Luci d'inverno
Nattvardsgästerna
1963
Paese
Svezia
Genere
Drammatico
Durata
81 min.
Formato
Bianco e Nero
Regista
Ingmar Bergman
Attori
Gunnar Björnstrand
Ingrid Thulin
Max von Sydow
Gunnel Lindblom
Allan Edwall
Il pastore protestante Tomas Ericsson (Gunnar Björnstrand), dopo aver perso la Fede a causa della morte della moglie, evita il dialogo con una maestra elementare innamorata di lui, Märta (Ingrid Thulin), e tenta di dissuadere dall'idea del suicidio Jonas (Max von Sydow), che soffre di manie depressive.
Seconda pellicola appartenente alla trilogia sulla religione di Ingmar Bergman, girata dopo Come in uno specchio (1961) e prima de Il silenzio (1963), Luci d'inverno è tra i film più intensi e personali che il regista svedese abbia firmato negli anni Sessanta. Gelida e austera, la pellicola è un urlo disperato che l'autore esprime verso ogni approccio distorto al cristianesimo, criticando l'inettitudine di alcuni religiosi ma lasciando comunque al suo protagonista coscienza e consapevolezza filosofica, nonostante una freddezza a tratti eccessiva. Ma Bergman mette in discussione innanzitutto se stesso, costituendo un film a tesi sull'agonia dell'uomo solitario rispetto a Dio. La predominanza del bianco (fotografia di Sven Nykvist) accentua ancora di più l'idea di assenza di Dio, della Fede, della pietà del tempo che scorre inesorabile o della parola. Messa in scena teatrale e evidenti ascendenze strindberghiane, nel tipico stile bergmaniano. I primi piani di drammatica espressività accentuano quanto i personaggi siano miserabili, eccetto forse Märta, interpretata da una Ingrid Thulin al suo meglio. Il protagonista è ispirato al padre del regista che, come Tomas, perse la Fede a causa di un lutto. Senza musica.
Seconda pellicola appartenente alla trilogia sulla religione di Ingmar Bergman, girata dopo Come in uno specchio (1961) e prima de Il silenzio (1963), Luci d'inverno è tra i film più intensi e personali che il regista svedese abbia firmato negli anni Sessanta. Gelida e austera, la pellicola è un urlo disperato che l'autore esprime verso ogni approccio distorto al cristianesimo, criticando l'inettitudine di alcuni religiosi ma lasciando comunque al suo protagonista coscienza e consapevolezza filosofica, nonostante una freddezza a tratti eccessiva. Ma Bergman mette in discussione innanzitutto se stesso, costituendo un film a tesi sull'agonia dell'uomo solitario rispetto a Dio. La predominanza del bianco (fotografia di Sven Nykvist) accentua ancora di più l'idea di assenza di Dio, della Fede, della pietà del tempo che scorre inesorabile o della parola. Messa in scena teatrale e evidenti ascendenze strindberghiane, nel tipico stile bergmaniano. I primi piani di drammatica espressività accentuano quanto i personaggi siano miserabili, eccetto forse Märta, interpretata da una Ingrid Thulin al suo meglio. Il protagonista è ispirato al padre del regista che, come Tomas, perse la Fede a causa di un lutto. Senza musica.
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