«Chi sono? Sicuri di volerlo sapere? La storia della mia vita non è per i deboli di cuore. Se qualcuno ha detto che era una bella favoletta, se qualcuno vi ha raccontato che ero solo un tizio normale senza una preoccupazione al mondo, quel qualcuno ha mentito».
È il 2002, il Marvel Cinematic Universe è probabilmente solo un progetto ancora sbiadito nella Casa delle Idee, e anche i film con protagonisti i supereroi non sono molti, se si fa eccezione per i Superman con protagonista Christopher Reeve e i due Batman di Tim Burton. Ed è proprio il regista di Burbank, vista la qualità dei suoi cinecomic, una delle idee per poter dirigere un film su Spider-Man (dopo i primi tre trascurabili tentativi degli anni ‘70) da parte della Sony (che nel frattempo ha acquisito i diritti sul personaggio), ma non fu l’unica opzione presa in considerazione, anzi, la più concreta prima della scelta di Sam Raimi era un regista in piena rampa di lancio alla fine degli anni novanta: David Fincher. Lo stesso regista di Se7en e Fight Club lo ha confermato successivamente, rivelando che il suo interessa non fosse tanto sull’origine del personaggio, quanto sulla sua relazione con Gwen Stacy e che nel suo film avrebbe poi voluto mostrare la morte di quest’ultima, avvenuta dopo essere stata lanciata da un ponte da Goblin. Fu proprio Spidey, in realtà, a ucciderla, bloccandola con la ragnatela: una sequenza (notevole) mostrata anche in The Amazing Spider-Man 2, quando la ragnatela assume la forma di una mano per cercare di impedire che Gwen (Emma Stone) precipiti, non riuscendo però a prenderla in tempo.
La scelta di Marc Webb (e di Fincher), se si pensa ai fumetti, è comunque più corretta di quella di Sam Raimi, che ha deciso di puntare tutto su Mary Jane (Kirsten Dunst), lasciando al personaggio di Gwen solo un’apparizione nel terzo (e più debole) capitolo della sua trilogia, con il volto di Bryce Dallas Howard. Che sia Gwen, che sia MJ (Mary Jane o Michelle Jones, come Zendaya negli ultimi tre film), di fatto la relazione sentimentale è sempre centrale, ed è la voice over di Tobey Maguire a ribadirlo, proprio all’inizio di Spider-Man: «Ve l'assicuro: questa, come qualsiasi storia che valga il racconto, è a proposito di una ragazza». Aderente o meno ai fumetti di Stan Lee e Steve Ditko, tutti i film con protagonista l’Uomo-Ragno sono incentrati sulla relazione con una ragazza, vero motore dell’intreccio: è per far colpo su MJ che Peter decide di uscire la sera in cui morirà suo zio Ben, è sempre per lei e per paura di perderla che in Spider-Man 2 entra in crisi decidendo anche di gettare la maschera (pur solo temporaneamente), e se Gwen è protagonista nel cuore di Peter Parker in The Amazing Spider-Man e nel suo sequel, in Spider-Man: Far From Home la gita scolastica è l’occasione giusta per far nascere l’amore tra Peter e MJ, partendo dalle note di Stella Stai in viaggio verso Venezia.
