Ana (Soledad St. Hilaire) è molto malata e il suo cancro sembra non essere intenzionato a lasciarle scampo. Incontra Jack (Mean Gene Kelton), un galeotto appena tornato in libertà e completamente al verde, che acceda, per soldi, di accompagnarla da un curatore taumaturgico. Lungo il loro cammino i due incontrano Harold (Alan Lyddiard). Il marchigiano Roberto Minervini, cresciuto professionalmente in Texas, dà il la alla sua trilogia girata nello Stato americano, con cui in molti l'hanno paragonato a Malick e Rossellini, con dalla sua il lirismo del primo ma anche la nettezza e l'imprescindibile moralità dello sguardo del secondo. Il suo primo film, pur assestandosi su livelli decisamente lontani da tali mirabolanti e ingombranti paragoni, è un'opera tanto fragile, data la sua genesi fin troppo automatica nell'ideazione e ripiegata su stessa, quanto vitale e interessante, per via della curiosa, inedita commistione tra fiction e documentario, in cui è praticamente impossibile operare delle tradizionali distinzioni tra la ricostruzione fittizia degli eventi narrati e cinema del reale. Minervini fa infatti recitare le vicende portate sullo schermo direttamente a delle persone che conosce e con cui intrattiene rapporti profondi oltre a trascorrere del tempo, forgiando la sua opera con un'onestà che ha il solo difetto di essere fin troppo disarmante e letterale, a tal punto da non godere appieno né del respiro della ricostruzione né di quello della documentazione, accontentatosi di un suggestivo quanto interdetto ibrido tra le due cose.