Tim Burton è, da sempre, un regista che ha improntato la sua poetica sulle immagini più che sulla logica, dipingendo scenari fiabeschi e onirici a tinte dark, spesso raggiungendo dei livelli memorabili, a partire dal cortometraggio d’esordio, Vincent. Ne abbiamo selezionate 10 (+1), anche se non è stato semplice: sono tutte in ordine cronologico, per questa ragione, tranne la prima, in assoluto la più bella che il regista di Burbank abbia mai realizzato.
1) Ice Dance - Edward mani di forbice (1990)
Magia e simbolo raramente si sono incontrati con tanta potenza visiva ed emozionale. È quasi Natale nella cittadina americana (che tanto ricorda Burbank) dove non ha mai nevicato, ma talmente falsa che persino la neve sui tetti viene messa artificialmente: fino a quel momento. Kim (Winona Ryder) esce di casa, come se sentisse che sta succedendo qualcosa di strano: le note di Danny Elfman iniziano e lo sguardo della ragazza si posa su Edward, che sta scolpendo un angelo nel ghiaccio, sprigionando nell’aria dei fiocchi di neve. Lei, danza, e la macchina da presa la segue, inquadrando le sculture nelle siepi, poi lei, ancora le siepi, lei e infine l’angelo: anche la trasformazione di Kim ora è completa, da ex cheerleader superficiale è diventata la creatura che riuscirà, anche se per poco, a salvare per sempre Edward, dopo essere stata salvata.
2) Vincent (1982)
Il cortometraggio d’esordio di Tim Burton potrebbe essere visto come una macrosequenza che fa da biglietto da visita per la poetica autoriale del regista. Un poema narrato in sottofondo dall’attore Vincent Price (vero modello per Burton, che lo vorrà anche in Edward mani di forbice) che parla di doppio, di un bambino che tenta di fuggire dalla sua realtà immaginando di essere, appunto, Vincent Price, e di finire in una storia dell’orrore di Edgar Allan Poe. Realizzato in bianco e nero e in stop-motion, Vincent introduce anche elementi stilistici propri dello stile burtoniano: gli omaggi all’espressionismo e gli occhi enormi, quasi persi, estranei in un mondo in cui sentirsi eternamente esclusi.
3) Frankenweenie (1984)
Primo mediometraggio di Tim Burton (di cui realizzerà uno splendido remake nel 2012) Frankenweenie omaggia l’horror classico con l’inconfondibili stile del regista di Burbank. La sequenza chiave è sicuramente il momento in cui il piccolo cagnolino Sparky viene riportato in vita dal giovane Victor Frankenstein: il laboratorio costruito artigianalmente in soffitta con elettrodomestici casalinghi, un ombrello e un pipistrello (Batman?) da acchiappafulmine per raccogliere l’energia necessaria per portare a termine l’esperimento con successo, una bicicletta con spirali tra i raggi e uno sguardo carico di sogno e speranza. Il tostapane illuminato e gli addobbi natalizi animati portano l’atmosfera nella fantascienza e l’incanto si trasforma in poco tempo in commozione e gioia: Sparky è vivo, di nuovo!
4) Opening Credits - Beetlejuice (1988)
Beffardo, Tim Burton al suo secondo film decide immediatamente di mettere in guardia lo spettatore: Beetlejuice non è un’opera come tutte le altre. In tal senso, i titoli di testa – cui Burton dà sempre molto rilievo – sono quantomai efficaci: il sottofondo musicale di Danny Elfman accompagna la macchina da presa che sorvola un bosco, poi si innalza su cittadina, un paesino qualunque e nel crescendo delle note la lente si avvicina sempre di più agli edifici. Segue la strada che si snoda salendo sopra una collinetta, in cima c’è una casa, isolata, e poco dopo la scritta “Directed by Tim Burton”, un ragno esce da dietro l’edificio, rivelando agli spettatori che si trovano di fronte a un modellino.
