con esso né si adegua alle sue pretese ed è perciò, in questo senso, inattuale; ma proprio per questo, proprio attraverso questo scarto e questo anacronismo, egli è capace più degli altri di [percepirlo e afferrarlo]». È contemporaneo chi riesce ad interagire con il proprio tempo e a prenderne le distanze.
In questo senso Lazzaro Felice è un prodotto della contemporaneità. Strutturato in due parti della stessa lunghezza, ma contrapposte, contiene in sé sia aspetti attuali che inattuali. Le sue contraddizioni e contrapposizioni lo rendono, secondo la definizione di Agamben, contemporaneo.
La prima parte del film è ambientata in campagna, la seconda in città.
Non viene mai detto il nome della zona esatta in cui i contadini vivono, si può intuire la loro provenienza dall’accento marcatamente toscano, ma la città, che dovrebbe situarsi non lontana dal podere dell’Inviolata, rimane anonima. La storia è legata alla tradizione italiana e contadina, ma anche ai problemi della società contemporanea (evidenziati soprattutto nella seconda parte). Non volerla localizzare in un luogo preciso significa trasformarla in una fiaba e dare la libertà allo spettatore di collocarla dove preferisce lui. Questa anonimità rispecchia la volontà dell’autrice di raccontare una storia fuori dal tempo.
Parte prima
Nella prima parte, la regista osserva con sguardo attento il mondo contadino.
I personaggi vengono mostrati nelle loro mansioni di tutti i giorni: mentre raccolgono le foglie di tabacco, lavorano il fieno, bruciano le sterpaglie. La macchina da presa inquadra con attenzione i dettagli: la mano di una ragazza che si gratta una puntura sul ginocchio, una signora che mangia le zampe di gallina, le mani dei diversi contadini che tastano la fronte di Lazzaro per sentirne la temperatura. Tutti questi momenti contribuiscono al realismo del film, mentre la storia presenta degli elementi fiabeschi.
Lazzaro è un contadino buono, ingenuo, sfruttato da tutti. Accetta con tranquillità di fare qualsiasi cosa per aiutare il prossimo, e non capisce quando gli altri lo deridono. Nella prima scena si blocca a fissare il vuoto: «Lazzaro si è incantato», questa sembra essere una sua propensione. Poco più tardi accetta di sostituire un contadino per fare la guardia al pollaio di notte, affinché il lupo non uccida le galline. Il contadino che gli ha chiesto il favore se ne approfitta e non si presenta più. Lazzaro prova a chiamarlo più volte, ma ormai rassegnato: «non me sente», dice rivolgendosi alla luna. In questo momento compare il titolo del film, come a sottolineare la semplicità e la genuinità dei sentimenti di un ragazzo che non si abbatte di fronte ai soprusi degli altri, ma vive la vita così come gli si presenta.
La storia dei due innamorati, Maria Grazia e Giuseppe, è un altro elemento che contribuisce all’atmosfera fiabesca. I due desiderano abbandonare la loro vita da contadini per poter andare a vivere in città. La loro vicenda segue il topos degli innamorati sfortunati che non riescono nel loro intento perché sottoposti al volere della Marchesa. Abbandonano il loro “sogno americano” di andare in città e di cambiare vita non appena Nicola, il loro superiore e strozzino, si oppone alle loro fantasticherie.
Una delle scene più suggestive del film ritrae Lazzaro in mezzo alle piante di tabacco. Siccome tutti lo chiamano ripetutamente durante il lavoro affinché li aiuti a raccogliere le foglie, i bambini, sparsi in mezzo alle piante, ripetono il suo nome per schernirlo. In mezzo a quel verde Lazzaro vede i due innamorati mentre si sussurrano qualcosa all’orecchio e ne rimane quasi incantato, come noi spettatori davanti alla bellezza di tali immagini. Le voci dei bambini si sentono ma loro non si vedono, questo espediente della voce fuori campo viene usato in diverse occasioni dalla regista.
L’incontro tra Lazzaro e Tancredi, il figlio della Marchesa, è un altro momento significativo della prima parte. Intento a recuperare il suo chihuahua Ercole, il marchesino si imbatte in un gruppo di contadini. Appena gira le spalle, gli uomini incominciano ad imitare il verso del vento, verso che viene ripetuto varie volte: quando Nicola se ne va dopo aver comunicato che i loro debiti nei confronti della Marchesa sono aumentati; quando Catirre (uno dei contadini), ormai vecchio, vive con gli altri in mezzo ai binari e insegue i treni che passano. È un gesto quasi scaramantico che serve ad allontanare le persone o le cose a loro estranee.
L’unico che non schernisce e che osserva Tancredi senza distogliere lo sguardo è Lazzaro. Gli offre addirittura il suo panino, il marchesino rifiuta e gli propone di darlo al cane, che a sua volta non riesce a mangiarlo. Da questa scena si comprende la differenza fra i due personaggi: Tancredi è il padrone, Lazzaro il servo. Nonostante tra i due sembri svilupparsi un legame d’amicizia che li porta a vivere alcune avventure insieme, Lazzaro rimane sempre, per tutto il corso del film, in un gradino inferiore rispetto a Tancredi. Mentre i sentimenti che prova Lazzaro sono sinceri, per Tancredi sembra essere tutto un gioco. Quando i due si incontrano, il marchesino è un giovane in piena crisi adolescenziale: si ribella alla madre ed inscena un rapimento per estorcerle dei soldi. Nella seconda parte del film, Tancredi porta Lazzaro con sé durante una finta trattativa con la banca per vendere le proprietà dell’Inviolata che non ha più. Quando viene buttato fuori dalla banca, non fa altro che ridere e l’ingegnere ingannato grida: «Sapete cosa siete voi due? Una parodia!». I due vivono secondo in un sistema di valori e di bisogni completamente diverso, quasi opposto. Il dualismo strutturale del film si riflette nelle loro figure. Inizialmente, quindi, la storia sembra prospettarsi come il racconto dell’amicizia tra due persone appartenenti a due classi sociali differenti, ma in realtà il marchesino e il contadino non si avvicineranno mai del tutto.
