Diamantino (Carloto Cotta) è un prodigio del pallone. Toccato dalla grazia in campo, fuori campo l'attaccante portoghese è un idiota sublime che non comprende nulla delle forze politiche che agitano il suo Paese. A un passo dalla Coppa del Mondo, perde la sua magia e sbaglia il rigore decisivo. Abbandonato dai tifosi e dal padre, che muore di infarto, Diamantino cade nella rete delle sorelle, gemelle sadiche, e di un complotto dell'estrema destra, che progetta di clonarlo per formare una super nazionale.
Folle apologo surrealista firmato da Gabriel Abrantes e Daniel Schmidt, Diamantino – Il calciatore più forte del mondo è l’ennesima prova della vitalità provocatoria e scombinata di tanto cinema portoghese contemporaneo. Inseguendo la vena lunare di Miguel Gomes e combinandola con la solare sfacciataggine di una puntata d’autore di Black Mirror, Diamantino fonde clonazioni, manipolazioni genetiche e tematiche di stringente attualità (rifugiati e nazionalismi, destre al potere e flussi economici selvaggi e impalpabili, idiozia generalizzata e uscita dall’Europa) per un azzardato ibrido che si fa specchio delle idiosincrasie del Portogallo di oggi e ironizza sul calcio come unica, possibile, residuale fede di massa. Incentrato su un sosia di Cristiano Ronaldo, stella del calcio lusitano, a metà tra l’imbalsamato, il rimbambito e il gender fluid, Diamantino è un divertissement affilato e pirotecnico ma indigesto: generosissimo nelle trovate, ma malamente sovraccarico nel mescolare ingredienti eterogenei di critica sociale e politica, schiacciati su un fondale rutilante ma congestionato, nel quale non c’è limite alle cornici possibili, dalla crisi economica del 2008 a Donald Trump, passando per la Troika. La sensazione è che al loro interno ci si possa concedere davvero tutto e il contrario di tutto, senza badare all’economia dei passaggi (narrativi), alle trame di gioco e agli schemi, ma col serio rischio di ritrovarsi spesso in fuorigioco. Grand Prix Nespresso alla Semaine de la critique di Cannes 2018.