martedì 1 aprile 2025
alle 21:27
Riceviamo e con piacere pubblichiamo questa analisi firmata da Michele Biocotino
Era il 1952 quando Il più grande spettacolo del mondo di Cecil B. De Mille usciva al cinema. Tra le tante persone che videro il film, in una sala sperduta nel New Jersey un bambino di sei anni veniva accompagnato dai propri genitori ad assistere alla prima proiezione cinematografica della propria vita, cambiando così non solo il proprio futuro ma anche, e soprattutto, quello della settima arte. Quel bambino era Steven Spielberg, regista che, partendo proprio da questo specifico momento della propria vita, decide nel 2022 di raccontarsi nel suo più recente progetto dal titolo The Fabelmans, film in cui il cineasta di Cincinnati mette in scena un passato ricco di rimpianti e confessioni mai fatte, affrontando dopo tanti anni scheletri tenuti per troppo tempo nel proprio armadio.
Cinema e Famiglia
Il film racconta le vicende della famiglia Fabelman, mostrando allo spettatore dinamiche e problematiche domestiche tramite gli occhi di Sammy, giovane aspirante regista che grazie al proprio spassionato amore per il cinema impara ad affrontare ed elaborare gioie, paure e difficoltà della vita. The Fabelmans è la stupenda dichiarazione d’amore che Spielberg dedica alla propria infanzia mostrando allo spettatore, con raffinata delicatezza, i differenti percorsi che la famiglia protagonista ha intrapreso portando a continue ricongiunzioni, e al contempo separazioni, con persone e luoghi tanto amati in quello che si mostra a tutti gli effetti come un road movie/western in cui gli spostamenti sono affettivi ancor prima che geografici. In The Fabelmans oltre a raccontare la storia della propria famiglia, Spielberg parla dell’amore per il cinema e di come questo faccia sognare giovani ragazzi e ragazze, indipendentemente da chi essi siano (non è un caso che i nomi dei personaggi siano stati modificati rispetto a quelli reali). Il risultato è un’opera in cui famiglia e cinema si intrecciano, portando ad un film che è sì una dichiarazione d’amore, ma ancora prima un grande lavoro teorico e di analisi del cinema stesso che riflette sulla natura e sugli scopi di quest’ultimo attraversando l’intera storia della settima arte.
Cinema e Narrazione
Per prima cosa Spielberg si concentra sul potere narrativo del cinema mostrando quanto essere un regista voglia dire saper narrare storie e realtà che, attraverso una cinepresa, risultano completamente differenti. Nel corso della storia diversi grandi cineasti hanno lavorato attorno al concetto di narrazione con l’obiettivo di trovare modi sempre nuovi per coinvolgere e spesso ingannare le menti degli spettatori: Basti pensare alla supsense e ai macguffin di Alfred Hitchcock o a Tim Burton che al raccontare storie ha dedicato il suo intero capolavoro Big Fish, fino ad arrivare a Steven Spielberg. In The Fabelmans Spielberg mostra quanto il saper narrare sia in grado di influenzare la propria vita tramite gli occhi di sé stesso da giovane. Infatti nel film Sammy, fin dalla tenera età, riprende qualsiasi istante della propria quotidianità ottenendo tanti piccoli film che mostrano i momenti di svago con le proprie sorelle, le giornate in campeggio con l’intera famiglia oppure feste scolastiche. È però nel momento in cui questi film vengono proiettati di fronte al pubblico che la magia del cinema prende forma, mettendo in evidenza come il solo atto di raccontare possa influenzare i rapporti umani: Infatti osserviamo dinamiche tra personaggi cambiare da rivalità ad alleanze nel momento in cui questi si vedono rappresentati dal proprio “nemico” come degli eroi paragonati a divinità greche (pensiamo alla scena del ballo scolastico) ribaltando così le gerarchie sociali. Il momento però in cui il rapporto tra cinema e narrazione acquisisce maggiormente forma è sicuramente la scena in cui Sammy si occupa del montaggio del film sul campeggio: il protagonista si rende conto della drammatica realtà che è sempre stata sotto i propri occhi solo nel momento in cui osserva il proprio film, diventando allo stesso tempo regista e pubblico. Con questa potentissima scena, che ha inoltre una grande importanza per il proseguo della narrazione, Spielberg ci mostra come il cinema sia potente nella sua visione e nel suo ruolo di raccontastorie tanto per il pubblico quanto per il regista stesso che solo una volta calato nei panni dello spettatore può rendersi conto di ciò che ha prodotto e di cosa veramente questo rappresenti.