Tancredi è un personaggio eccentrico, quasi teatrale. Si nasconde nel rifugio segreto di Lazzaro, vicino alla stalla delle pecore, per ribellarsi al dispotismo materno. Quando Lazzaro cerca di riportarlo a casa, il nobile giovane recita un brano dell’Orlando Furioso, immedesimandosi ancor più in un cavaliere che vive eroiche avventure. In realtà, sfrutta il contadino per farsi portare da mangiare e per firmare con il sangue la lettera con la quale vuole chiedere il riscatto. Nel tempo libero, siccome in campagna non riesce ad utilizzare il cellulare, costruisce una fionda. La mostra all’amico con orgoglio, ma prova ad usarla e non funziona, quindi pensa di gettarla. A quel punto il ragazzo ingenuo si offre di ripararla, perciò Tancredi decide di cedergliela come simbolo della loro amicizia.
Dal momento che Lazzaro dichiara di non sapere chi siano i suoi genitori fra i contadini, Tancredi accenna l’ipotesi che i due siano fratellastri, inventandosi la storia della madre del contadino che lava i panni al fiume e di suo padre che la incontra mentre va ad abbeverare il cavallo. La fantasia del marchesino e tutti gli elementi cavallereschi alimentano il realismo magico della prima parte del film.
Il nome stesso di Tancredi richiama il personaggio de Il Gattopardo, nonostante la storia personale e il carattere dei due siano completamente differenti. Oltre al nome, ci sono però altri elementi di somiglianza fra il film e l’opera di Tomasi di Lampedusa. Ambientato durante il Risorgimento, il libro parla della decadenza dell’aristocrazia, di come la storia individuale degli individui venga influenzata dalla storia collettiva e di come «tutti ne [escano] male: il Principe e il suo intraprendente nipote, i borbonici e i liberali, e soprattutto la Sicilia del 1860». L’atteggiamento pessimistico dello scrittore viene ricalcato dalla regista: Lazzaro, nonostante la sua bontà, ne esce sconfitto. Non solo il pessimismo sembra essere lo stesso, ma anche il tema della decadenza della classe aristocratica coincide: la Marchesa viene dipinta come un personaggio anacronistico. Va in villeggiatura in una villa ormai rovinata dal tempo e si mette sotto l’ombrello ad osservare i contadini che lavorano, come fa il padre di Alfredo Berlinghieri nel film Novecento di Bertolucci. Ma la parvenza aristocratica della Marchesa e della sua famiglia viene smascherata dai carabinieri che “salvano” i contadini. La padrona compare solamente un’altra volta: quando Antonia, Lazzaro e gli altri contadini rimasti si recano a casa di Tancredi per pranzare e vedono un ritratto della madre nel corridoio di un palazzo ormai rovinato, loro stessi rimangono stupiti di fronte ad una tale decadenza.
Il Gattopardo, uscito postumo in un momento in cui la letteratura italiana prediligeva il genere del Neorealismo, viene visto come un’opera anacronistica. Allo stesso modo può essere considerato il film di Alice Rohrwacher che racconta della cultura contadina già trattata da altri registi italiani come Olmi, Bertolucci o Lattuada, ma secondo la definizione di Agamben, il film è contemporaneo proprio per quegli stessi aspetti che fanno dubitare della sua contemporaneità: per i suoi contrasti e contraddizioni.
L’atmosfera dell’opera si inserisce nel filone del realismo magico: a metà strada tra fiaba e realtà. L’attenzione ai dettagli, sottolineata prima, contribuisce a creare un’ambientazione realistica, così come le scene che rivelano la spontaneità e genuinità dei personaggi (i contadini sono interpretati da attori non professionisti). Come quando Lazzaro rivela al compagno di Antonia la commestibilità di alcune erbe selvatiche ed una contadina ormai anziana, che si fa tingere i capelli da Antonia, si mette a ridere davanti all’eccitazione dell’uomo: «ha scoperto l’acqua calda».
Lo stile con cui vengono girate queste scene, ma soprattutto le scene della vita contadina, è quasi documentaristico. In questo senso e anche grazie alla grande attenzione per la fotografia ricorda le immagini del regista Roberto Minervini. Per la sensibilità e l’attenzione nei confronti del tema dell’industrializzazione, richiama La bocca del lupo o Il passaggio della linea di Pietro Marcello. Mentre il realismo e il ritratto della società italiana rimandano allo stile di altri registi come Matteo Garrone o i fratelli D’Innocenzo, che non si lasciano «accecare dalle luci del secolo e [riescono] a scorgere in esse la parte dell’ombra», citando un’altra parte della definizione di Agamben. Insomma, la regista si inserisce pienamente nelle correnti stilistiche contemporanee, trovando la sua particolarità nella commistione di fiaba e realtà. Un’altra sua scelta caratteristica è il voler girare il film in 16 mm. L’uso della pellicola sottolinea l’importanza attribuita alla fotografia e alla luce. Questo scarto anacronistico le permette di trattare in maniera del tutto diversa i suoi film proprio nel momento in cui non vengono girati in digitale. In un’intervista, la regista dichiara la fedeltà al mezzo per la sua concretezza, che lo rende assolutamente affidabile ai suoi occhi.
Ritornando alla storia, il punto di svolta si ha a metà del film. Dopo la vicenda della fionda e della lettera di riscatto, Lazzaro viene rimproverato dagli altri contadini: non può permettersi di perdere un’altra giornata di lavoro. Così il giorno dopo, porta da mangiare a Tancredi, ma non passa del tempo con lui. Il marchesino si offende e lo scaccia malamente. Lazzaro rimane chiaramente turbato e, ad un certo punto della giornata, si incanta sotto la pioggia. Antonia lo recupera e lo mette al riparo, ma ormai si è ammalato. Lo sistemano a dormire nel letto con la nonna, il giorno dopo si sveglia: dal suo comportamento si capisce che si sente in colpa per non essere riuscito a tornare da Tancredi e ancora febbricitante cerca di raggiungerlo.
Questi minuti molto densi racchiudono già delle anticipazioni della seconda parte del film. Mentre i contadini cercano un posto in cui Lazzaro malato possa dormire, notano fuori dalla finestra una luce rossa lampeggiante nel bosco, di fianco alla luna, e si domandano cosa possa essere, sono totalmente ignoranti e impauriti dal mondo esterno (paura voluta e trasmessa dalla Marchesa). Il giorno dopo, mentre Lazzaro cammina per cercare di raggiungere Tancredi, un elicottero, probabilmente dei carabinieri chiamati da Teresa, la figlia di Nicola preoccupata per Tancredi, sorvola le terre dell’Inviolata. Tutti alzano lo sguardo per osservare questo fenomeno insolito e inaspettato, Lazzaro lo guarda, distraendosi perde l’equilibrio e cade da un dirupo.