5) La Galleria d’arte - Batman (1989)
Tra le sequenze più iconiche di Batman c’è sicuramente l’intrusione di Joker e dei suoi scagnozzi nel museo di Gotham City. Il tutto si svolge sulle note di Partyman di Prince: statuette scaraventare al suolo e la scritta “Joker was here” scritto, chiaramente in viola, su un quadro danno inizio ad un climax avanguardistico e distruttivo. Vengono deturpate le opere d’arte arrivando a prendere a schiaffi l’autoritratto di Rembrandt, mentre Lincoln e Washington, simboli americani, vengono imbrattati, il tutto nell’ottica della trasformazione. Cui segue, però un momento di totale follia anarchica, con secchiate di vernice sui quadri, con un’unica eccezione: Figura con la carne di Francis Bacon. «Questo è il mio genere Bob, lascia stare!»
6) Il ballo in maschera - Batman – Il ritorno (1992)
Unica eccezione nella carriera di Tim Burton, che non ha mai voluto realizzare sequel, Batman – Il ritorno è una delle migliori opere sul Cavaliere Oscuro. Batman, tuttavia, è un pretesto per il regista, che può anche questa volta declinare le tematiche a lui care, in cui spiccano il mostruoso, il doppio e le maschere. Una sequenza che spicca è la festa di Max Shreck (Christopher Walken), una festa in maschera, dove solo due invitati si presentano apparentemente senza: Selina Kyle (Michelle Pfeiffer) e Bruce Wayne (Michael Keaton). Apparentemente, appunto. Perché ormai la loro trasformazione è completa, quelle sono le loro maschere socialmente accettate di ciò che invece loro sono veramente: Catwoman e Batman.
7) L'incontro con Bela Lugosi - Ed Wood (1994)
Tim Burton decide di raccontare la storia di colui che più volte è stato definito “il peggior regista di tutti i tempi”: Edward D. Wood Junior. Realizzato in uno splendido bianco e nero, il film vive di sequenze memorabili, tra cui spicca l’incontro tra il regista e il suo idolo, Bela Lugosi (Martin Landau): il giovane è deluso dopo un colloquio negativo agli Studios, passeggiando, nota qualcosa nella vetrina di un negozio che vende bare (Hollywood Mortuary, non casuale) si ferma, si toglie gli occhiali da sole incredulo e si avvicina. La mdp diventa soggettiva del suo sguardo che si posa sulla bara, in cui giace un signore anziano, che scopriremo essere Bela Lugosi, nella posizione che ricorda i film di Dracula di cui è stato protagonista. «È troppo stretta, non riesco ad incrociare bene le braccia».
8) Il tempo si ferma al circo - Big Fish (2003)
Il capolavoro di Tim Burton arriva nel 2003: Big Fish. La storia di Edward Bloom arriva inevitabilmente all’incontro con la sua futura sposa, Sandra Templeton, in quella che avrebbe potuto essere una serata qualunque per il giovane, e che invece gli cambierà la vita. Si reca al circo e alla fine dello spettacolo Edward nota un’incantevole regazza bionda, la guarda, e tutto attorno a lui si blocca: i pop corn si fermano a mezz’aria, gli acrobati si immobilizzano, solo lui può muoversi e avvicinarsi alla ragazza. Tuttavia, poco prima di toccarla, il tutto riprende a correre, rapidamente, e lei gli sfugge: «Dicono che quando uno incontra l'amore della sua vita il tempo si ferma. Ed è vero. Quello che non dicono è che quando il tempo si rimette in moto va a doppia velocità per recuperare».
9) Arrivano i morti! - La sposa cadavere (2005)
«Il destino ci ha voluto unire e nessuna forza al mondo potrà mai separarci»: le parole di Lord Barkis pongono fine al grigio del mondo dei vivi, spalancando la via al verde acceso dal camino, con conseguente arrivo dei morti dall’aldilà. Può iniziare la versione burtoniana della notte dei morti viventi, con scheletri che invadono la città e gli abitanti impauriti che cercano di fuggire in una confusione di corse e grida. La svolta avviene grazie agli occhi di un bambino, che si avvicina ad uno egli scheletri, si fa prendere in braccio e riconosce in lui suo nonno: lo abbraccia, cromaticamente si cambia ancora, i vivi non hanno più paura, al punto che anche marito e moglie possono ricongiungersi: «Alfred? Ma sei morto da 15 anni!» «Francamente cara me ne infischio!»