Cinema tra Tecnologia e Arte
Uno degli obiettivi di The Fabelmans è parlare di quella che è la natura del cinema: una fusione tra arte e tecnologia. Nel corso della storia del cinema il concetto di fusione tra opposti (o anche solo apparentemente tali) è stato al centro dell’idea artistica di vari registi, uno tra tutti Terrence Malick, cineasta che nel suo splendido The Tree of Life rappresenta la nascita della vita mostrando l’incontro/scontro tra grazia divina e natura mettendo quest’ultime in scena nella maniera più naturale possibile, cioè tramite le figure di padre e madre. In The Fabelmans Spielberg fa lo stesso tramite i propri genitori sottolineando quelli che erano i loro interessi e lavori: la madre era una pianista, persona votata all’arte e fuori dagli schemi; il padre, di professione ingegnere, era una persona concreta e coi piedi per terra. Il film mostra come, proprio grazie all’unione e allo scontro tra queste due personalità opposte, il figlio Sammy abbia potuto coltivare un così profondo desiderio di diventare regista. La nascita del cinema, che probabilmente più di tutte le forme d’arte dipende dallo sviluppo tecnologico, viene da Spielberg metaforicamente rappresentata nell’ambiente familiare tramite la nascita della passione del protagonista grazie alle diversità dei propri genitori. Tra le tante scene del film in cui viene mostrato questo concetto bisogna porre particolare attenzione alla parte iniziale della pellicola, quando il protagonista è ancora bambino. Il padre (scienza e pragmatismo) spiega al figlio come utilizzare la sua prima cinepresa e come prendersene cura, ma è la madre (arte e umanità) a capire esattamente il perchè Sammy voglia usarla. Arte e scienza, umanità e tecnologia che insieme portano alla nascita del primo film del piccolo protagonista, che quest’ultimo sceglie di proiettare per la prima volta utilizzando le proprie mani come schermo in un’inquadratura stupenda e incredibilmente significativa che ci ricorda quanto noi esseri umani facciamo parte del cinema stesso.
Cinema e Necessità
A chiudere questa pellicola troviamo una scena molto particolare. Sammy, ormai adolescente, si ritrova a parlare per pochi minuti con il proprio idolo: il regista John Ford. A far riflettere non è tanto la conversazione in sé (episodio realmente avvenuto nella vita di Spielberg) quanto un piccolo ma importante dettaglio: l’attore che interpreta Ford, cioè David Lynch. Per chi non lo sapesse, David Lynch è un regista famoso per aver ideato la serie TV I segreti di Twin Peaks e diretto grandissimi film tra cui, solo per citarne alcuni, Velluto Blu e Mulholland Drive. Il suo cameo in The Fabelmans risulta decisamente inaspettato, non solo perchè raramente Lynch ha interpretato personaggi in film diretti da altri, ma anche e soprattutto perchè questa interpretazione avviene proprio in un film di Steven Spielberg. I due sono registi differenti nel loro approccio al cinema e all’arte in generale e quindi sorge spontanea una domanda: qual è il legame tra David Lynch e il film autobiografico di Steven Spielberg? Una delle possibili risposte risiede in quello che è uno dei motivi per cui Lynch è diventato regista, cioè la necessità. Dall’arte del cineasta è più volte emerso quanto lo scrivere e dirigere film derivasse dalla necessità di comunicare qualcosa a sé stesso ancora prima che al pubblico. Essere regista per Lynch è l’unico modo per interpretare i propri pensieri, capirli e poterli finalmente abbandonare dopo che questi sono diventati un’ossessione. Dopo aver guardato The Fabelmans si nota quanto anche Spielberg, nel girare il film, abbia in realtà soddisfatto questo tipo di necessità nei propri confronti dopo così tanti anni di confessioni mai fatte. A partire dalle prime scene in cui il desiderio del protagonista di dirigere il primo film nasce dal bisogno di esorcizzare una propria paura, potendo così renderla reale, guardarla e, dopo averla vinta, lasciarla andare. C’è però una scena, forse la più importante del film, in cui questo bisogno di dirigere storie per necessità personale conferisce un emozionante valore all’intero lungometraggio, facendo quasi pensare che uno dei motivi per cui Spielberg abbia diretto The Fabelmans sia stato proprio arrivare a questo momento. L’episodio in questione è quello in cui Sammy mostra alla madre il filmato del campeggio: nella scena vediamo il ragazzo chiudere nella cabina armadio la propria madre