La seconda giornata del Torino Film Festival 2019 ha visto passare, tra i film della sezione Onde, la più sperimentale del cartellone, il documentario SACAVÉM di Julio Alves. Si tratta di un viaggio, potremmo dire al termine della notte, nel cinema del grande autore portoghese Pedro Costa, con sequenze tratte dai suoi film come Casa de Lava, Ossos, No Quarto da Vanda, Juventude Em Marcha, Cavalo Dinhero; tra frammenti di fotografie, diari di lavorazione e colonne audio, lasciandosi guidare dalla voce fuori campo del regista, il lavoro di Alves si configura come un'affascinante indagine dello stile e del metodo di questo cineasta liminale e marginale, fresco di Pardo d'Oro a Locarno col suo ultimo film, VITALINA VARELA, anch'esso inserito al TFF 37 nella medesima sezione (al link esterno trovate la nostra recensione). "Non scrivo niente, non immagino niente, non dirigo niente. Mi considero un produttore di cose e persone, che organizzo insieme", dice nelle prime battute del film la voce cupa e distante dello stesso Costa, per poi immegersi, tra ritagli di giornale e riflessioni sui paesaggi scarnificati del suo cinema, quaderni gonfi di note sostituitive delle sceneggiature originali (quasi delle "anti-sceneggiature", a suo dire) e dubbi di radicale e prostrante ferocia sulla sua condizione di osservatore, nell'ontologia di un cinema scandito da tormenti, accostamenti folgoranti tra scene solo in apparenza distanti e da una costante e ineludibile messa in discussione e ri-definizione della realtà. "Le cose esistono - dice ancora ancora Costa nel documentario - solo se ho con me la macchina da presa per filmarle".
In Festa Mobile ha invece trovato posto THE GOOD LIAR di Bill Condon con Ian McKellen e Helen Mirren, thriller senile e sfiatato per la cui recensione vi rimandiamo al link evidenziato in rosso (il film sarà nelle nostre sale cinematografiche dal prossimo 5 dicembre col titolo L'INGANNO PERFETTO). Così come per LIBERTÉ, lo scandaloso e provocatorio film di Albert Serra inserito nella sezione TFF/Desiderio, già vincitore del premio della giuria nella sezione Un Certain Regard allo scorso Festival di Cannes, e per DIO È DONNA E SI CHIAMA PETRUNYA, in concorso allo scorso Festival di Berlino e in arrivo nelle nostre sale il prossimo 12 dicembre distribuito da Teodora.
Largo infine, al culmine della giornata di sabato 23 novembre, alla tradizionale NOTTE HORROR, che ha avuto in cartellone un grande classico del cinema horror d'annata come IL MOSTRO DELLA LAGUNA NERA di Jack Arnold, preceduto e seguito rispettivamente da BLOOD QUANTUM, film canadese diretto da Jeff Barnaby, e dal britannico THE LODGE firmato da Severin Fiala e Veronika Franz, compagna nella vita del cineasta austriaco Ulrich Seidl. Il primo dei due film racconta di un esercito di morti che tornano in vita risparmiando l’isolata riserva di Red Crow Mi’gmaq, dove gli abitanti indigeni sono i soli a essere immuni alla piaga zombie. Traylor, lo sceriffo della tribù, deve proteggere dall’orda dei morti viventi bianchi la fidanzata del figlio, incinta, i rifugiati dell’apocalisse e la gentaglia della riserva. Tra salmoni guizzanti, cani soppressi e bruciati che continuano ad abbaiare e beghe interne a una riserva indiana canadese, il film di Barnaby, nativo egli stesso di una riserva Mi'kmaq del Quebec, è un prodotto grossolano negli snodi narrativi ed estetici ma spudoratamente ancorato a una prospettiva razziale che permette al congegno di genere di sovraccarsi di uno scarto politico che non rinuncia alla valorizzazione delle molteplici frattaglie disseminate al suo interno. Nulla di nuovo sotto il sole, ma il sangue tra le file della Resistenza non scorre di certo a caso.