«Goblin, che te ne pare? L’ho inventato da me! Oggi questi mostri devono avere un nome»
Tra i registi interessati a una trasposizione cinematografica di Spider-Man ci fu anche James Cameron, che aveva già scritto una sceneggiatura con antagonisti Electro e Uomo Sabbia e che, pare, avesse anche preso in considerazione Leonardo DiCaprio come protagonista. David Koepp, sceneggiatore della trilogia di Raimi, non scartò totalmente le idee di Cameron, ma decise comunque di modificare i villains dei diversi film: Goblin (Willem Dafoe), Doc Ock (Alfred Molina) e infine Uomo Sabbia (Thomas Haden Church) e Venom (Topher Grace) nel terzo capitolo. Su quest’ultimo, in particolare, non sono mancate le polemiche, perché Raimi avrebbe voluto solamente l’Uomo Sabbia e la possibilità di poter sviluppare il Goblin di Harry Osborn (James Franco), ma l’insistenza dei fan, con conseguente pressione della Sony, hanno obbligato il regista a inserire anche Venom, sprecando di fatto un’occasione: l’incipit e la storia dell’Uomo Sabbia erano molto promettenti. Se Goblin è un villain abbastanza classico, Doctor Octopus è invece il degno antagonista del miglior film su Spider-Man che sia mai stato realizzato: con una regia capace di spaziare tra horror e comic movie, Raimi dipinge un avversario tormentato (come Peter, del resto), scisso tra l’essere un mostro e i valori che invece lo hanno ispirato per tutta la vita e che lo porteranno alla redenzione. Inoltre, sembra che Raimi volesse proseguire anche con un quarto film, e non è un caso che in Spider-Man 2 e in Spider-Man 3 il professore cui Peter si rivolge spesso sia il dottor Connors, docente universitario cui manca un braccio: Lizard era già nei piani del regista. Ci penserà Marc Webb a inserirlo, quando nel 2012 realizza The Amazing Spider-Man, reboot con protagonista Andrew Garfield: è proprio Lizard il villain di un film tutt’altro che memorabile, primo capitolo di un progetto che doveva essere una trilogia e che, invece, si è fermato al secondo film.
Se The Amazing Spider-Man 2 è più convincente, comunque, lo deve proprio ai suoi villain, Electro e Goblin: il primo desideroso di vendetta verso un mondo incapace di considerarlo, il secondo con il desiderio di distruggere la Oscorp, che lo ha eliminato poco dopo la morte di suo padre. A farci le spese, come già detto, Gwen. Il finale lasciava aperta la possibilità di un terzo capitolo in cui Peter avrebbe dovuto vedersela con i Sinistri Sei: sono mostrati i tentacoli di Octopus, le ali di Vulture e l’armatura di Rhino (poi indossata da Paul Giamatti) ed è probabile che la squadra si sarebbe completata con Goblin, Mysterio e Kraven. Un film previsto per il 2016, quando, a tutti gli effetti, Spidey è tornato nelle sale, questa volta non più sotto il controllo della Sony, ma a casa sua: non il Queens, la Marvel, chiamato in causa in Captain America: Civil War. Interessante notare come si ripeta quanto già avvenuto per Lizard: anche in questo caso i cattivi che compaiono sono Vulture (in Spider-Man: Homecoming), interpretato da Michael Keaton, e Mysterio (Spider-Man: Far From Home), con il volto di Jake Gyllenhaal: in particolare quest’ultimo è un personaggio interessante, che permette a Jon Watts di calare il film in una contemporaneità fatta di illusione, apparenze, mondo virtuale e desiderio delle masse di creare qualcosa in cui poter credere. Il terzo capitolo con protagonista Tom Holland, Spider Man: No Way Home, vede il ritorno di tutti (o quasi) i villains dei film precedenti – un multiverso già esplorato con il notevole film animato Spider-Man: Un nuovo universo – ideale chiusura di un percorso che, secondo le parole di Amy Pascal, potrebbe proseguire con una nuova trilogia.
«Mi fido del mio barbiere»
Tra tutte le pellicole uscite su Spider-Man è però giusto soffermarsi sulla trilogia di Sam Raimi, che senza dubbio è quella che, come avvenuto con i Batman di Tim Burton, si discosta maggiormente dal cinecomic classico per portare con sé un tocco personale da parte del regista. A partire dalla presenza di Bruce Campbell, grandissimo amico di Raimi e presente in tutte le pellicole del regista: in Spider-Man è lo speaker dell’incontro clandestino, in Spider-Man 2 è la maschera a teatro, mentre in Spider-Man 3 è il maitre al ristorante. Una trilogia nata con la difficoltà di trovare il regista giusto, ma non è stato l’unico problema in sede di produzione: con uscita prevista nel 2002, il primo teaser trailer è stato presentato nel 2001 e vedeva un elicottero in fuga da una rapina fermarsi bloccato in una ragnatela enorme tra le Torri Gemelle: i tragici eventi dell’11 settembre hanno imposto la cancellazione del trailer (ripresentato restaurato 2 anni fa), come del resto i poster con l’Uomo Ragno arrampicato tra le Torri. Evento che comunque non ha impedito l’uscita nel 2002, con conseguente e immediato successo: nonostante alcune licenze evidenti rispetto al fumetto originale, Raimi concepisce un’origin story ben orchestrata, con Tobey Maguire lanciato nell’immaginario di un’intera generazione come volto di Spider-Man e un bacio a testa in giù sotto la pioggia presto divenuto iconico.