ponendola di fronte al filmato. Sammy non entra con lei, rimane fuori lasciandola sola davanti a qualcosa di difficile da affrontare. Noi, però, entriamo con la donna e non guardiamo il film, il quale rappresenta qualcosa che già conosciamo, ma osserviamo le sue reazioni, gli sguardi di una persona spaventata che guarda, esattamente come uno spettatore in una sala cinematografica, e si rende conto che le proprie colpe sono state scoperte. Sammy, o più precisamente il giovane Steven Spielberg, abbandona la madre davanti ai propri gravi ma ingenui errori, giudicandola e creando una spaccatura emotiva difficile da sanare. Nel pensare a cosa possa aver provato Spielberg nel dirigere questa scena sorge spontanea una domanda: The Fabelmans nasce da un senso di colpa durato circa 50 anni? La madre di Spielberg è stata definita in passato da ques’ultimo “La più grande star che ho incontrato nella mia vita”, una musa per il regista al quale era unito da un forte legame che però, in quello specifico momento, si è per pochi attimi incrinato a causa dell’incapacità del ragazzo di perdonare. Viene da pensare che questa scelta fatta da giovane abbia portato il regista a sviluppare forti sensi di colpa fino al 2022 quando in The Fabelmans l’adulto Spielberg, e non il giovane Sammy, prende coraggio ed entra in quella cabina armadio, guardando attraverso la cinepresa per la prima volta il volto della madre come a dirle “Ti ho abbandonata allora, non ti abbandonerò più”.
Michele Biocotino
Conclusione
The Fabelmans è un film bellissimo, probabilmente il più personale e complesso da dirigere nella carriera di Steven Spielberg. Basti pensare ai collaboratori storici del regista che hanno dichiarato come quest’ultimo abbia più volte avuto bisogno di conforto e sostegno durante le riprese spesso troppo difficili da portare avanti, soprattutto quando si affrontano certi ricordi. The Fabelmans è un film da vedere e rivedere che non può assolutamente lasciare indifferenti, un film in cui Spielberg ci mostra quanto il cinema sia potente nello scavare tra ricordi lontani ma impressi nella memoria rendendoli vivi. “I film sono sogni che non dimenticherai mai” dice la madre di Sammy rivolta al figlio nella primissima scena del film, frase che, dopo aver visto The Fabelmans, non può che essere vera.
Era il 1952 quando Il più grande spettacolo del mondo di Cecil B. De Mille usciva al cinema. Tra le tante persone che videro il film, in una sala sperduta nel New Jersey un bambino di sei anni veniva accompagnato dai propri genitori ad assistere alla prima proiezione cinematografica della propria vita, cambiando così non solo il proprio futuro ma anche, e soprattutto, quello della settima arte. Quel bambino era Steven Spielberg, regista che, partendo proprio da questo specifico momento della propria vita, decide nel 2022 di raccontarsi nel suo più recente progetto dal titolo The Fabelmans, film in cui il cineasta di Cincinnati mette in scena un passato ricco di rimpianti e confessioni mai fatte, affrontando dopo tanti anni scheletri tenuti per troppo tempo nel proprio armadio.
Cinema e Famiglia
Il film racconta le vicende della famiglia Fabelman, mostrando allo spettatore dinamiche e problematiche domestiche tramite gli occhi di Sammy, giovane aspirante regista che grazie al proprio spassionato amore per il cinema impara ad affrontare ed elaborare gioie, paure e difficoltà della vita. The Fabelmans è la stupenda dichiarazione d’amore che Spielberg dedica alla propria infanzia mostrando allo spettatore, con raffinata delicatezza, i differenti percorsi che la famiglia protagonista ha intrapreso portando a continue ricongiunzioni, e al contempo separazioni, con persone e luoghi tanto amati in quello che si mostra a tutti gli effetti come un road movie/western in cui gli spostamenti sono affettivi ancor prima che geografici. In The Fabelmans oltre a raccontare la storia della propria famiglia, Spielberg parla dell’amore per il cinema e di come questo faccia sognare giovani ragazzi e ragazze, indipendentemente da chi essi siano (non è un caso che i nomi dei personaggi siano stati modificati rispetto a quelli reali). Il risultato è un’opera in cui famiglia e cinema si intrecciano, portando ad un film che è sì una dichiarazione d’amore, ma ancora prima un grande lavoro teorico e di analisi del cinema stesso che riflette sulla natura e sugli scopi di quest’ultimo attraversando l’intera storia della settima arte.