Intermezzo
Subito dopo la caduta di Lazzaro, la voce fuori campo di Antonia comincia a raccontare la storia di San Francesco e il lupo di Gubbio. Il tema della religione è presente fin dall’inizio del film: la Marchesa legge la Bibbia e le storie dei santi ai bambini per istruirli. Quando Antonia porta Lazzaro nella villa, gli mostra le immagini di Sant’Agata e di un’altra santa nascoste nella camera padronale. Mentre la padrona sembra tramandare queste storie ai bambini che tiene in schiavitù solo per mantenere una parvenza di donna buona e fedele, Antonia si dimostra la vera credente perché banalmente riesce a capire e ad apprezzare i comportamenti di Lazzaro. Fin dall’inizio si può notare come la ragazza sia legata in qualche maniera a lui, probabilmente prova ammirazione per una persona così buona.
La storia di San Francesco che Antonia racconta è diversa da quella raccontata nei Fioretti del Santo. Nel film un lupo vecchio, solo ed affamato, uccide gli animali di un villaggio per nutrirsi. I paesani per fermarlo si rivolgono ad un Santo che ha la fama di saper parlare con gli animali. Il Santo accetta di andare a parlare con il lupo, inizia a cercarlo ma non riesce mai a trovarlo. Stremato dalla stanchezza e dalla fame il Santo sviene a terra, allora il lupo, che in realtà lo aveva seguito tutto il tempo, anche lui stanco e affamato, si avvicina per cibarsi, ma viene fermato dall’odore: «l’odore di uomo buono». Nel momento in cui Antonia finisce di raccontare la storia, un lupo si avvicina a Lazzaro, lo annusa e Lazzaro si risveglia.
Nella storia originale di San Francesco, l’aspetto dello svenimento, dell’odore e della magnanimità del lupo è assente. Viene probabilmente introdotto dall’autrice per sottolineare la bontà di Lazzaro, a cui viene concessa un’altra possibilità. Nel mondo contadino il ragazzo non è riuscito a sopravvivere, ma nel mondo contemporaneo e cittadino la situazione non migliora. Con questa scena fiabesca viene messo in evidenza e viene svelato il significato di un altro riferimento religioso: il nome di Lazzaro, tratto da un personaggio biblico fatto resuscitare da Gesù.
Il lupo è quindi un personaggio importante nella storia. Rappresenta la natura selvaggia, ma sembra essere l’unico, oltre ad Antonia, a capire la vera bontà di Lazzaro. Anche se, fino a quel momento, l’animale è stato considerato una presenza minacciosa per la comunità. Dopo che Tancredi e Lazzaro hanno passato la giornata insieme, sentono l’ululato e si mettono ad imitarlo, i contadini li sentono e cominciano a credere che i lupi siano più di uno. Nella scena in cui Nicola fai i conti dei prodotti che gli hanno consegnato, lo strozzino si accorge della mancanza due capponi: sono stati uccisi dal lupo. Questa mancanza fa aumentare il debito che i contadini hanno nei confronti della Marchesa. È evidente che il debito sempre in aumento sia uno stratagemma utilizzato per mantenerli ignoranti e al loro posto. Infatti, essi esprimono il loro disappunto solamente con le parole o con il verso del vento, ma non trovano mai il coraggio di ribellarsi del tutto. Anche la nobiltà de Il Gattopardo possiede dei feudi, ma, mentre nella Sicilia del XIX secolo questo sistema è normale anche se al tramonto, in Lazzaro Felice risulta anacronistico e contribuisce a creare quella indeterminatezza del tempo e del luogo che sottolinea l’aspetto fiabesco soprattutto nella prima parte del film.
Parte Seconda
La seconda parte comincia quando Lazzaro si risveglia. Nel suo cammino verso la città, si ritrova in un luogo dove sono stati installate delle antenne, probabilmente la fonte della luce rossa che i contadini avevano visto dalla loro casa. In questo luogo, simbolo di modernità rispetto alla campagna circostante, incontra Nicola invecchiato. Si capisce che sono passati degli anni da quando il ragazzo è caduto. Nicola, circondato da persone straniere, è intento a gestire una specie di asta per lavori a basso costo: chi offre la manodopera con il costo orario più basso vince. Viene così inserito nella cornice del film il tema del lavoro e degli immigrati, tipico della società odierna.
In seguito, Lazzaro incontra Antonia e altri membri della comunità contadina: la situazione per loro non è cambiata, anzi, è quasi peggiorata. Vivono di truffe e di furti in una specie di cisterna riadattata ad abitazione in mezzo ai binari. Sono rimasti degli emarginati della società: nonostante siano stati liberati dalla schiavitù contadina, non sono riusciti ad integrarsi e a migliorare la loro condizione. La loro vicenda era stata riportata nei giornali con il titolo «Il Grande Inganno», ma i carabinieri che li hanno salvati, in realtà non sono riusciti a salvarli dalla società.
Specularmente alla prima parte del film, Lazzaro incontra di nuovo Tancredi grazie al suo chihuahua, ridotto piuttosto male come il padrone.
Quando Tancredi fa visita alla famiglia dei contadini sembra di tornare nel passato: con una padella ricrea la luna, inizia a ululare e altre persone gli rispondono da lontano. Agli occhi di Lazzaro, che osserva la sua famiglia, ritornano ad essere tutti giovani. La madre di Stefania, una delle bambine della comunità, entra nella cisterna a chiamarla: attacca la lampadina al filo, ma la lampadina che viene inquadrata non è più a bulbo come quella che erano soliti utilizzare e scambiarsi da stanza a stanza all’Inviolata, si tratta di una lampadina a neon. Questo dettaglio estremamente realistico chiude la parentesi fiabesca e tutti ritornano nel presente.