The Lodge è invece una parabola horrorifica che, nel solco di Hereditary di Ari Aster, ricorre a delle miniature di ambienti domestici e persone per fornire loro un raddoppiamento fantasmatico. Due ragazzini, fratello e sorella, che hanno perso la madre tragicamente, il loro padre e Grace, la sua fidanzata, reduce da un passato ancora più traumatico, si ritrovano insieme per trascorrere il Natale in una bella casa isolata, tra la neve. Ma il padre deve tornare in città per qualche giorno. E qualcuno gira per casa di notte. Un pretesto labile e già visto, ma indubbiamente preciso nella sua stasi esibita, per una storia spettrale che ricorre a molti artifici e soluzioni già ampiamente percorse dal genere, concentrandosi sull'espiazione cristologica di peccati condivisi e su un senso di colpa che deforma i contorni della realtà. Il campionario degli elementi tirati in ballo è trito e ritrito, ma il mestiere registico indubbio e la protagonista Riley Keough, attrice e modella statunitense già vista in Mad Max: Fury Road e American Honey, è una scream queen di tutto rispetto, molto poco matriarcale e in disarmo, che intrattiene anche un rapporto vagamente erotico e perfino incestuoso con uno dei personaggi in campo amplificando angosce e implicazioni oscene.
Davide Stanzione
In Festa Mobile ha invece trovato posto THE GOOD LIAR di Bill Condon con Ian McKellen e Helen Mirren, thriller senile e sfiatato per la cui recensione vi rimandiamo al link evidenziato in rosso (il film sarà nelle nostre sale cinematografiche dal prossimo 5 dicembre col titolo L'INGANNO PERFETTO). Così come per LIBERTÉ, lo scandaloso e provocatorio film di Albert Serra inserito nella sezione TFF/Desiderio, già vincitore del premio della giuria nella sezione Un Certain Regard allo scorso Festival di Cannes, e per DIO È DONNA E SI CHIAMA PETRUNYA, in concorso allo scorso Festival di Berlino e in arrivo nelle nostre sale il prossimo 12 dicembre distribuito da Teodora.
Largo infine, al culmine della giornata di sabato 23 novembre, alla tradizionale NOTTE HORROR, che ha avuto in cartellone un grande classico del cinema horror d'annata come IL MOSTRO DELLA LAGUNA NERA di Jack Arnold, preceduto e seguito rispettivamente da BLOOD QUANTUM, film canadese diretto da Jeff Barnaby, e dal britannico THE LODGE firmato da Severin Fiala e Veronika Franz, compagna nella vita del cineasta austriaco Ulrich Seidl. Il primo dei due film racconta di un esercito di morti che tornano in vita risparmiando l’isolata riserva di Red Crow Mi’gmaq, dove gli abitanti indigeni sono i soli a essere immuni alla piaga zombie. Traylor, lo sceriffo della tribù, deve proteggere dall’orda dei morti viventi bianchi la fidanzata del figlio, incinta, i rifugiati dell’apocalisse e la gentaglia della riserva. Tra salmoni guizzanti, cani soppressi e bruciati che continuano ad abbaiare e beghe interne a una riserva indiana canadese, il film di Barnaby, nativo egli stesso di una riserva Mi'kmaq del Quebec, è un prodotto grossolano negli snodi narrativi ed estetici ma spudoratamente ancorato a una prospettiva razziale che permette al congegno di genere di sovraccarsi di uno scarto politico che non rinuncia alla valorizzazione delle molteplici frattaglie disseminate al suo interno. Nulla di nuovo sotto il sole, ma il sangue tra le file della Resistenza non scorre di certo a caso.
The Lodge è invece una parabola horrorifica che, nel solco di Hereditary di Ari Aster, ricorre a delle miniature di ambienti domestici e persone per fornire loro un raddoppiamento fantasmatico. Due ragazzini, fratello e sorella, che hanno perso la madre tragicamente, il loro padre e Grace, la sua fidanzata, reduce da un passato ancora più traumatico, si ritrovano insieme per trascorrere il Natale in una bella casa isolata, tra la neve. Ma il padre deve tornare in città per qualche giorno. E qualcuno gira per casa di notte. Un pretesto labile e già visto, ma indubbiamente preciso nella sua stasi esibita, per una storia spettrale che ricorre a molti artifici e soluzioni già ampiamente percorse dal genere, concentrandosi sull'espiazione cristologica di peccati condivisi e su un senso di colpa che deforma i contorni della realtà. Il campionario degli elementi tirati in ballo è trito e ritrito, ma il mestiere registico indubbio e la protagonista Riley Keough, attrice e modella statunitense già vista in Mad Max: Fury Road e American Honey, è una scream queen di tutto rispetto, molto poco matriarcale e in disarmo, che intrattiene anche un rapporto vagamente erotico e perfino incestuoso con uno dei personaggi in campo amplificando angosce e implicazioni oscene.
Davide Stanzione