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"Skam Italia 4": la nostra recensione della serie disponibile su Netflix

Skam: vergógna.
S. f.Sentimento di turbamento e di disagio suscitato dalla coscienza o dal timore della riprovazione e della condanna di altri per un’azione, un comportamento o una situazione, che siano o possano essere oggetto di un giudizio sfavorevole, di disprezzo o di discredito.

Anche chi scrive prova una certa vergogna: quando nel 2017 era stato annunciato un remake italiano di Skam (serie norvegese diventata un fenomeno), la nostra sfiducia era grande e la voglia di interessarsi al progetto era sotto zero.

Un po’ perché sentivamo ancora il vuoto lasciato dall’originale ma soprattutto perché conosciamo la qualità standard delle produzioni televisive del nostro paese, in particolar modo di quelle con un focus sugli adolescenti: lavori edulcorati, ripuliti, patinati, in cui il complesso mondo dei teenager è costantemente raccontato attraverso il filtro dell’occhio adulto.

Già dal primo trailer di Skam Italia, però, si notava qualcosa di diverso.

Incuriositi, abbiamo schiacciato play e ci siamo rimangiati ogni dubbio o esitazione. Dopo tre ottime stagioni - i cui protagonisti sono, rispettivamente, Eva, Martino ed Eleonora -, la cancellazione, il salvataggio da parte di Netflix e l’incertezza sull’uscita dettata dai tempi strani che stiamo vivendo, venerdì 15 la quarta (e ultima?) stagione è stata finalmente consegnata ai fan che l’aspettavano intrepidi – e che probabilmente l’hanno finita in 24 ore, come noi.

La protagonista di questo ciclo è Sana, ragazza musulmana di seconda generazione che si trova a fare i conti con la sua fede, la prima cotta, una società che la guarda con diffidenza e un microcosmo scolastico che porta con sé gli strascichi del bullismo (dal soprannome Osana Bin Laden ai meme che dietro la “““goliardia””” nascondono il coltello di un razzismo più o meno inconsapevole).

Casualmente, in questo momento la storia di Sana risulta più pregnante che mai, ma siamo certi non avrebbe perso un briciolo della sua potenza se le circostanze fossero state diverse: un racconto denso di spunti, di riflessioni e insegnamenti, trasmessi senza mai fare la paternale.

Senza prediche e senza impartire lezioni, Skam Italia crea un universo ricco e sfaccettato dove i protagonisti possano vivere, sbagliare, prendersi il tempo di respirare e, così, imparare.

Se noi vogliamo fargli capire le nostre differenze, dobbiamo dare risposte intelligenti alle loro domande stupide.
Perché altrimenti continuano a darsi delle risposte stupide alle loro domande, da soli.
E così non ci capiremo mai.

Skam Italia “sfonda il soffitto” della fiction italiana e riscrive le regole di un certo tipo di intrattenimento. Da adesso in poi, quando si parlerà di teen drama e si vorranno rappresentare i ragazzi in maniera genuina e autentica, senza cucire loro addosso situazioni antiquate o mettere loro in bocca modi di dire posticci, si potrà guardare all’esempio di Skam e al “trucco” con cui è stato concepito: ha coinvolto i diretti interessati, chiedendo la loro opinione.

È questo il segreto di Pulcinella (perché pare tanto ovvia come soluzione), scoperto da Julie Andem anni fa in Norvegia e tramandato da lei e dal suo team ai responsabili dei vari remake realizzati in giro per il mondo. 
Qui in Italia il nome dietro Skam è quello di Ludovico Bessegato, classe 1983, già produttore creativo di serie di successo come Rocco Schiavone e Il cacciatore. Dopo aver curato sceneggiatura e regia per le prime due stagioni, nella terza aveva lasciato il timone a Ludovico Di Martino, limitandosi alla stesura degli episodi, mentre, in questa quarta serie, torna anche dietro la macchina da presa per dirigere i “suoi” ragazzi verso la maturità. Maturità che si riscontra anche sul piano prettamente attoriale.
Tra i maggiori pregi di Skam Italia vi è sempre stata la capacità da parte di registi e autori di interagire con gli interpreti e i loro personaggi con grande spontaneità, dando alla luce una sinergia espressiva alquanto rara nel panorama televisivo italiano. Se si considera poi la giovanissima età degli attori – molti delle quali alle prime armi – sbalordisce la naturalezza con cui si muovono ed esprimono le proprie emozioni davanti alla macchina da presa. Ecco, a nostro parere la quarta stagione di Skam Italia segna un’importante crescita anche professionale per ciascun interprete, dai protagonisti ai comprimari: questi ultimi, delineati con la stessa cura dedicata ai personaggi principali, rappresentano l’ennesima carta vincente del progetto.

Vediamo così una Beatrice Bruschi misurata e convincente nell’interpretare il conflitto interiore di una Sana che cerca disperatamente di far convivere in armonia tutti gli ambiti della sua vita, dalla fede alla scuola, dagli affetti alle amicizie: non possiamo fare a meno di chiederci quanto ci avrebbe straziato se la serie fosse andata in onda nel format originale delle clip giornaliere (ma anche il bingewatch rende giustizia al suo lavoro e a quello di tutto il cast, nuovi interpreti compresi).

L’autenticità della dimensione familiare e religiosa di Sana è stata garantita da preziose consulenze, su tutte quella di Sumaya Abdel Qader (Consigliera Comunale di Milano e scrittrice) che ha collaborato alla sceneggiatura, aprendo con generosità le porte di un mondo e di una cultura spesso male interpretate e svelando agli occhi di tanti la delicatezza racchiusa dentro un momento significativamente intimo come la preghiera.

La presa di Skam, però, non è determinata solo dalla (imprescindibile) cura e attenzione riservata ai soggetti trattati. La sua forza sta nel riuscire a fotografare l’adolescenza per quello che è, un periodo di confusione e disagio, di incapacità di comunicare e di drammi che, per chi li vive, hanno portata epocale.

E lo fa senza mettersi su un piedistallo, senza adottare la prospettiva del “boomer che si immagina i giovani”, ma usando il linguaggio dei ragazzi, calandosi nelle loro situazioni e, soprattutto, ascoltando la loro musica (solo in questa stagione si passa da Lizzo a Gazzelle, da M¥SS KETA a Elettra Lamborghini, senza però disdegnare i Radiohead: ancora una volta il soundtrack colpisce nel segno).

L’importanza di vivere il tutto attraverso gli occhi di Sana, di condividere la sua visione del mondo, aggiunge alle vicende un punto di vista non scontato, prezioso, illuminante. Un punto di vista talvolta ingenuo, talvolta inaspettatamente maturo (come solo un adolescente sa essere), che sembra volerci dire: abbraccia la casualità delle emozioni e i rapporti che ne scaturiscono.

Perché, parafrasando le parole recitate da Gio (che dopo averci accolto nell’universo di Skam ha anche il compito di accompagnarci verso il finale), è un caso se questi ragazzi si sono parlati e sono diventati amici, se sono cresciuti insieme e hanno formato questa piccola famiglia fatta di matte e contrabbandieri.
Non è un caso, però, che a contare sia solo l’affetto reciproco e nient’altro.

Francesca Sala - Viola Franchini

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