10) La vendetta mancata - Sweeney Todd - Il diabolico barbiere di Fleet Street (2007)
Con Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street il regista di Burbank si avventura nel musical puro, acuendo le sue tinte dark e horror. La sequenza in cui il giudice Turpin (Alan Rickman) si reca da Sweeney Todd (Johnny Depp) per farsi tagliare la barba è sicuramente l’occasione propizia che il barbiere attendeva per consumare la sua vendetta. Burton gestisce magistralmente il tempo narrativo e gli eventi, lasciando intendere allo spettatore che da un momento all’altro il rasoio potrebbe fendere la gola del malvagio giudice, i due cantano, anche all’unisono e la mano di Depp si muove lentamente, mentre il crescendo musicale indica che si sta correndo rapidamente verso la conclusione. Il taglio. La vendetta. L’irruzione del giovane Anthony fa svanire tutto, improvvisamente. Suspense e sorpresa.
+1: «Cos’è?» - Nightmare Before Christmas (1993)
Gioiello in stop motion ufficialmente firmato Henry Selick ma in tutto e per tutto opera di Tim Burton (tanto da essere anche intitolato Tim Burton’s The Nightmare Before Christmas) che ne ha creato soggetto e personaggi. Sono molte le sequenze memorabili, tra cui spicca il momento in cui Jack Skellington apre involontariamente la porta di Christmastown e ne viene riuscchiato: da quell’istante inizia un connubio perfetto e magico tra musica ed immagini, tra la voce di Danny Elfman (o Renato Zero nella versione italiana) e l’impeccabile animazione, capaci di rendere la meraviglia e lo stupore di un personaggio splendido che, una volta uscito dalla sua routine, si è trovato in un mondo a lui totalmente nuovo, sconosciuto, nel quale cerca tracce della sua quotidianità e resta stupito nel non trovarle.
1) Ice Dance - Edward mani di forbice (1990)
Magia e simbolo raramente si sono incontrati con tanta potenza visiva ed emozionale. È quasi Natale nella cittadina americana (che tanto ricorda Burbank) dove non ha mai nevicato, ma talmente falsa che persino la neve sui tetti viene messa artificialmente: fino a quel momento. Kim (Winona Ryder) esce di casa, come se sentisse che sta succedendo qualcosa di strano: le note di Danny Elfman iniziano e lo sguardo della ragazza si posa su Edward, che sta scolpendo un angelo nel ghiaccio, sprigionando nell’aria dei fiocchi di neve. Lei, danza, e la macchina da presa la segue, inquadrando le sculture nelle siepi, poi lei, ancora le siepi, lei e infine l’angelo: anche la trasformazione di Kim ora è completa, da ex cheerleader superficiale è diventata la creatura che riuscirà, anche se per poco, a salvare per sempre Edward, dopo essere stata salvata.
2) Vincent (1982)
Il cortometraggio d’esordio di Tim Burton potrebbe essere visto come una macrosequenza che fa da biglietto da visita per la poetica autoriale del regista. Un poema narrato in sottofondo dall’attore Vincent Price (vero modello per Burton, che lo vorrà anche in Edward mani di forbice) che parla di doppio, di un bambino che tenta di fuggire dalla sua realtà immaginando di essere, appunto, Vincent Price, e di finire in una storia dell’orrore di Edgar Allan Poe. Realizzato in bianco e nero e in stop-motion, Vincent introduce anche elementi stilistici propri dello stile burtoniano: gli omaggi all’espressionismo e gli occhi enormi, quasi persi, estranei in un mondo in cui sentirsi eternamente esclusi.