Raimi spazia sapientemente tra commedia e tragedia, non disdegnando tinte thriller e quasi horror: terreno preparatorio per il film successivo, dove tutte queste caratteristiche saranno potenziate. Se il primo film è a tutti gli effetti un’origin story, Spider-Man 2 indaga in profondità la psiche e le emozioni di tutti i personaggi: è un’opera che affronta la crisi, il concetto di maschera, di identità in senso lato, che si tratti di Peter Parker/Spider-Man, ma anche di Otto Octavius/Doctor Octopus, senza contare la narrazione della discesa agli inferi dell’anima di Harry Osborn. Menzione necessaria e particolare per J.K. Simmons, che veste egregiamente i panni di J. Jonah Jameson, direttore del Daily Bugle capace di regalare alcune tra le sequenze più esilaranti della trilogia, quasi diventate di culto, al punto che l’attore ha ripreso il suo ruolo anche nella nuova trilogia, mentre è assente nei film di Marc Webb. Una trilogia quasi perfetta, che ha il neo di un terzo capitolo non eccelso – cui comunque il simbionte e il costume nero vengono utilizzati anche in maniera simbolica – ma forse arrivare al livello del secondo capitolo era quasi impossibile: Raimi ha dato un tocco personale al suo Spider-Man ed è in questo modo che l’ha reso immortale.
«Qualunque cosa la vita abbia in serbo per me, non dimenticherò mai queste parole: "Da un grande potere derivano grandi responsabilità". È il mio talento, e la mia maledizione. Chi sono io? Sono Spider-Man!»
È il 2002, il Marvel Cinematic Universe è probabilmente solo un progetto ancora sbiadito nella Casa delle Idee, e anche i film con protagonisti i supereroi non sono molti, se si fa eccezione per i Superman con protagonista Christopher Reeve e i due Batman di Tim Burton. Ed è proprio il regista di Burbank, vista la qualità dei suoi cinecomic, una delle idee per poter dirigere un film su Spider-Man (dopo i primi tre trascurabili tentativi degli anni ‘70) da parte della Sony (che nel frattempo ha acquisito i diritti sul personaggio), ma non fu l’unica opzione presa in considerazione, anzi, la più concreta prima della scelta di Sam Raimi era un regista in piena rampa di lancio alla fine degli anni novanta: David Fincher. Lo stesso regista di Se7en e Fight Club lo ha confermato successivamente, rivelando che il suo interessa non fosse tanto sull’origine del personaggio, quanto sulla sua relazione con Gwen Stacy e che nel suo film avrebbe poi voluto mostrare la morte di quest’ultima, avvenuta dopo essere stata lanciata da un ponte da Goblin. Fu proprio Spidey, in realtà, a ucciderla, bloccandola con la ragnatela: una sequenza (notevole) mostrata anche in The Amazing Spider-Man 2, quando la ragnatela assume la forma di una mano per cercare di impedire che Gwen (Emma Stone) precipiti, non riuscendo però a prenderla in tempo.