Cinema e Narrazione
Per prima cosa Spielberg si concentra sul potere narrativo del cinema mostrando quanto essere un regista voglia dire saper narrare storie e realtà che, attraverso una cinepresa, risultano completamente differenti. Nel corso della storia diversi grandi cineasti hanno lavorato attorno al concetto di narrazione con l’obiettivo di trovare modi sempre nuovi per coinvolgere e spesso ingannare le menti degli spettatori: Basti pensare alla supsense e ai macguffin di Alfred Hitchcock o a Tim Burton che al raccontare storie ha dedicato il suo intero capolavoro Big Fish, fino ad arrivare a Steven Spielberg. In The Fabelmans Spielberg mostra quanto il saper narrare sia in grado di influenzare la propria vita tramite gli occhi di sé stesso da giovane. Infatti nel film Sammy, fin dalla tenera età, riprende qualsiasi istante della propria quotidianità ottenendo tanti piccoli film che mostrano i momenti di svago con le proprie sorelle, le giornate in campeggio con l’intera famiglia oppure feste scolastiche. È però nel momento in cui questi film vengono proiettati di fronte al pubblico che la magia del cinema prende forma, mettendo in evidenza come il solo atto di raccontare possa influenzare i rapporti umani: Infatti osserviamo dinamiche tra personaggi cambiare da rivalità ad alleanze nel momento in cui questi si vedono rappresentati dal proprio “nemico” come degli eroi paragonati a divinità greche (pensiamo alla scena del ballo scolastico) ribaltando così le gerarchie sociali. Il momento però in cui il rapporto tra cinema e narrazione acquisisce maggiormente forma è sicuramente la scena in cui Sammy si occupa del montaggio del film sul campeggio: il protagonista si rende conto della drammatica realtà che è sempre stata sotto i propri occhi solo nel momento in cui osserva il proprio film, diventando allo stesso tempo regista e pubblico. Con questa potentissima scena, che ha inoltre una grande importanza per il proseguo della narrazione, Spielberg ci mostra come il cinema sia potente nella sua visione e nel suo ruolo di raccontastorie tanto per il pubblico quanto per il regista stesso che solo una volta calato nei panni dello spettatore può rendersi conto di ciò che ha prodotto e di cosa veramente questo rappresenti.
Cinema tra Tecnologia e Arte
Uno degli obiettivi di The Fabelmans è parlare di quella che è la natura del cinema: una fusione tra arte e tecnologia. Nel corso della storia del cinema il concetto di fusione tra opposti (o anche solo apparentemente tali) è stato al centro dell’idea artistica di vari registi, uno tra tutti Terrence Malick, cineasta che nel suo splendido The Tree of Life rappresenta la nascita della vita mostrando l’incontro/scontro tra grazia divina e natura mettendo quest’ultime in scena nella maniera più naturale possibile, cioè tramite le figure di padre e madre. In The Fabelmans Spielberg fa lo stesso tramite i propri genitori sottolineando quelli che erano i loro interessi e lavori: la madre era una pianista, persona votata all’arte e fuori dagli schemi; il padre, di professione ingegnere, era una persona concreta e coi piedi per terra. Il film mostra come, proprio grazie all’unione e allo scontro tra queste due personalità opposte, il figlio Sammy abbia potuto coltivare un così profondo desiderio di diventare regista. La nascita del cinema, che probabilmente più di tutte le forme d’arte dipende dallo sviluppo tecnologico, viene da Spielberg metaforicamente rappresentata nell’ambiente familiare tramite la nascita della passione del protagonista grazie alle diversità dei propri genitori. Tra le tante scene del film in cui viene mostrato questo concetto bisogna porre particolare attenzione alla parte iniziale della pellicola, quando il protagonista è ancora bambino. Il padre (scienza e pragmatismo) spiega al figlio come utilizzare la sua prima cinepresa e come prendersene cura, ma è la madre (arte e umanità) a capire esattamente il perchè Sammy voglia usarla. Arte e scienza, umanità e tecnologia che insieme portano alla nascita del primo film del piccolo protagonista, che quest’ultimo sceglie di proiettare per la prima volta utilizzando le proprie mani come schermo in un’inquadratura stupenda e incredibilmente significativa che ci ricorda quanto noi esseri umani facciamo parte del cinema stesso.
