È disponibile dal 15 gennaio 2021, sulla piattaforma Disney Plus, la serie WandaVision, i cui episodi sono rilasciati al ritmo di uno a settimana.
WandaVision è il primo progetto televisivo dei Marvel Studios che apre ufficialmente la Fase Quattro: una Fase che sarebbe dovuta iniziare in sala con il film Black Widow ma che, per cause di forza maggiore, con lo slittamento del lungometraggio di Cate Shortland, ha trovato il suo incipit proprio nella serie dedicata ai due supereroi.
Wanda Maximoff e Visione sono tra i personaggi più originali e peculiari del grande calderone della Marvel Comics: lei è nata sulle pagine del mensile XMEN #4 (marzo 1964), lui su AVENGERS #57 (ottobre 1968), ma è tra le pagine del supergruppo vendicativo che hanno trovato fortuna.
La loro è una storia atipica: innamorati contro ogni previsione - Visione è un “sintezoide”, sostanzialmente un robot costruito con parti del corpo e tracciati cerebrali umani - hanno attraversato diverse difficoltà fino alla nascita di due gemelli, che però si sono rivelati come un costrutto artificiale a opera del demone Pandemonium.
A seguito della rivelazione, Wanda ha perso la ragione e ha costruito con i suoi poteri quantistici una realtà a sua immagine e somiglianza.
UN SERIAL ATTESO
La loro storia è stata ripresa e ovviamente adattata dai Marvel Studios sul grande schermo: figure sullo sfondo per tutte le prime tre fasi (apparsi nei film Civil War e il dittico Avengers: Infinity War ed Endgame), sono stati utilizzati per costruire l’ossatura narrativa alla base del serial WandaVision.
Kevin Feige, produttore dei Marvel Studios, col suo tocco magico ha poi saputo sfruttare i ritardi dovuti all’emergenza Covid per alzare l’hype intorno alla produzione, facendo sì che l’uscita del serial fosse attesa in maniera spasmodica: attesa ampiamente ripagata.
La prima intuizione è quella di non rilasciare le puntate tutte insieme ma di centellinarle, una a settimana: particolare essenziale proprio per la drammaturgia dell’opera, che smaschera la sua essenza lentamente attraverso lo svelamento della storia.
Nelle prime tre puntate, infatti, abbiamo assistito a un viaggio attraverso le sit-com degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta, in un miscuglio riuscitissimo di mistero e umorismo grottesco: troppo criptica per essere prevedibile in ogni suo dettaglio, troppo diversa da cosa lo spettatore medio (specie su Disney Plus) può legittimamente aspettarsi, WandaVision mette alla prova tutti con la sua natura estremamente sperimentale.
Una vera e propria serie d’avanguardia, autoriale, inaspettatamente non adatta al pubblico mainstream a cui finora sembravano rivolti i prodotti dei Marvel Studios proprio per il suo andamento lento, misurato, pensato, addirittura per i primi due episodi in bianco e nero e con schermo in 4:3, il formato quadrato classico dei televisori di prima generazione.
Esattamente come lo schermo si allarga, alla fine dell’episodio due, si allarga anche la concezione del serial, ampliando il campo d’azione e mostrando la sua non prevedibilità.
Una formula che, se guardiamo bene, ha sempre riguardato i film dei Marvel Studios: capaci di appassionare ogni target attraverso più personaggi in cui identificarsi, ma capovolgendo sempre le attese da ogni punto di vista.
RILEGGERE I GENERI, ALZARE L’ATTENZIONE
Prima di tutto, dal punto di vista dei personaggi presentati: fin dall’inizio, un protagonista che non era mai stato esattamente in cima ai favori dei lettori (Iron Man di Jon Favreau con Robert Downey Jr.) ma rivelatosi capace di attirarsi le simpatie di tutti, anche grazie al suo interprete. La Marvel ha allargato poi il campo d’azione, passando dal fanservice degli Avengers a tipi come Black Panther e i Guardiani della Galassia fino ad Ant-Man, anche loro eroi di secondo piano dell’universo fumettistico.
Che però hanno saputo catalizzare l’attenzione non solo di una fascia d’età più bassa, ma anche di un pubblico adulto e, soprattutto, della critica di settore, perché hanno adattato la storia di base ai vari generi del cinema, attualizzandoli, rimodellandoli e rimodernandoli.
I generi cinematografici nascono con il cinema stesso: un meccanismo consolidato fin dall’epoca del muto, rafforzato e incrementato nel periodo classico per le nuove possibilità offerte dal sonoro, che, con il postmodernismo, ha avuto nuovi sbocchi. E che probabilmente necessitava, anche se inconsapevolmente, di una rinfrescata.
In primis, Guardiani della Galassia la cui regia è stata affidata a James Gunn, non proprio l’ultimo arrivato.
