Sono passati solo sette giorni dal disastro che l’Enigmista ha causato a Gotham nel finale di The Batman, quando Oswald Cobblepot (Colin Farrell), complice l’assassinio di Carmine Falcone (John Turturro nel film, Mark Strong nella serie), decide che è giunto il momento di iniziare la scalata verso il vertice della malavita della città. Tuttavia, sulla via del successo, trova Sofia Falcone (Cristin Milioti), figlia di Carmine appena uscita da Arkham e desiderosa di vendetta. Oswald e Sofia, due anime dannate, figlie di una Gotham sempre più cupa e due facce opposte della stessa medaglia. Una medaglia chiamata famiglia.
Se si dovesse cercare il fil rouge che unisce i protagonisti della serie lo si troverebbe proprio nel termine famiglia, da declinarsi in molteplici aspetti, anche se il significato più immediato è senza dubbio quello legato alla mafia. L’ambiente malavitoso della città, in cui la faida tra i Falcone e i Maroni ha da sempre sparso fiumi di sangue tra le strade di Gotham, sembra aver subito una scossa decisiva dalla morte di Carmine, anche se la sua eredità rimane un fantasma troppo ingombrante da poter lasciare alle spalle così facilmente. E Oswald, che viveva nell’ombra di Falcone, del quale era tirapiedi, lo sa benissimo e sa perfettamente cosa occorre per poter arrivare ad essere il padrone di Gotham. Il Pinguino di Colin Farrell si distacca totalmente sia da quello creato da Tim Burton sia da quello animato di Paul Dini: al di là della deformità (loro con mani palmate, lui con la camminata zoppicante), se i due Cobblepot degli anni ’90 erano stati capaci (pur in modo diverso) di creare una sorta di empatia e a tratti di compassione, in questo caso ci si trova davanti a un gelido calcolatore senza scrupoli, anima nera e corrotta, con un solo punto debole. La madre. Una figura ingombrante nella sua vita, dalla quale cerca ossessivamente approvazione e affetto, al punto che sembra che tutte le sue azioni siano finalizzate all’essere considerato degno da lei, sin dalla tenera età: in tal senso, è scioccante e ipnotico l’episodio Cappello a cilindro (Top Hat, con chiaro omaggio al celeberrimo musical con Fred Astaire e Ginger Rogers), in cui viene fatta luce sull’infanzia di Oz.
Episodio che potrebbe essere il migliore di tutta la serie, se non fosse oscurato da Cent’anni, totalmente incentrato su Sofia Falcone, su come sia diventata L’Impiccato e sui 10 anni trascorsi ad Arkham. Sofia, personaggio creato da Jeph Loeb e Tim Sale in Il lungo Halloween, è magnetica e affascinante, spietata e inquietante, straordinariamente interpretata da Cristin Milioti, capace di prendersi totalmente la scena, tanto che a tratti viene da chiedersi se il titolo più adatto per la serie non dovesse essere proprio Sofia. Come Oz, anche lei è il frutto del legame con la sua famiglia (o Famiglia?), dalla quale, però, a differenza di Cobblepot, vuole prendere totalmente le distanze, mostrando tutto l’odio per un padre omicida e traditore che l’ha condannata a un destino crudele. Scegliere di chiamare la nuova dinastia mafiosa Gigante, cognome della madre, è quantomai significativo nella volontà di cancellare ogni traccia possibile di un passato che ha lasciato solchi indelebili su di lei, sul suo corpo e nella sua anima. Un personaggio strepitoso, complesso e sfaccettato, capace di rimanere nella memoria, con la speranza di rivederla anche sul grande schermo.
Oz e Sofia, due creature forgiate dalla Famiglia Falcone e dalle scelte (fatte o subite) nel loro passato, due figli che nell’anima hanno sempre vissuto una sensazione di vuoto e di abbandono. Orfani di padre (lui) e di madre (lei), come orfano è Vic, aiutante di Oswald che ha perso i genitori – l’unica famiglia sana mostrata nella serie – durante il disastro della settimana precedente. Assenza, come quella di Batman da una Gotham in cui si susseguono violenze di ogni genere, traffici illegali di sostanze stupefacenti e in cui la lotta per il potere miete continuamente vittime. Il silenzio del Cavaliere Oscuro è assordante, ma allo stesso tempo vincente, per non essere l’ennesima figura ingombrante capace di mettere in secondo piano i protagonisti.
Matt Reeves, regista del sorprendente lungometraggio sul Cavaliere Oscuro e produttore esecutivo dello spin-off ideato da Lauren LeFranc, ha gettato delle ottime basi per l’atteso ritorno sul grande schermo di Robert Pattinson nei panni di Bruce Wayne in The Batman – Part II, che dovrebbe arrivare nelle sale alla fine del 2026.
Lorenzo Bianchi