Anche la scena in cui vanno a comprare i pasticcini nella migliore pasticceria della città sembra quasi fiabesca. La macchina da presa si sofferma più volte sui pasticcini perfetti e colorati, come a sottolineare la magia di quell’evento agli occhi di persone povere e umili che si accontentano di poco. La visita a casa di Tancredi sarà un’altra delusione per Lazzaro. Li accoglie alla porta Teresa, la figlia di Nicola, ma li manda via dopo averli scambiati per venditori porta a porta. Al secondo tentativo di farsi aprire e di spiegare che è stato Tancredi ad invitarli a pranzo, si sente la voce dell’uomo che dall’interno grida «Lasciami stare!». A quel punto i contadini si avviano sconsolati, finché Teresa non li chiama di nuovo dalla soglia di casa per chiedergli se possono lasciarle comunque i pasticcini. I ruoli si sono invertiti: mentre nella prima parte si vedeva una giovane Teresa che ordinava con supponenza ai contadini di gridare il nome di Tancredi, quando il ragazzo era sparito, ora chiede l’elemosina a quelli che un tempo considerava esseri inferiori. La banca li ha privati di tutto. Antonia le lascia i pasticcini senza esitazioni, dimostrando una generosità quasi religiosa nei confronti di altre persone in difficoltà.
Neanche la chiesa accoglie la famiglia dei contadini. Infatti, dopo essere usciti dal palazzo della Marchesa, vengono attirati dalla musica di un organo. Entrano in una chiesa, ma vengono mandati via perché si tratta di una funzione privata. La regista sottolinea con questo gesto le contraddizioni della società contemporanea e di coloro che predicano la religione. Le suore li scacciano, nonostante loro volessero semplicemente ascoltare della musica. Ma la musica si ribella al volere umano e segue la famiglia, si interrompe solamente quando Lazzaro piange, rattristato dal comportamento di Tancredi.
I riferimenti religiosi che Alice Rohrwacher usa sono legati non tanto alla chiesa come istituzione che non accoglie i protagonisti, quanto più alla bontà d’animo di Lazzaro e degli esseri umani. Come dichiara in un’intervista, non è mai stata battezzata, ma prova curiosità verso una “religione primitiva” che sente far parte di sé in quanto cresciuta in un paese cattolico. Questa curiosità l’ha spinta a chiedersi “Come insegnano la religione?” e a rispondere a questa domanda con il suo primo film Corpo celeste, la storia di una ragazzina che deve fare la cresima. La sua concezione della religione ricorda il pensiero di Federico Fellini che sentiva «come proprio il messaggio evangelico di amore e di fratellanza umana e
[mostrava] costantemente una sconfinata ammirazione per gli atti di fede semplici, come elementi di contrasto rispetto all’indifferenza religiosa contemporanea, specie se questi provenivano dai credenti più umili». Inoltre, è interessante osservare come la prima parte di Lazzaro Felice riprenda gli elementi principali del Cantico delle creature di San Francesco: il sole, la luna, il vento. I colori prevalenti sono il giallo della sabbia dei calanchi e del greto del fiume, e il verde delle foglie del tabacco. Siamo in estate, l’aridità del paesaggio ricorda le descrizioni della Sicilia de Il Gattopardo, mentre l’atmosfera fiabesca i romanzi di Italo Calvino. La cultura umanistica della regista, che ha studiato lettere classiche a Torino, giustificano questi riferimenti letterari che possono essere citazioni consapevoli o inconsapevoli, risultato di tutte le sue letture e dei suoi studi. La colonna sonora è composta da pochi brani, ma i rumori sono molto accentuati e contribuiscono al realismo del film. In campagna si sentono le cicale, il vento, lo scampanare delle pecore, i versi delle bestie. Nella seconda parte del film la situazione si ribalta: i rumori prevalenti sono i clacson delle macchine, il rumore del traffico, dei treni sui binari. È inverno e i colori che prevalgono sono il grigio e un azzurro sbiadito. Il filo conduttore fra una parte e l’altra è Lazzaro. Quella che all’inizio sembra essere una storia “coming-of-age” o, in termini letterari, un romanzo di formazione non viene portato a compimento: Lazzaro non cresce mai, rimane sempre uguale. Forse a dimostrare proprio la sua immutabile bontà indipendentemente dalla situazione in cui si trova, ma anche l’immutabilità della sua condizione: viene sempre sfruttato e considerato allo stesso modo. Solo Antonia con la sua sensibilità, difende il ragazzo dagli altri che lo vogliono mandar via perché lo credono un “diavolo”, e si sente in colpa a coinvolgerlo nelle truffe.
Lazzaro simboleggia l’immutabilità della società: il progresso non esiste veramente, i buoni vengono sempre puniti, come viene dimostrato dalla conclusione del film. Il ragazzo si reca in banca con la speranza di aiutare Tancredi. Ha in tasca la fionda, «l’arma» che il suo amico gli ha regalato. Per colpa di un malinteso i clienti della banca credono sia armato. Lazzaro non capisce cosa stia succedendo, vede il lupo di fianco sé e quando uno dei clienti scopre la verità, viene buttato a terra e picchiato. La brutalità della folla sembra ricordare la descrizione che ne fa Manzoni ne I promessi sposi, anche l’ingenuità di Lazzaro ricalca quella iniziale di Renzo. La macchina da presa si sofferma sullo sguardo del ragazzo sdraiato a terra e insanguinato. Non si capisce se sia vivo o morto, si vede una mano di un carabiniere che cerca di sentire il suo battito cardiaco, ma Lazzaro rimane immobile. Quando lui non si muove più, il lupo se ne va tra le macchine. Mentre prima lo aveva salvato, ora non ci sono più speranze.
La tematica principale del film è la perdita dell’innocenza. La società contemporanea non lascia posto alla bontà ingenua di persone come Lazzaro, in quest’ottica il lupo, che rappresenta la Natura, abbandona il ragazzo dopo avergli concesso una seconda possibilità. Alice Rohrwacher nei suoi film sembra auspicare ad un ritorno alla civiltà contadina e a valori semplici e puri. Molti personaggi delle sue pellicole sono bambini o adolescenti, come le protagoniste de Le meraviglie o Marta in Corpo Celeste. Anche il cortometraggio Omelia Contadina, realizzato dalla regista in collaborazione con l’artista francese JR, riprende la tematica pessimistica: è infatti il funerale simbolico dei contadini schiacciati dalle monoculture intensive.
Lazzaro Felice con il suo simbolismo si inserisce in pieno in questo discorso di rinascita e oppressione, di persone pure ed innocenti schiacciate e buttate a terra dalla società contemporanea.
LAZZARO FELICE
di Linda Venturini
Una comunità di contadini viene sfruttata dalla Marchesa Alfonsina de Luna, produttrice di sigarette. I mezzadri vivono nel podere dell’Inviolata, isolati dal mondo e in condizioni riprovevoli: non ci sono letti a sufficienza o lampadine per illuminare tutte le stanze. Questo è il punto di partenza di Lazzaro Felice, il film di Alice Rohrwacher che nel 2018 si è aggiudicato il premio alla Miglior Sceneggiatura al Festival di Cannes.