3) Frankenweenie (1984)
Primo mediometraggio di Tim Burton (di cui realizzerà uno splendido remake nel 2012) Frankenweenie omaggia l’horror classico con l’inconfondibili stile del regista di Burbank. La sequenza chiave è sicuramente il momento in cui il piccolo cagnolino Sparky viene riportato in vita dal giovane Victor Frankenstein: il laboratorio costruito artigianalmente in soffitta con elettrodomestici casalinghi, un ombrello e un pipistrello (Batman?) da acchiappafulmine per raccogliere l’energia necessaria per portare a termine l’esperimento con successo, una bicicletta con spirali tra i raggi e uno sguardo carico di sogno e speranza. Il tostapane illuminato e gli addobbi natalizi animati portano l’atmosfera nella fantascienza e l’incanto si trasforma in poco tempo in commozione e gioia: Sparky è vivo, di nuovo!
4) Opening Credits - Beetlejuice (1988)
Beffardo, Tim Burton al suo secondo film decide immediatamente di mettere in guardia lo spettatore: Beetlejuice non è un’opera come tutte le altre. In tal senso, i titoli di testa – cui Burton dà sempre molto rilievo – sono quantomai efficaci: il sottofondo musicale di Danny Elfman accompagna la macchina da presa che sorvola un bosco, poi si innalza su cittadina, un paesino qualunque e nel crescendo delle note la lente si avvicina sempre di più agli edifici. Segue la strada che si snoda salendo sopra una collinetta, in cima c’è una casa, isolata, e poco dopo la scritta “Directed by Tim Burton”, un ragno esce da dietro l’edificio, rivelando agli spettatori che si trovano di fronte a un modellino.
5) La Galleria d’arte - Batman (1989)
Tra le sequenze più iconiche di Batman c’è sicuramente l’intrusione di Joker e dei suoi scagnozzi nel museo di Gotham City. Il tutto si svolge sulle note di Partyman di Prince: statuette scaraventare al suolo e la scritta “Joker was here” scritto, chiaramente in viola, su un quadro danno inizio ad un climax avanguardistico e distruttivo. Vengono deturpate le opere d’arte arrivando a prendere a schiaffi l’autoritratto di Rembrandt, mentre Lincoln e Washington, simboli americani, vengono imbrattati, il tutto nell’ottica della trasformazione. Cui segue, però un momento di totale follia anarchica, con secchiate di vernice sui quadri, con un’unica eccezione: Figura con la carne di Francis Bacon. «Questo è il mio genere Bob, lascia stare!»
6) Il ballo in maschera - Batman – Il ritorno (1992)
Unica eccezione nella carriera di Tim Burton, che non ha mai voluto realizzare sequel, Batman – Il ritorno è una delle migliori opere sul Cavaliere Oscuro. Batman, tuttavia, è un pretesto per il regista, che può anche questa volta declinare le tematiche a lui care, in cui spiccano il mostruoso, il doppio e le maschere. Una sequenza che spicca è la festa di Max Shreck (Christopher Walken), una festa in maschera, dove solo due invitati si presentano apparentemente senza: Selina Kyle (Michelle Pfeiffer) e Bruce Wayne (Michael Keaton). Apparentemente, appunto. Perché ormai la loro trasformazione è completa, quelle sono le loro maschere socialmente accettate di ciò che invece loro sono veramente: Catwoman e Batman.
7) L'incontro con Bela Lugosi - Ed Wood (1994)
Tim Burton decide di raccontare la storia di colui che più volte è stato definito “il peggior regista di tutti i tempi”: Edward D. Wood Junior. Realizzato in uno splendido bianco e nero, il film vive di sequenze memorabili, tra cui spicca l’incontro tra il regista e il suo idolo, Bela Lugosi (Martin Landau): il giovane è deluso dopo un colloquio negativo agli Studios, passeggiando, nota qualcosa nella vetrina di un negozio che vende bare (Hollywood Mortuary, non casuale) si ferma, si toglie gli occhiali da sole incredulo e si avvicina. La mdp diventa soggettiva del suo sguardo che si posa sulla bara, in cui giace un signore anziano, che scopriremo essere Bela Lugosi, nella posizione che ricorda i film di Dracula di cui è stato protagonista. «È troppo stretta, non riesco ad incrociare bene le braccia».
