Il Platz, una delle baraccopoli più grandi d’Europa, sorge lungo gli argini del fiume Stura, nella periferia Nord di Torino. Deve però essere smantellata e, per il migliaio di persone che vi abitano, il futuro appare difficile: alcune di esse vengono trasferite, altre rimpatriate in maniera coatta o indirizzate verso domicili fatiscenti. Con una sensibilità documentaristica ancestrale, prepotente e ammirevole, Gianluca e Massimiliano De Serio si immergono con vigore e totale adesione fisica in una realtà marginale e assimilabile alla catastrofe, immortalandone gli ultimi momenti prima dello smantellamento finale. Lavorando sulla forza delle immagini e sull’assenza di mediazione generata da uno sguardo il più possibile radicale, i due registi creano una sorte di odissea audiovisiva degli ultimi e dei rinnegati, nella quale una serie di persone si susseguono davanti alla loro macchina da presa creando un reticolo fluviale, nel vero senso della parola, di individui e situazioni. Un’elegia dello spazio abitabile e di un futuro (im)possibile, che lavora sulla dilatazione e sulla dispersione, su un dolore impossibile da lenire e sulla sua reiterazione quotidiana, che si accompagna a sua volta a una progressiva perdita di dignità e di autonomia. Il punto di vista dei De Serio è limpido e inappuntabile e la loro messa in scena ha un grandissimo nitore sia etico che estetico, capace di evitare derive ricattatorie e incursioni moralmente discutibili, mantenendo fino all’ultimo un lodevole rigore. Peccato, però, per alcuni passaggi a vuoto e per determinati frangenti meno ispirati, che allentano lo spessore complessivo e la tenitura generale di un'opera in ogni caso sorprendente: si veda, a tal proposito, il magnifico, poetico e disturbante finale, degno di certi esiti del cinema del documentarista e cineasta cinese Wang Bing, nel cui solco l’opera dei De Serio va a inscriversi.