Secondo Giorgio Agamben essere contemporanei significa essere attuali e inattuali allo stesso tempo. Per l’uomo è difficile analizzare la contemporaneità dal momento in cui è immerso in essa. «Appartiene veramente al suo tempo […] colui che non coincide perfettamente con esso né si adegua alle sue pretese ed è perciò, in questo senso, inattuale; ma proprio per questo, proprio attraverso questo scarto e questo anacronismo, egli è capace più degli altri di [percepirlo e afferrarlo]». È contemporaneo chi riesce ad interagire con il proprio tempo e a prenderne le distanze.
In questo senso Lazzaro Felice è un prodotto della contemporaneità. Strutturato in due parti della stessa lunghezza, ma contrapposte, contiene in sé sia aspetti attuali che inattuali. Le sue contraddizioni e contrapposizioni lo rendono, secondo la definizione di Agamben, contemporaneo.
La prima parte del film è ambientata in campagna, la seconda in città.
Non viene mai detto il nome della zona esatta in cui i contadini vivono, si può intuire la loro provenienza dall’accento marcatamente toscano, ma la città, che dovrebbe situarsi non lontana dal podere dell’Inviolata, rimane anonima. La storia è legata alla tradizione italiana e contadina, ma anche ai problemi della società contemporanea (evidenziati soprattutto nella seconda parte). Non volerla localizzare in un luogo preciso significa trasformarla in una fiaba e dare la libertà allo spettatore di collocarla dove preferisce lui. Questa anonimità rispecchia la volontà dell’autrice di raccontare una storia fuori dal tempo.
Parte prima
Nella prima parte, la regista osserva con sguardo attento il mondo contadino.
I personaggi vengono mostrati nelle loro mansioni di tutti i giorni: mentre raccolgono le foglie di tabacco, lavorano il fieno, bruciano le sterpaglie. La macchina da presa inquadra con attenzione i dettagli: la mano di una ragazza che si gratta una puntura sul ginocchio, una signora che mangia le zampe di gallina, le mani dei diversi contadini che tastano la fronte di Lazzaro per sentirne la temperatura. Tutti questi momenti contribuiscono al realismo del film, mentre la storia presenta degli elementi fiabeschi.
Lazzaro è un contadino buono, ingenuo, sfruttato da tutti. Accetta con tranquillità di fare qualsiasi cosa per aiutare il prossimo, e non capisce quando gli altri lo deridono. Nella prima scena si blocca a fissare il vuoto: «Lazzaro si è incantato», questa sembra essere una sua propensione. Poco più tardi accetta di sostituire un contadino per fare la guardia al pollaio di notte, affinché il lupo non uccida le galline. Il contadino che gli ha chiesto il favore se ne approfitta e non si presenta più. Lazzaro prova a chiamarlo più volte, ma ormai rassegnato: «non me sente», dice rivolgendosi alla luna. In questo momento compare il titolo del film, come a sottolineare la semplicità e la genuinità dei sentimenti di un ragazzo che non si abbatte di fronte ai soprusi degli altri, ma vive la vita così come gli si presenta.
La storia dei due innamorati, Maria Grazia e Giuseppe, è un altro elemento che contribuisce all’atmosfera fiabesca. I due desiderano abbandonare la loro vita da contadini per poter andare a vivere in città. La loro vicenda segue il topos degli innamorati sfortunati che non riescono nel loro intento perché sottoposti al volere della Marchesa. Abbandonano il loro “sogno americano” di andare in città e di cambiare vita non appena Nicola, il loro superiore e strozzino, si oppone alle loro fantasticherie.
Una delle scene più suggestive del film ritrae Lazzaro in mezzo alle piante di tabacco. Siccome tutti lo chiamano ripetutamente durante il lavoro affinché li aiuti a raccogliere le foglie, i bambini, sparsi in mezzo alle piante, ripetono il suo nome per schernirlo. In mezzo a quel verde Lazzaro vede i due innamorati mentre si sussurrano qualcosa all’orecchio e ne rimane quasi incantato, come noi spettatori davanti alla bellezza di tali immagini. Le voci dei bambini si sentono ma loro non si vedono, questo espediente della voce fuori campo viene usato in diverse occasioni dalla regista.
L’incontro tra Lazzaro e Tancredi, il figlio della Marchesa, è un altro momento significativo della prima parte. Intento a recuperare il suo chihuahua Ercole, il marchesino si imbatte in un gruppo di contadini. Appena gira le spalle, gli uomini incominciano ad imitare il verso del vento, verso che viene ripetuto varie volte: quando Nicola se ne va dopo aver comunicato che i loro debiti nei confronti della Marchesa sono aumentati; quando Catirre (uno dei contadini), ormai vecchio, vive con gli altri in mezzo ai binari e insegue i treni che passano. È un gesto quasi scaramantico che serve ad allontanare le persone o le cose a loro estranee.
L’unico che non schernisce e che osserva Tancredi senza distogliere lo sguardo è Lazzaro. Gli offre addirittura il suo panino, il marchesino rifiuta e gli propone di darlo al cane, che a sua volta non riesce a mangiarlo. Da questa scena si comprende la differenza fra i due personaggi: Tancredi è il padrone, Lazzaro il servo. Nonostante tra i due sembri svilupparsi un legame d’amicizia che li porta a vivere alcune avventure insieme, Lazzaro rimane sempre, per tutto il corso del film, in un gradino inferiore rispetto a Tancredi. Mentre i sentimenti che prova Lazzaro sono sinceri, per Tancredi sembra essere tutto un gioco. Quando i due si incontrano, il marchesino è un giovane in piena crisi adolescenziale: si ribella alla madre ed inscena un rapimento per estorcerle dei soldi. Nella seconda parte del film, Tancredi porta Lazzaro con sé durante una finta trattativa con la banca per vendere le proprietà dell’Inviolata che non ha più. Quando viene buttato fuori dalla banca, non fa altro che ridere e l’ingegnere ingannato grida: «Sapete cosa siete voi due? Una parodia!». I due vivono secondo in un sistema di valori e di bisogni completamente diverso, quasi opposto. Il dualismo strutturale del film si riflette nelle loro figure. Inizialmente, quindi, la storia sembra prospettarsi come il racconto dell’amicizia tra due persone appartenenti a due classi sociali differenti, ma in realtà il marchesino e il contadino non si avvicineranno mai del tutto.
