Dopo tanto tempo, Francesco (Riccardo Scamarcio) ritorna nel suo paese d’origine in Puglia per presentare alla sua famiglia la compagna Emma (Mia Maestro) e Sofia (Giulia Patrignani), la figlia di 10 anni. Questo ritorno a casa, però, rende inquieto Francesco, nonostante la felicità della figlia Sofia di poter passare lì le sue vacanze. Ben presto, infatti, cominceranno a succedere cose molto strane… fino alla sparizione di Sofia.
«La fascinazione è una condizione psichica di impedimento e inibizione, e al tempo stesso un senso di dominazione, un essere agito da una forza altrettanto potente quanto occulta, che lascia senza margine l’autonomia della persona, la sua capacità di decisione e scelta»: muove da questa citazione di Sud e Magia, fondamentale e rilevante saggio di Ernesto De Martino su malocchio, esorcismi e non solo, Il legame, horror diretto dal cineasta pugliese Domenico De Feudis, già aiuto regista di Paolo Sorrentino sul set de La grande bellezza (2013) e il dittico Loro (2018). Per il suo esordio nel lungometraggio De Feudis, che col protagonista Riccardo Scamarcio non condivide solo le comuni origini pugliesi ma anche la fascinazione per il cinema claustrofobico di Roman Polanski, ha scelto di lavorare su un horror “tradizionale” da più punti di vista: i protocolli di scrittura e messa in scena degli esempi più nobili del genere sono infatti tutti rispettati con diligente filologia, ma a fare da traino, in questa versione nostrana del filone del folk horror molto frequentato da tanto cinema europeo e americano, è il senso di mistero che abita quasi tutti gli anfratti e, va da sé, i legami della cultura meridionale italiana. Il legame, tra elementi demoniaci e stregoneschi e dimore che nascondono molto di più che qualche semplice scheletro dell’armadio, ricorre a un campionario sicuramente abusato senza alcuno scarto originale, ma lo fa con una forte aderenza alla matrice antropologico-culturale della terra che racconta e una confezione decisamente sufficiente e all’altezza, che non si concede mai cadute nel frequente ridicolo involontario che abita tanti analoghi e dozzinali prodotti più di cassetta. Le spruzzate di magia nera e i momenti più fisici, tra morsi di tarantole e moltiplicazione dei piani su cui si esercita l’orrore dell’ignoto, appaiono poi inquietanti e torbidi al punto giusto, a riprova di un’operazione che, pur senza particolari picchi, fa discretamente bene il suo dovere. Interessante sul piano visivo, seppur un po’ legnoso su quello narrativo, il primo blocco della storia che si concentra sugli alberi come vettori di un legame con la ferinità immobile della Terra, ma anche come tramite per gli elementi più gotici, terrificanti e insondabili della Natura. Sorprendente la prova della giovanissima Giulia Patrignani, che ruba la scena rispetto al resto del cast e catalizza l’attenzione dello spettatore riuscendo a reggere con verosimiglianza e agghiacciante presenza scenica un personaggio rischioso. Prodotto da Indigo Film e distribuito in streaming su Netflix nell’ottobre 2020.