La scelta di Marc Webb (e di Fincher), se si pensa ai fumetti, è comunque più corretta di quella di Sam Raimi, che ha deciso di puntare tutto su Mary Jane (Kirsten Dunst), lasciando al personaggio di Gwen solo un’apparizione nel terzo (e più debole) capitolo della sua trilogia, con il volto di Bryce Dallas Howard. Che sia Gwen, che sia MJ (Mary Jane o Michelle Jones, come Zendaya negli ultimi tre film), di fatto la relazione sentimentale è sempre centrale, ed è la voice over di Tobey Maguire a ribadirlo, proprio all’inizio di Spider-Man: «Ve l'assicuro: questa, come qualsiasi storia che valga il racconto, è a proposito di una ragazza». Aderente o meno ai fumetti di Stan Lee e Steve Ditko, tutti i film con protagonista l’Uomo-Ragno sono incentrati sulla relazione con una ragazza, vero motore dell’intreccio: è per far colpo su MJ che Peter decide di uscire la sera in cui morirà suo zio Ben, è sempre per lei e per paura di perderla che in Spider-Man 2 entra in crisi decidendo anche di gettare la maschera (pur solo temporaneamente), e se Gwen è protagonista nel cuore di Peter Parker in The Amazing Spider-Man e nel suo sequel, in Spider-Man: Far From Home la gita scolastica è l’occasione giusta per far nascere l’amore tra Peter e MJ, partendo dalle note di Stella Stai in viaggio verso Venezia.
«Goblin, che te ne pare? L’ho inventato da me! Oggi questi mostri devono avere un nome»
Tra i registi interessati a una trasposizione cinematografica di Spider-Man ci fu anche James Cameron, che aveva già scritto una sceneggiatura con antagonisti Electro e Uomo Sabbia e che, pare, avesse anche preso in considerazione Leonardo DiCaprio come protagonista. David Koepp, sceneggiatore della trilogia di Raimi, non scartò totalmente le idee di Cameron, ma decise comunque di modificare i villains dei diversi film: Goblin (Willem Dafoe), Doc Ock (Alfred Molina) e infine Uomo Sabbia (Thomas Haden Church) e Venom (Topher Grace) nel terzo capitolo. Su quest’ultimo, in particolare, non sono mancate le polemiche, perché Raimi avrebbe voluto solamente l’Uomo Sabbia e la possibilità di poter sviluppare il Goblin di Harry Osborn (James Franco), ma l’insistenza dei fan, con conseguente pressione della Sony, hanno obbligato il regista a inserire anche Venom, sprecando di fatto un’occasione: l’incipit e la storia dell’Uomo Sabbia erano molto promettenti. Se Goblin è un villain abbastanza classico, Doctor Octopus è invece il degno antagonista del miglior film su Spider-Man che sia mai stato realizzato: con una regia capace di spaziare tra horror e comic movie, Raimi dipinge un avversario tormentato (come Peter, del resto), scisso tra l’essere un mostro e i valori che invece lo hanno ispirato per tutta la vita e che lo porteranno alla redenzione. Inoltre, sembra che Raimi volesse proseguire anche con un quarto film, e non è un caso che in Spider-Man 2 e in Spider-Man 3 il professore cui Peter si rivolge spesso sia il dottor Connors, docente universitario cui manca un braccio: Lizard era già nei piani del regista. Ci penserà Marc Webb a inserirlo, quando nel 2012 realizza The Amazing Spider-Man, reboot con protagonista Andrew Garfield: è proprio Lizard il villain di un film tutt’altro che memorabile, primo capitolo di un progetto che doveva essere una trilogia e che, invece, si è fermato al secondo film.