Tancredi è un personaggio eccentrico, quasi teatrale. Si nasconde nel rifugio segreto di Lazzaro, vicino alla stalla delle pecore, per ribellarsi al dispotismo materno. Quando Lazzaro cerca di riportarlo a casa, il nobile giovane recita un brano dell’Orlando Furioso, immedesimandosi ancor più in un cavaliere che vive eroiche avventure. In realtà, sfrutta il contadino per farsi portare da mangiare e per firmare con il sangue la lettera con la quale vuole chiedere il riscatto. Nel tempo libero, siccome in campagna non riesce ad utilizzare il cellulare, costruisce una fionda. La mostra all’amico con orgoglio, ma prova ad usarla e non funziona, quindi pensa di gettarla. A quel punto il ragazzo ingenuo si offre di ripararla, perciò Tancredi decide di cedergliela come simbolo della loro amicizia.
Dal momento che Lazzaro dichiara di non sapere chi siano i suoi genitori fra i contadini, Tancredi accenna l’ipotesi che i due siano fratellastri, inventandosi la storia della madre del contadino che lava i panni al fiume e di suo padre che la incontra mentre va ad abbeverare il cavallo. La fantasia del marchesino e tutti gli elementi cavallereschi alimentano il realismo magico della prima parte del film.
Il nome stesso di Tancredi richiama il personaggio de Il Gattopardo, nonostante la storia personale e il carattere dei due siano completamente differenti. Oltre al nome, ci sono però altri elementi di somiglianza fra il film e l’opera di Tomasi di Lampedusa. Ambientato durante il Risorgimento, il libro parla della decadenza dell’aristocrazia, di come la storia individuale degli individui venga influenzata dalla storia collettiva e di come «tutti ne [escano] male: il Principe e il suo intraprendente nipote, i borbonici e i liberali, e soprattutto la Sicilia del 1860». L’atteggiamento pessimistico dello scrittore viene ricalcato dalla regista: Lazzaro, nonostante la sua bontà, ne esce sconfitto. Non solo il pessimismo sembra essere lo stesso, ma anche il tema della decadenza della classe aristocratica coincide: la Marchesa viene dipinta come un personaggio anacronistico. Va in villeggiatura in una villa ormai rovinata dal tempo e si mette sotto l’ombrello ad osservare i contadini che lavorano, come fa il padre di Alfredo Berlinghieri nel film Novecento di Bertolucci. Ma la parvenza aristocratica della Marchesa e della sua famiglia viene smascherata dai carabinieri che “salvano” i contadini. La padrona compare solamente un’altra volta: quando Antonia, Lazzaro e gli altri contadini rimasti si recano a casa di Tancredi per pranzare e vedono un ritratto della madre nel corridoio di un palazzo ormai rovinato, loro stessi rimangono stupiti di fronte ad una tale decadenza.
Il Gattopardo, uscito postumo in un momento in cui la letteratura italiana prediligeva il genere del Neorealismo, viene visto come un’opera anacronistica. Allo stesso modo può essere considerato il film di Alice Rohrwacher che racconta della cultura contadina già trattata da altri registi italiani come Olmi, Bertolucci o Lattuada, ma secondo la definizione di Agamben, il film è contemporaneo proprio per quegli stessi aspetti che fanno dubitare della sua contemporaneità: per i suoi contrasti e contraddizioni.
L’atmosfera dell’opera si inserisce nel filone del realismo magico: a metà strada tra fiaba e realtà. L’attenzione ai dettagli, sottolineata prima, contribuisce a creare un’ambientazione realistica, così come le scene che rivelano la spontaneità e genuinità dei personaggi (i contadini sono interpretati da attori non professionisti). Come quando Lazzaro rivela al compagno di Antonia la commestibilità di alcune erbe selvatiche ed una contadina ormai anziana, che si fa tingere i capelli da Antonia, si mette a ridere davanti all’eccitazione dell’uomo: «ha scoperto l’acqua calda».
Lo stile con cui vengono girate queste scene, ma soprattutto le scene della vita contadina, è quasi documentaristico. In questo senso e anche grazie alla grande attenzione per la fotografia ricorda le immagini del regista Roberto Minervini. Per la sensibilità e l’attenzione nei confronti del tema dell’industrializzazione, richiama La bocca del lupo o Il passaggio della linea di Pietro Marcello. Mentre il realismo e il ritratto della società italiana rimandano allo stile di altri registi come Matteo Garrone o i fratelli D’Innocenzo, che non si lasciano «accecare dalle luci del secolo e [riescono] a scorgere in esse la parte dell’ombra», citando un’altra parte della definizione di Agamben. Insomma, la regista si inserisce pienamente nelle correnti stilistiche contemporanee, trovando la sua particolarità nella commistione di fiaba e realtà. Un’altra sua scelta caratteristica è il voler girare il film in 16 mm. L’uso della pellicola sottolinea l’importanza attribuita alla fotografia e alla luce. Questo scarto anacronistico le permette di trattare in maniera del tutto diversa i suoi film proprio nel momento in cui non vengono girati in digitale. In un’intervista, la regista dichiara la fedeltà al mezzo per la sua concretezza, che lo rende assolutamente affidabile ai suoi occhi.
Ritornando alla storia, il punto di svolta si ha a metà del film. Dopo la vicenda della fionda e della lettera di riscatto, Lazzaro viene rimproverato dagli altri contadini: non può permettersi di perdere un’altra giornata di lavoro. Così il giorno dopo, porta da mangiare a Tancredi, ma non passa del tempo con lui. Il marchesino si offende e lo scaccia malamente. Lazzaro rimane chiaramente turbato e, ad un certo punto della giornata, si incanta sotto la pioggia. Antonia lo recupera e lo mette al riparo, ma ormai si è ammalato. Lo sistemano a dormire nel letto con la nonna, il giorno dopo si sveglia: dal suo comportamento si capisce che si sente in colpa per non essere riuscito a tornare da Tancredi e ancora febbricitante cerca di raggiungerlo.
