Menocchio
2018
Paesi
Italia, Romania
Generi
Biografico, Drammatico
Durata
103 min.
Formato
Colore
Regista
Alberto Fasulo
Attori
Marcello Martini
Maurizio Fanin
Carlo Baldracchi
Mirko Artuso
Nilla Patrizio
Italia. Fine Cinquecento. La Chiesa Cattolica Romana, sentendosi minacciata nella sua egemonia dalla Riforma Protestante, sferra la prima sistematica guerra ideologica di uno Stato per il controllo totale delle coscienze. Ascoltare, spiare e denunciare il prossimo diventano pratiche obbligatorie, pena: la scomunica, il carcere o il rogo. Menocchio (Marcello Martini), vecchio e cocciuto mugnaio autodidatta di un piccolo villaggio sperduto fra i monti del Friuli, decide di ribellarsi. Ricercato per eresia, non dà ascolto alle suppliche di amici e famigliari e, invece di fuggire o patteggiare, affronta il processo.
Dopo tre documentari (tra cui Tir, vincitore della Festa del Cinema di Roma nel 2013), Alberto Fasulo si dedica al cinema di finzione, raccontando la storia vera di Domenico Scandella (soprannominato “Menocchio”), mugnaio processato e giustiziato dall’Inquisizione. Un personaggio che non voleva ragionare con le idee degli altri, ma con la propria testa, che vedeva Dio in tutte le cose, in particolare nei quattro elementi della natura e rifiutava l’idea della verginità di Maria. Magnificamente interpretato da Marcello Martini (un “non attore”, come quasi tutto il resto del cast), Menocchio è una figura resistente, che non crolla di fronte alla tortura, un uomo deciso a non cedere a poteri più grandi di lui, deciso ad arrivare fino al Papa pur di esporre le sue teorie. Attraverso una narrazione molto semplice e lineare, Fasulo firma comunque un prodotto di grande ambizione, dotato di una personalità forte seppur possa ricordare da vicino altri prodotti del passato (in particolare può venire in mente il cinema di Ermanno Olmi). A dir poco sorprendente è la splendida fotografia utilizzata, frutto di giochi di luce e di un uso del fuoco come elemento sia della nascita (come dimostra il potentissimo incipit), sia della morte (la minaccia del rogo); ma anche i perfetti tempi di montaggio sono alla base di un’opera tecnicamente pregevolissima. Fasulo punta sui primi piani dei personaggi, volti inespressivi dei cardinali in totale opposizione con i sentimenti che scaturiscono dai visi segnati di Menocchio e dei suoi cari. Delicato ed essenziale il finale, anticipato da una coraggiosa e rischiosa sequenza onirica. È un film da vedere, tanto per i messaggi messi in campo, quanto per lo stile utilizzato. Presentato in concorso al Festival di Locarno 2018.
Dopo tre documentari (tra cui Tir, vincitore della Festa del Cinema di Roma nel 2013), Alberto Fasulo si dedica al cinema di finzione, raccontando la storia vera di Domenico Scandella (soprannominato “Menocchio”), mugnaio processato e giustiziato dall’Inquisizione. Un personaggio che non voleva ragionare con le idee degli altri, ma con la propria testa, che vedeva Dio in tutte le cose, in particolare nei quattro elementi della natura e rifiutava l’idea della verginità di Maria. Magnificamente interpretato da Marcello Martini (un “non attore”, come quasi tutto il resto del cast), Menocchio è una figura resistente, che non crolla di fronte alla tortura, un uomo deciso a non cedere a poteri più grandi di lui, deciso ad arrivare fino al Papa pur di esporre le sue teorie. Attraverso una narrazione molto semplice e lineare, Fasulo firma comunque un prodotto di grande ambizione, dotato di una personalità forte seppur possa ricordare da vicino altri prodotti del passato (in particolare può venire in mente il cinema di Ermanno Olmi). A dir poco sorprendente è la splendida fotografia utilizzata, frutto di giochi di luce e di un uso del fuoco come elemento sia della nascita (come dimostra il potentissimo incipit), sia della morte (la minaccia del rogo); ma anche i perfetti tempi di montaggio sono alla base di un’opera tecnicamente pregevolissima. Fasulo punta sui primi piani dei personaggi, volti inespressivi dei cardinali in totale opposizione con i sentimenti che scaturiscono dai visi segnati di Menocchio e dei suoi cari. Delicato ed essenziale il finale, anticipato da una coraggiosa e rischiosa sequenza onirica. È un film da vedere, tanto per i messaggi messi in campo, quanto per lo stile utilizzato. Presentato in concorso al Festival di Locarno 2018.
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