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Un ricordo di Agnès Varda, regista dal tocco intimo e personale

Con la scomparsa di Agnès Varda se n’è andata davvero una grande pagina di storia del cinema: la regista nata in Belgio nel 1928 avrebbe compiuto 91 anni il prossimo maggio e lascia dietro di sé una filmografia sterminata e ricca di numerosi titoli indimenticabili.

Dal Belgio si è trasferita presto in Francia, dove ha iniziato a interessarsi alla fotografia, prima, e al cinema, poi, con l’esordio nel 1954 con La pointe-courte, un’opera prima adorabile e freschissima, giovanile ma già di grande profondità, in cui recita Philippe Noiret (anche lui agli esordi) e che annovera come montatore Alain Resnais, che diventerà in seguito uno straordinario regista di film del calibro di Hiroshima, mon amour (1959) e L’anno scorso a Marienbad (1961).

Agnès Varda sarà così una delle grandi protagoniste del rinnovamento del cinema francese che prenderà il nome di Nouvelle Vague, anche se rispetto al nucleo principale (composto da registi come François Truffaut, Jean-Luc Godard, Claude Chabrol, Eric Rohmer e Jacques Rivette) lei non proviene dalla critica cinematografica, rifiuta tale etichetta e avrà uno stile impossibile da incasellare, sempre personale e dotato di uno sguardo attentissimo al mondo che la circondava.

Non a caso già alla fine degli anni Cinquanta firma diversi documentari, prima di tornare al cinema di finzione nel 1962 con il raffinato e memorabile Cléo dalle 5 alle 7, film su due ore nella vita di una cantante che aspetta degli importanti referti medici sulla sua salute.

Nel 1965 viene premiata al Festival di Berlino con Il verde prato dell’amore, mentre alla Mostra di Venezia l’anno successivo presenta Le creature, in cui recitano Michel Piccoli e Catherine Deneuve.

Sono anni di grandi soddisfazioni anche per suo marito Jacques Demy, amore della sua vita e anche lui regista fondamentale del cinema francese del periodo: tra i suoi lavori principali si può ricordare Les parapluies de Cherbourg del 1964.

Per tutta la vita regista militante e fortemente impegnata in numerose lotte sociali, Varda partecipa al progetto Lontano dal Vietnam del 1967, film a episodi in cui numerosi autori importanti (tra cui anche Godard e Resnais) sposano la causa vietnamita andando contro gli Stati Uniti.

Sul finire degli anni Sessanta soggiorna per breve tempo a Los Angeles e firma una pellicola sul mondo di Hollywood, Lions Love, e un documentario di circa 30 minuti intitolato Black Panthers e incentrato sul movimento delle Pantere nere.

Al cinema documentaristico dedica anche buona parte del decennio precedente, mantenendo uno sguardo attento su ciò che avviene nel mondo in quel periodo, unito a una grande cura nei confronti dello sperimentalismo formale.

Il suo interesse per la rappresentazione delle donne e della psicologia femminile la porterà negli anni Ottanta a firmare film di grande spessore, su questi temi e non solo, come Senza tetto né legge (1985), che vinse il Leone d’oro alla Mostra di Venezia, Kung-Fu Master (1988) e Jane B. par Agnès V. (1988), un ritratto quest’ultimo dell’attrice Jane Birkin a cui ha partecipato anche un simbolo della Nouvelle Vague come Jean-Pierre Léaud (attore diventato celebre per avere interpretato il giovanissimo protagonista de I 400 colpi di François Truffaut nel 1959).

Il decennio successivo si apre con uno dei suoi film più belli e sentiti: Garage Demy, che racconta l’adolescenza del marito Jacques, che morirà nel 1990 pochi mesi prima della presentazione di questa emozionante pellicola al Festival di Cannes dell’anno seguente.

La pellicola è anche un grande omaggio alla storia del cinema, così come sarà il (meno riuscito) Cento e una notte del 1995, pensato per celebrare il primo secolo di vita della Settima arte, nata nel 1895 grazie ai fratelli Lumière.

Quest’ultimo, visto anche lo scarso successo, sarà il suo ultimo film di finzione e da quel momento Agnès Varda si dedicherà unicamente ai documentari per il grande schermo, oltre che a cortometraggi, esperimenti video e numerose installazioni artistiche di varia natura.

I suoi ultimi tre documentari meritano però tutti una menzione a sé stante, a partire da Les plages d’Agnès (2008), meraviglioso film autobiografico in cui la regista esplora le sue memorie personali e torna sulle opere che ha diretto.

Nel 2017 al Festival di Cannes ha presentato fuori concorso il sorprendente Visages, villages, in cui insieme al fotografo JR (che ha co-diretto il film) Agnès Varda viaggiava per le campagne francesi in cerca di volti da fotografare e rendere delle vere e proprie opere d’arte.

Infine, poco più di un mese fa, al Festival di Berlino ha portato il suo ultimo lungometraggio, un emozionante film testamentario in cui l’aspetto autobiografico era nuovamente centrale fin dal titolo, Varda par Agnès, con cui ha ripercorso tutta la sua carriera.

Ancora in questa pellicola che ci auguriamo di (ri)vedere presto nelle nostre sale era più viva che mai la voglia di stupire, sperimentare, emozionare ed emozionarsi grazie alle infinite possibilità che può regalare una macchina da presa. Prima ancora che una grande lezione di cinema, è stata una grande lezione di vita, preziosa come tante altre che Agnès Varda ha saputo donarci nel corso della sua lunga e immortale carriera.

 

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