Questi minuti molto densi racchiudono già delle anticipazioni della seconda parte del film. Mentre i contadini cercano un posto in cui Lazzaro malato possa dormire, notano fuori dalla finestra una luce rossa lampeggiante nel bosco, di fianco alla luna, e si domandano cosa possa essere, sono totalmente ignoranti e impauriti dal mondo esterno (paura voluta e trasmessa dalla Marchesa). Il giorno dopo, mentre Lazzaro cammina per cercare di raggiungere Tancredi, un elicottero, probabilmente dei carabinieri chiamati da Teresa, la figlia di Nicola preoccupata per Tancredi, sorvola le terre dell’Inviolata. Tutti alzano lo sguardo per osservare questo fenomeno insolito e inaspettato, Lazzaro lo guarda, distraendosi perde l’equilibrio e cade da un dirupo.
Intermezzo
Subito dopo la caduta di Lazzaro, la voce fuori campo di Antonia comincia a raccontare la storia di San Francesco e il lupo di Gubbio. Il tema della religione è presente fin dall’inizio del film: la Marchesa legge la Bibbia e le storie dei santi ai bambini per istruirli. Quando Antonia porta Lazzaro nella villa, gli mostra le immagini di Sant’Agata e di un’altra santa nascoste nella camera padronale. Mentre la padrona sembra tramandare queste storie ai bambini che tiene in schiavitù solo per mantenere una parvenza di donna buona e fedele, Antonia si dimostra la vera credente perché banalmente riesce a capire e ad apprezzare i comportamenti di Lazzaro. Fin dall’inizio si può notare come la ragazza sia legata in qualche maniera a lui, probabilmente prova ammirazione per una persona così buona.
La storia di San Francesco che Antonia racconta è diversa da quella raccontata nei Fioretti del Santo. Nel film un lupo vecchio, solo ed affamato, uccide gli animali di un villaggio per nutrirsi. I paesani per fermarlo si rivolgono ad un Santo che ha la fama di saper parlare con gli animali. Il Santo accetta di andare a parlare con il lupo, inizia a cercarlo ma non riesce mai a trovarlo. Stremato dalla stanchezza e dalla fame il Santo sviene a terra, allora il lupo, che in realtà lo aveva seguito tutto il tempo, anche lui stanco e affamato, si avvicina per cibarsi, ma viene fermato dall’odore: «l’odore di uomo buono». Nel momento in cui Antonia finisce di raccontare la storia, un lupo si avvicina a Lazzaro, lo annusa e Lazzaro si risveglia.
Nella storia originale di San Francesco, l’aspetto dello svenimento, dell’odore e della magnanimità del lupo è assente. Viene probabilmente introdotto dall’autrice per sottolineare la bontà di Lazzaro, a cui viene concessa un’altra possibilità. Nel mondo contadino il ragazzo non è riuscito a sopravvivere, ma nel mondo contemporaneo e cittadino la situazione non migliora. Con questa scena fiabesca viene messo in evidenza e viene svelato il significato di un altro riferimento religioso: il nome di Lazzaro, tratto da un personaggio biblico fatto resuscitare da Gesù.
Il lupo è quindi un personaggio importante nella storia. Rappresenta la natura selvaggia, ma sembra essere l’unico, oltre ad Antonia, a capire la vera bontà di Lazzaro. Anche se, fino a quel momento, l’animale è stato considerato una presenza minacciosa per la comunità. Dopo che Tancredi e Lazzaro hanno passato la giornata insieme, sentono l’ululato e si mettono ad imitarlo, i contadini li sentono e cominciano a credere che i lupi siano più di uno. Nella scena in cui Nicola fai i conti dei prodotti che gli hanno consegnato, lo strozzino si accorge della mancanza due capponi: sono stati uccisi dal lupo. Questa mancanza fa aumentare il debito che i contadini hanno nei confronti della Marchesa. È evidente che il debito sempre in aumento sia uno stratagemma utilizzato per mantenerli ignoranti e al loro posto. Infatti, essi esprimono il loro disappunto solamente con le parole o con il verso del vento, ma non trovano mai il coraggio di ribellarsi del tutto. Anche la nobiltà de Il Gattopardo possiede dei feudi, ma, mentre nella Sicilia del XIX secolo questo sistema è normale anche se al tramonto, in Lazzaro Felice risulta anacronistico e contribuisce a creare quella indeterminatezza del tempo e del luogo che sottolinea l’aspetto fiabesco soprattutto nella prima parte del film.
Parte Seconda
La seconda parte comincia quando Lazzaro si risveglia. Nel suo cammino verso la città, si ritrova in un luogo dove sono stati installate delle antenne, probabilmente la fonte della luce rossa che i contadini avevano visto dalla loro casa. In questo luogo, simbolo di modernità rispetto alla campagna circostante, incontra Nicola invecchiato. Si capisce che sono passati degli anni da quando il ragazzo è caduto. Nicola, circondato da persone straniere, è intento a gestire una specie di asta per lavori a basso costo: chi offre la manodopera con il costo orario più basso vince. Viene così inserito nella cornice del film il tema del lavoro e degli immigrati, tipico della società odierna.
In seguito, Lazzaro incontra Antonia e altri membri della comunità contadina: la situazione per loro non è cambiata, anzi, è quasi peggiorata. Vivono di truffe e di furti in una specie di cisterna riadattata ad abitazione in mezzo ai binari. Sono rimasti degli emarginati della società: nonostante siano stati liberati dalla schiavitù contadina, non sono riusciti ad integrarsi e a migliorare la loro condizione. La loro vicenda era stata riportata nei giornali con il titolo «Il Grande Inganno», ma i carabinieri che li hanno salvati, in realtà non sono riusciti a salvarli dalla società.
Specularmente alla prima parte del film, Lazzaro incontra di nuovo Tancredi grazie al suo chihuahua, ridotto piuttosto male come il padrone.
Quando Tancredi fa visita alla famiglia dei contadini sembra di tornare nel passato: con una padella ricrea la luna, inizia a ululare e altre persone gli rispondono da lontano. Agli occhi di Lazzaro, che osserva la sua famiglia, ritornano ad essere tutti giovani. La madre di Stefania, una delle bambine della comunità, entra nella cisterna a chiamarla: attacca la lampadina al filo, ma la lampadina che viene inquadrata non è più a bulbo come quella che erano soliti utilizzare e scambiarsi da stanza a stanza all’Inviolata, si tratta di una lampadina a neon. Questo dettaglio estremamente realistico chiude la parentesi fiabesca e tutti ritornano nel presente.
