Kichiku (Demon)
Kichiku
1978
Paese
Giappone
Genere
Thriller
Durata
110 min.
Formato
Colore
Regista
Yoshitaro Nomura
Attori
Shima Iwashita
Ken Ogata
Mayumi Ogawa
Hiroki Iwase
Una donna (Mayumi Ogawa), madre di tre bambini, non riceve più soldi dal suo amante. Va a casa dell’uomo (Ken Ogata) e lascia lì i figli. La moglie di lui (Shima Iwashita), che non era a conoscenza della famiglia clandestina del marito, non la prende affatto bene e vorrebbe sbarazzarsi dei piccoli.

Nomura torna ad adattare un’opera di Seichō Matsumoto, scrittore a cui aveva già attinto in altre tre occasioni in precedenza. Qui il poliziesco tipico dello scrittore lascia il posto a una sorta di thriller esistenziale, basato su adulti che non accettano le proprie responsabilità nei confronti dei più giovani, sintomo di quel nichilismo postbellico che aveva un ruolo predominante nei libri dell’autore nipponico. Prima un padre che fa una doppia vita, che vede i suoi figli poche ore al mese e smette pure di sostenerli economicamente. Poi una madre che per esaurimento abbandona la prole. E infine la nuova struttura familiare, posticcia e piena di rancore, in cui i bambini si trovano indifesi e in balia delle cattiverie e dell’anaffettività di padre e matrigna. A partire da una conflittualità tutto sommato comprensibile, si raggiungono presto scene di disarmante freddezza che, assecondate da una colonna sonora di semplice ma riuscitissimo effetto, mettono la pelle d’oca facendo presagire il destino dei piccoli. Un gioco al massacro a senso unico, simbolo di una società sempre più ombelicale e indifferente in cui i sentimenti positivi affiorano, se lo fanno, quando è troppo tardi. Se la modernità e la ricchezza della città è sempre solo vista dall’alto, irraggiungibile, e i protagonisti sono relegati in un limbo di appartamenti miseri e desolanti, non dà migliori aspettative uno sguardo rivolto a una natura mozzafiato e ancestrale, sfondo dell’ultima brutalità, costantemente procrastinata in un crescendo tensivo di grande efficacia. Finale ad alto tasso emotivo, ma mai pietistico, dove anzi si radicalizza uno scontro generazionale che ha ormai già superato i confini dell’odio e dell’incomunicabilità. Un film notevolissimo.
Maximal Interjector
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