Sono tornato
2018
Paese
Italia
Genere
Commedia
Durata
100 min.
Formato
Colore
Regista
Luca Miniero
Attori
Frank Matano
Stefania Rocca
Massimo Popolizio
Il dittatore fascista Benito Mussolini (Massimo Popolizio) ritorna nell’Italia di oggi in carne e ossa, resuscitato da una casualità esoterica che lo riporta in vita. Incontra sulla strada Andrea Canaletti (Frank Matano), un buffo e ingenuo documentarista di scarso successo, che sta lavorando a un doc molto standardizzato e prevedibile su dei giovanissimi immigrati. L’idea di girare un film su Mussolini lo ringalluzzisce...
Il regista Luca Miniero, dopo il successo del dittico Benvenuti al sud-Benvenuti al nord e una serie di commedie successive di impatto assai minore, si cimenta con il remake di Lui è tornato (2015), operazione tedesca di strepitoso successo al botteghino che immaginava il ritorno di Adolf Hitler nella Germania di oggi. Sono tornato ricalca la struttura del film originale senza innovarla troppo, gioca in gran parte sul sicuro e si affida alla strepitosa mimesi di un grande attore teatrale come Massimo Popolizio, che si approccia al totem Mussolini sfruttando la somiglianza fisica notevole ma anche un bagaglio vocale e gestuale incredibilmente accurato. La semplificazione e la banalizzazione di grana grossa insita in un’operazione del genere sono, manco a dirlo, sempre dietro l’angolo, perché le colpe storiche di Mussolini sono costantemente derubricate da una sceneggiatura poco attenta a sottolinearle e indaffaratissima a fare del Duce una coinvolgente e ridanciana macchietta. L’operazione, però, è in buona parte riscattata dall’ossatura della storia, incentrata essenzialmente su una transizione del medium narrativo: dal documentario di partenza con testimonianze reali raccolte lungo lo Stivale addirittura dallo stesso Frank Matano, il popolarissimo YouTuber che interpreta Andrea Canaletti, si passa al fronte televisivo, al quale lo stesso Canaletti è legato e che non manca di cooptare Mussolini e di sfruttarne l’impatto retorico per spettacolarizzarne il carisma e la presa mediatica sugli abitanti dell’Italia contemporanea. Il film diventa così, con la violenza di uno schiaffo finale davvero amarissimo, un piccolo e grossolano, ma allo stesso tempo amaro e lucidissimo, trattato sul servilismo imbarazzante dell’italiano medio, succube oggi come ieri del grande comunicatore di turno. A tal punto da lasciar decadere perfino le colpe storiche più atroci in nome di una generica e immemore simpatia che il film di Miniero fotografa in maniera forse sommaria ma anche inequivocabile, strizzando l’occhio al ventennio berlusconiano e alla sfacciataggine delle sue prerogative televisive e mediatiche. Niente di troppo sottile o di non risaputo, ma l’italianizzazione del film originale è marcata e nei modi e nelle forme piuttosto intelligente e non banale, nonostante i limiti di Matano nella recitazione e il modo fin troppo simpatico ed edulcorato di maneggiare Mussolini (un dato non trascurabile, che rischia paradossalmente di strizzare l’occhio a fascisti e parafascisti nonostante l’amarezza e la criticità complessive).
Il regista Luca Miniero, dopo il successo del dittico Benvenuti al sud-Benvenuti al nord e una serie di commedie successive di impatto assai minore, si cimenta con il remake di Lui è tornato (2015), operazione tedesca di strepitoso successo al botteghino che immaginava il ritorno di Adolf Hitler nella Germania di oggi. Sono tornato ricalca la struttura del film originale senza innovarla troppo, gioca in gran parte sul sicuro e si affida alla strepitosa mimesi di un grande attore teatrale come Massimo Popolizio, che si approccia al totem Mussolini sfruttando la somiglianza fisica notevole ma anche un bagaglio vocale e gestuale incredibilmente accurato. La semplificazione e la banalizzazione di grana grossa insita in un’operazione del genere sono, manco a dirlo, sempre dietro l’angolo, perché le colpe storiche di Mussolini sono costantemente derubricate da una sceneggiatura poco attenta a sottolinearle e indaffaratissima a fare del Duce una coinvolgente e ridanciana macchietta. L’operazione, però, è in buona parte riscattata dall’ossatura della storia, incentrata essenzialmente su una transizione del medium narrativo: dal documentario di partenza con testimonianze reali raccolte lungo lo Stivale addirittura dallo stesso Frank Matano, il popolarissimo YouTuber che interpreta Andrea Canaletti, si passa al fronte televisivo, al quale lo stesso Canaletti è legato e che non manca di cooptare Mussolini e di sfruttarne l’impatto retorico per spettacolarizzarne il carisma e la presa mediatica sugli abitanti dell’Italia contemporanea. Il film diventa così, con la violenza di uno schiaffo finale davvero amarissimo, un piccolo e grossolano, ma allo stesso tempo amaro e lucidissimo, trattato sul servilismo imbarazzante dell’italiano medio, succube oggi come ieri del grande comunicatore di turno. A tal punto da lasciar decadere perfino le colpe storiche più atroci in nome di una generica e immemore simpatia che il film di Miniero fotografa in maniera forse sommaria ma anche inequivocabile, strizzando l’occhio al ventennio berlusconiano e alla sfacciataggine delle sue prerogative televisive e mediatiche. Niente di troppo sottile o di non risaputo, ma l’italianizzazione del film originale è marcata e nei modi e nelle forme piuttosto intelligente e non banale, nonostante i limiti di Matano nella recitazione e il modo fin troppo simpatico ed edulcorato di maneggiare Mussolini (un dato non trascurabile, che rischia paradossalmente di strizzare l’occhio a fascisti e parafascisti nonostante l’amarezza e la criticità complessive).
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