8) Il tempo si ferma al circo - Big Fish (2003)
Il capolavoro di Tim Burton arriva nel 2003: Big Fish. La storia di Edward Bloom arriva inevitabilmente all’incontro con la sua futura sposa, Sandra Templeton, in quella che avrebbe potuto essere una serata qualunque per il giovane, e che invece gli cambierà la vita. Si reca al circo e alla fine dello spettacolo Edward nota un’incantevole regazza bionda, la guarda, e tutto attorno a lui si blocca: i pop corn si fermano a mezz’aria, gli acrobati si immobilizzano, solo lui può muoversi e avvicinarsi alla ragazza. Tuttavia, poco prima di toccarla, il tutto riprende a correre, rapidamente, e lei gli sfugge: «Dicono che quando uno incontra l'amore della sua vita il tempo si ferma. Ed è vero. Quello che non dicono è che quando il tempo si rimette in moto va a doppia velocità per recuperare».
9) Arrivano i morti! - La sposa cadavere (2005)
«Il destino ci ha voluto unire e nessuna forza al mondo potrà mai separarci»: le parole di Lord Barkis pongono fine al grigio del mondo dei vivi, spalancando la via al verde acceso dal camino, con conseguente arrivo dei morti dall’aldilà. Può iniziare la versione burtoniana della notte dei morti viventi, con scheletri che invadono la città e gli abitanti impauriti che cercano di fuggire in una confusione di corse e grida. La svolta avviene grazie agli occhi di un bambino, che si avvicina ad uno egli scheletri, si fa prendere in braccio e riconosce in lui suo nonno: lo abbraccia, cromaticamente si cambia ancora, i vivi non hanno più paura, al punto che anche marito e moglie possono ricongiungersi: «Alfred? Ma sei morto da 15 anni!» «Francamente cara me ne infischio!»
10) La vendetta mancata - Sweeney Todd - Il diabolico barbiere di Fleet Street (2007)
Con Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street il regista di Burbank si avventura nel musical puro, acuendo le sue tinte dark e horror. La sequenza in cui il giudice Turpin (Alan Rickman) si reca da Sweeney Todd (Johnny Depp) per farsi tagliare la barba è sicuramente l’occasione propizia che il barbiere attendeva per consumare la sua vendetta. Burton gestisce magistralmente il tempo narrativo e gli eventi, lasciando intendere allo spettatore che da un momento all’altro il rasoio potrebbe fendere la gola del malvagio giudice, i due cantano, anche all’unisono e la mano di Depp si muove lentamente, mentre il crescendo musicale indica che si sta correndo rapidamente verso la conclusione. Il taglio. La vendetta. L’irruzione del giovane Anthony fa svanire tutto, improvvisamente. Suspense e sorpresa.
+1: «Cos’è?» - Nightmare Before Christmas (1993)
Gioiello in stop motion ufficialmente firmato Henry Selick ma in tutto e per tutto opera di Tim Burton (tanto da essere anche intitolato Tim Burton’s The Nightmare Before Christmas) che ne ha creato soggetto e personaggi. Sono molte le sequenze memorabili, tra cui spicca il momento in cui Jack Skellington apre involontariamente la porta di Christmastown e ne viene riuscchiato: da quell’istante inizia un connubio perfetto e magico tra musica ed immagini, tra la voce di Danny Elfman (o Renato Zero nella versione italiana) e l’impeccabile animazione, capaci di rendere la meraviglia e lo stupore di un personaggio splendido che, una volta uscito dalla sua routine, si è trovato in un mondo a lui totalmente nuovo, sconosciuto, nel quale cerca tracce della sua quotidianità e resta stupito nel non trovarle.