Anche la scena in cui vanno a comprare i pasticcini nella migliore pasticceria della città sembra quasi fiabesca. La macchina da presa si sofferma più volte sui pasticcini perfetti e colorati, come a sottolineare la magia di quell’evento agli occhi di persone povere e umili che si accontentano di poco. La visita a casa di Tancredi sarà un’altra delusione per Lazzaro. Li accoglie alla porta Teresa, la figlia di Nicola, ma li manda via dopo averli scambiati per venditori porta a porta. Al secondo tentativo di farsi aprire e di spiegare che è stato Tancredi ad invitarli a pranzo, si sente la voce dell’uomo che dall’interno grida «Lasciami stare!». A quel punto i contadini si avviano sconsolati, finché Teresa non li chiama di nuovo dalla soglia di casa per chiedergli se possono lasciarle comunque i pasticcini. I ruoli si sono invertiti: mentre nella prima parte si vedeva una giovane Teresa che ordinava con supponenza ai contadini di gridare il nome di Tancredi, quando il ragazzo era sparito, ora chiede l’elemosina a quelli che un tempo considerava esseri inferiori. La banca li ha privati di tutto. Antonia le lascia i pasticcini senza esitazioni, dimostrando una generosità quasi religiosa nei confronti di altre persone in difficoltà.
Neanche la chiesa accoglie la famiglia dei contadini. Infatti, dopo essere usciti dal palazzo della Marchesa, vengono attirati dalla musica di un organo. Entrano in una chiesa, ma vengono mandati via perché si tratta di una funzione privata. La regista sottolinea con questo gesto le contraddizioni della società contemporanea e di coloro che predicano la religione. Le suore li scacciano, nonostante loro volessero semplicemente ascoltare della musica. Ma la musica si ribella al volere umano e segue la famiglia, si interrompe solamente quando Lazzaro piange, rattristato dal comportamento di Tancredi.
I riferimenti religiosi che Alice Rohrwacher usa sono legati non tanto alla chiesa come istituzione che non accoglie i protagonisti, quanto più alla bontà d’animo di Lazzaro e degli esseri umani. Come dichiara in un’intervista, non è mai stata battezzata, ma prova curiosità verso una “religione primitiva” che sente far parte di sé in quanto cresciuta in un paese cattolico. Questa curiosità l’ha spinta a chiedersi “Come insegnano la religione?” e a rispondere a questa domanda con il suo primo film Corpo celeste, la storia di una ragazzina che deve fare la cresima. La sua concezione della religione ricorda il pensiero di Federico Fellini che sentiva «come proprio il messaggio evangelico di amore e di fratellanza umana e
[mostrava] costantemente una sconfinata ammirazione per gli atti di fede semplici, come elementi di contrasto rispetto all’indifferenza religiosa contemporanea, specie se questi provenivano dai credenti più umili». Inoltre, è interessante osservare come la prima parte di Lazzaro Felice riprenda gli elementi principali del Cantico delle creature di San Francesco: il sole, la luna, il vento. I colori prevalenti sono il giallo della sabbia dei calanchi e del greto del fiume, e il verde delle foglie del tabacco. Siamo in estate, l’aridità del paesaggio ricorda le descrizioni della Sicilia de Il Gattopardo, mentre l’atmosfera fiabesca i romanzi di Italo Calvino. La cultura umanistica della regista, che ha studiato lettere classiche a Torino, giustificano questi riferimenti letterari che possono essere citazioni consapevoli o inconsapevoli, risultato di tutte le sue letture e dei suoi studi. La colonna sonora è composta da pochi brani, ma i rumori sono molto accentuati e contribuiscono al realismo del film. In campagna si sentono le cicale, il vento, lo scampanare delle pecore, i versi delle bestie. Nella seconda parte del film la situazione si ribalta: i rumori prevalenti sono i clacson delle macchine, il rumore del traffico, dei treni sui binari. È inverno e i colori che prevalgono sono il grigio e un azzurro sbiadito. Il filo conduttore fra una parte e l’altra è Lazzaro. Quella che all’inizio sembra essere una storia “coming-of-age” o, in termini letterari, un romanzo di formazione non viene portato a compimento: Lazzaro non cresce mai, rimane sempre uguale. Forse a dimostrare proprio la sua immutabile bontà indipendentemente dalla situazione in cui si trova, ma anche l’immutabilità della sua condizione: viene sempre sfruttato e considerato allo stesso modo. Solo Antonia con la sua sensibilità, difende il ragazzo dagli altri che lo vogliono mandar via perché lo credono un “diavolo”, e si sente in colpa a coinvolgerlo nelle truffe.
Lazzaro simboleggia l’immutabilità della società: il progresso non esiste veramente, i buoni vengono sempre puniti, come viene dimostrato dalla conclusione del film. Il ragazzo si reca in banca con la speranza di aiutare Tancredi. Ha in tasca la fionda, «l’arma» che il suo amico gli ha regalato. Per colpa di un malinteso i clienti della banca credono sia armato. Lazzaro non capisce cosa stia succedendo, vede il lupo di fianco sé e quando uno dei clienti scopre la verità, viene buttato a terra e picchiato. La brutalità della folla sembra ricordare la descrizione che ne fa Manzoni ne I promessi sposi, anche l’ingenuità di Lazzaro ricalca quella iniziale di Renzo. La macchina da presa si sofferma sullo sguardo del ragazzo sdraiato a terra e insanguinato. Non si capisce se sia vivo o morto, si vede una mano di un carabiniere che cerca di sentire il suo battito cardiaco, ma Lazzaro rimane immobile. Quando lui non si muove più, il lupo se ne va tra le macchine. Mentre prima lo aveva salvato, ora non ci sono più speranze.
La tematica principale del film è la perdita dell’innocenza. La società contemporanea non lascia posto alla bontà ingenua di persone come Lazzaro, in quest’ottica il lupo, che rappresenta la Natura, abbandona il ragazzo dopo avergli concesso una seconda possibilità. Alice Rohrwacher nei suoi film sembra auspicare ad un ritorno alla civiltà contadina e a valori semplici e puri. Molti personaggi delle sue pellicole sono bambini o adolescenti, come le protagoniste de Le meraviglie o Marta in Corpo Celeste. Anche il cortometraggio Omelia Contadina, realizzato dalla regista in collaborazione con l’artista francese JR, riprende la tematica pessimistica: è infatti il funerale simbolico dei contadini schiacciati dalle monoculture intensive.
Lazzaro Felice con il suo simbolismo si inserisce in pieno in questo discorso di rinascita e oppressione, di persone pure ed innocenti schiacciate e buttate a terra dalla società contemporanea.