Se The Amazing Spider-Man 2 è più convincente, comunque, lo deve proprio ai suoi villain, Electro e Goblin: il primo desideroso di vendetta verso un mondo incapace di considerarlo, il secondo con il desiderio di distruggere la Oscorp, che lo ha eliminato poco dopo la morte di suo padre. A farci le spese, come già detto, Gwen. Il finale lasciava aperta la possibilità di un terzo capitolo in cui Peter avrebbe dovuto vedersela con i Sinistri Sei: sono mostrati i tentacoli di Octopus, le ali di Vulture e l’armatura di Rhino (poi indossata da Paul Giamatti) ed è probabile che la squadra si sarebbe completata con Goblin, Mysterio e Kraven. Un film previsto per il 2016, quando, a tutti gli effetti, Spidey è tornato nelle sale, questa volta non più sotto il controllo della Sony, ma a casa sua: non il Queens, la Marvel, chiamato in causa in Captain America: Civil War. Interessante notare come si ripeta quanto già avvenuto per Lizard: anche in questo caso i cattivi che compaiono sono Vulture (in Spider-Man: Homecoming), interpretato da Michael Keaton, e Mysterio (Spider-Man: Far From Home), con il volto di Jake Gyllenhaal: in particolare quest’ultimo è un personaggio interessante, che permette a Jon Watts di calare il film in una contemporaneità fatta di illusione, apparenze, mondo virtuale e desiderio delle masse di creare qualcosa in cui poter credere. Il terzo capitolo con protagonista Tom Holland, Spider Man: No Way Home, vede il ritorno di tutti (o quasi) i villains dei film precedenti – un multiverso già esplorato con il notevole film animato Spider-Man: Un nuovo universo – ideale chiusura di un percorso che, secondo le parole di Amy Pascal, potrebbe proseguire con una nuova trilogia.
«Mi fido del mio barbiere»
Tra tutte le pellicole uscite su Spider-Man è però giusto soffermarsi sulla trilogia di Sam Raimi, che senza dubbio è quella che, come avvenuto con i Batman di Tim Burton, si discosta maggiormente dal cinecomic classico per portare con sé un tocco personale da parte del regista. A partire dalla presenza di Bruce Campbell, grandissimo amico di Raimi e presente in tutte le pellicole del regista: in Spider-Man è lo speaker dell’incontro clandestino, in Spider-Man 2 è la maschera a teatro, mentre in Spider-Man 3 è il maitre al ristorante. Una trilogia nata con la difficoltà di trovare il regista giusto, ma non è stato l’unico problema in sede di produzione: con uscita prevista nel 2002, il primo teaser trailer è stato presentato nel 2001 e vedeva un elicottero in fuga da una rapina fermarsi bloccato in una ragnatela enorme tra le Torri Gemelle: i tragici eventi dell’11 settembre hanno imposto la cancellazione del trailer (ripresentato restaurato 2 anni fa), come del resto i poster con l’Uomo Ragno arrampicato tra le Torri. Evento che comunque non ha impedito l’uscita nel 2002, con conseguente e immediato successo: nonostante alcune licenze evidenti rispetto al fumetto originale, Raimi concepisce un’origin story ben orchestrata, con Tobey Maguire lanciato nell’immaginario di un’intera generazione come volto di Spider-Man e un bacio a testa in giù sotto la pioggia presto divenuto iconico.
Raimi spazia sapientemente tra commedia e tragedia, non disdegnando tinte thriller e quasi horror: terreno preparatorio per il film successivo, dove tutte queste caratteristiche saranno potenziate. Se il primo film è a tutti gli effetti un’origin story, Spider-Man 2 indaga in profondità la psiche e le emozioni di tutti i personaggi: è un’opera che affronta la crisi, il concetto di maschera, di identità in senso lato, che si tratti di Peter Parker/Spider-Man, ma anche di Otto Octavius/Doctor Octopus, senza contare la narrazione della discesa agli inferi dell’anima di Harry Osborn. Menzione necessaria e particolare per J.K. Simmons, che veste egregiamente i panni di J. Jonah Jameson, direttore del Daily Bugle capace di regalare alcune tra le sequenze più esilaranti della trilogia, quasi diventate di culto, al punto che l’attore ha ripreso il suo ruolo anche nella nuova trilogia, mentre è assente nei film di Marc Webb. Una trilogia quasi perfetta, che ha il neo di un terzo capitolo non eccelso – cui comunque il simbionte e il costume nero vengono utilizzati anche in maniera simbolica – ma forse arrivare al livello del secondo capitolo era quasi impossibile: Raimi ha dato un tocco personale al suo Spider-Man ed è in questo modo che l’ha reso immortale.
«Qualunque cosa la vita abbia in serbo per me, non dimenticherò mai queste parole: "Da un grande potere derivano grandi responsabilità". È il mio talento, e la mia maledizione. Chi sono io? Sono Spider-Man!»