Cinema e Necessità
A chiudere questa pellicola troviamo una scena molto particolare. Sammy, ormai adolescente, si ritrova a parlare per pochi minuti con il proprio idolo: il regista John Ford. A far riflettere non è tanto la conversazione in sé (episodio realmente avvenuto nella vita di Spielberg) quanto un piccolo ma importante dettaglio: l’attore che interpreta Ford, cioè David Lynch. Per chi non lo sapesse, David Lynch è un regista famoso per aver ideato la serie TV I segreti di Twin Peaks e diretto grandissimi film tra cui, solo per citarne alcuni, Velluto Blu e Mulholland Drive. Il suo cameo in The Fabelmans risulta decisamente inaspettato, non solo perchè raramente Lynch ha interpretato personaggi in film diretti da altri, ma anche e soprattutto perchè questa interpretazione avviene proprio in un film di Steven Spielberg. I due sono registi differenti nel loro approccio al cinema e all’arte in generale e quindi sorge spontanea una domanda: qual è il legame tra David Lynch e il film autobiografico di Steven Spielberg? Una delle possibili risposte risiede in quello che è uno dei motivi per cui Lynch è diventato regista, cioè la necessità. Dall’arte del cineasta è più volte emerso quanto lo scrivere e dirigere film derivasse dalla necessità di comunicare qualcosa a sé stesso ancora prima che al pubblico. Essere regista per Lynch è l’unico modo per interpretare i propri pensieri, capirli e poterli finalmente abbandonare dopo che questi sono diventati un’ossessione. Dopo aver guardato The Fabelmans si nota quanto anche Spielberg, nel girare il film, abbia in realtà soddisfatto questo tipo di necessità nei propri confronti dopo così tanti anni di confessioni mai fatte. A partire dalle prime scene in cui il desiderio del protagonista di dirigere il primo film nasce dal bisogno di esorcizzare una propria paura, potendo così renderla reale, guardarla e, dopo averla vinta, lasciarla andare. C’è però una scena, forse la più importante del film, in cui questo bisogno di dirigere storie per necessità personale conferisce un emozionante valore all’intero lungometraggio, facendo quasi pensare che uno dei motivi per cui Spielberg abbia diretto The Fabelmans sia stato proprio arrivare a questo momento. L’episodio in questione è quello in cui Sammy mostra alla madre il filmato del campeggio: nella scena vediamo il ragazzo chiudere nella cabina armadio la propria madre ponendola di fronte al filmato. Sammy non entra con lei, rimane fuori lasciandola sola davanti a qualcosa di difficile da affrontare. Noi, però, entriamo con la donna e non guardiamo il film, il quale rappresenta qualcosa che già conosciamo, ma osserviamo le sue reazioni, gli sguardi di una persona spaventata che guarda, esattamente come uno spettatore in una sala cinematografica, e si rende conto che le proprie colpe sono state scoperte. Sammy, o più precisamente il giovane Steven Spielberg, abbandona la madre davanti ai propri gravi ma ingenui errori, giudicandola e creando una spaccatura emotiva difficile da sanare. Nel pensare a cosa possa aver provato Spielberg nel dirigere questa scena sorge spontanea una domanda: The Fabelmans nasce da un senso di colpa durato circa 50 anni? La madre di Spielberg è stata definita in passato da ques’ultimo “La più grande star che ho incontrato nella mia vita”, una musa per il regista al quale era unito da un forte legame che però, in quello specifico momento, si è per pochi attimi incrinato a causa dell’incapacità del ragazzo di perdonare. Viene da pensare che questa scelta fatta da giovane abbia portato il regista a sviluppare forti sensi di colpa fino al 2022 quando in The Fabelmans l’adulto Spielberg, e non il giovane Sammy, prende coraggio ed entra in quella cabina armadio, guardando attraverso la cinepresa per la prima volta il volto della madre come a dirle “Ti ho abbandonata allora, non ti abbandonerò più”.
Michele Biocotino
Conclusione
The Fabelmans è un film bellissimo, probabilmente il più personale e complesso da dirigere nella carriera di Steven Spielberg. Basti pensare ai collaboratori storici del regista che hanno dichiarato come quest’ultimo abbia più volte avuto bisogno di conforto e sostegno durante le riprese spesso troppo difficili da portare avanti, soprattutto quando si affrontano certi ricordi. The Fabelmans è un film da vedere e rivedere che non può assolutamente lasciare indifferenti, un film in cui Spielberg ci mostra quanto il cinema sia potente nello scavare tra ricordi lontani ma impressi nella memoria rendendoli vivi. “I film sono sogni che non dimenticherai mai” dice la madre di Sammy rivolta al figlio nella primissima scena del film, frase che, dopo aver visto The Fabelmans, non può che essere vera.