Sceneggiatore, musicista e produttore, ha scritto nella sua carriera, tra l’altro, due cult-movie prodotti dalla Troma (casa di produzione statunitense fondata da Lloyd Kaufman e Michael Herz nel 1974) Tromeo & Juliet e Terror Firmer: con i Guardiani, forte della scelta di personaggi pressoché dimenticati dalla Marvel - e quindi senza un'identificazione caratteriale ben precisa, come altri più conosciuti - Gunn ha unito il suo gusto per un vintage kitsch all’avventura spaziale nel più puro spirito sci-fi.
Ne è uscito fuori un film divertentissimo, classico nella struttura grammaticale eppure irriverente nell’esposizione, con una forza innovativa tale da rivaleggiare con un franchise importante come quello di Star Wars. Tanto per fare un esempio chiarificatore, Gunn ha fuso insieme il musical di Cantando sotto la pioggia con la fantascienza aliena scintillante e plasticosa di George Lucas, il tutto riletto in chiave punk ma, soprattutto, con un’esibizione di cultura cinematografica mai fine a sé stessa, bensì sempre e comunque funzionale alla trama.
C’è poi Ant-Man di Peyton Reed, film di minore successo rispetto ai Guardiani che, però, ha attinto a piene mani dall’heist-movie; o anche il fortunato Black Panther di Ryan Coogler con protagonista il primo supereroe di colore di rilievo, creato ovviamente da Stan Lee e Jack Kirby nel 1966 su FANTASTIC FOUR #52. Il cinecomic è stato nominato a diversi premi Oscar nel pieno del suo rinverdire i fasti della blackexploitation, ma, soprattutto, è uscito in un momento storico, sociale e culturale quanto mai ideale - con il lascito di Barack Obama sempre più lontano e la presidenza Trump sempre più presente mentre fomenta(va?) la discriminazione razziale, collusa con l’ascesa di movimenti di suprematisti bianchi e frange fascistoidi insite nelle forze dell’ordine. A finire, si ha la Sword & Sorcery di Doctor Strange di Scott Derrickson che a breve sarà ripresa da Sam Raimi che, con tutta probabilità, porterà l’horror in casa Marvel.
DI MUTANTI E ALTRO
L'horror, in maniera tangenziale, aveva però già fatto capolino: New Mutants di Josh Boone era un film dell’orrore, travestito con dei superpoteri. Peccato che il film fosse nato sotto una cattiva stella. Perché i Nuovi Mutanti facevano parte, fino a pochi mesi fa, del sottobosco mutante della Marvel Comics e, in quanto tale, i diritti erano appannaggio esclusivo della Fox che negli anni aveva prodotto diversi film del brand mutante, con fortune alterne.
Dai brillanti esordi con Bryan Singer dietro la macchina da presa del bel X-Men, film che ufficialmente aprì la strada ai cine-comic d’autore fino ad arrivare, attraversando opere meno riuscite, a prodotti eccellenti come X-Men: Giorni di un futuro passato ,sempre di Singer, o ancora Logan di James Mangold e Deadpool di Tim Miller.
E se il film di Mangold era una declinazione potente e raffinata del western crepuscolare, con un protagonista assoluto (il Wolverine di Hugh Jackman) che seguiva il pattern di Lone Wolf & Cub, il secondo - un dittico, per l’esattezza - era un delirante esempio di metacinema, messo in scena attraverso l’eroe principale che, proprio come nei fumetti, era consapevole di essere una creazione e dialogava con lo spettatore rompendo fragorosamente la quarta parete.
Purtroppo, la produzione di New Mutants, oltre a essere funestata da diversi inconvenienti e dall’emergenza sanitaria, ebbe la sfortuna di incastonarsi, causa i molteplici rinvii, nel periodo di transizione durante il quale i Marvel Studios venivano assorbiti dalla Disney che si preoccupava anche di riappropriarsi dei diritti sugli X-Men.
OGGI E DOMANI
Alla luce di quanto detto, risulta quasi consequenziale che, nel momento in cui con WandaVision i Marvel Studios decidono di passare dal grande al piccolo schermo, lo facciano riscrivendo la grammatica della tv: partendo proprio dal prodotto (la sit-com) che della televisione è l’esponente più antico, conosciuto e riconoscibile, usano gli elementi strutturali del medium per offrire una nuova modalità di visione (e si perdoni il calembour), giocando con le aspettative stesse del pubblico.
Sicuramente sarà necessario attendere la release di tutti gli episodi della serie per avere un quadro completo sul significato e sulla sua posizione all’interno della macrostoria che il Marvel Cinematic Universe sta dipanando film dopo film, Fase dopo Fase.
Consapevoli che, nel viaggio intrapreso, WandaVision è la serie che era necessario aspettarsi.
GianLorenzo Franzì