The Last Days of American Crime
The Last Days of American Crime
2020
Netflix
Paese
Usa
Generi
Thriller, Azione
Durata
148 min.
Formato
Colore
Regista
Olivier Megaton
Attori
Édgar Ramírez
Anna Brewster
Michael Pitt
Sharlto Copley
Sean Cameron Michael
Patrick Bergin
Leandie Du Randt
Brandon Auret
Nathan Lynn
Daniel Fox
Come risposta finale al terrorismo e alla criminalità, il governo degli Stati Uniti ha in programma di trasmettere un segnale che rende impossibile a chiunque di commettere consapevolmente atti illeciti. Graham Bricke (Édgar Ramírez), un criminale che non è mai stato in grado di raggiungere il punteggio più alto, si unisce al famoso gangster Kevin Cash (Michael C. Pitt) e all’hacker del mercato nero Shelby Dupree (Anna Brewster), per commettere la rapina del secolo e l’ultimo crimine nella storia americana prima che il segnale si spenga.

A partire da un fumetto di Rick Remender e Greg Tocchini risalente al 2009, il regista francese Olivier Megaton, allievo di Luc Besson votato al cinema d’azione, imbastisce con The Last Days of American Crime un “gangster movie” dozzinale e irritante, di una vacuità a dir poco siderale e dall’esito sconcertante. Quello che a prima vista potrebbe sembrare un prodotto ipercinetico qualunque, destinato a prendere polvere negli archivi di Netflix e collocato sullo sfondo di un’America coercitiva, è in realtà una presa per i fondelli dello spettatore che sembra assemblata con gli scarti e i liquami del peggior cinema action che l’ha preceduta, in una sorta di perversa astrazione della bruttura a suon di tempi morti e catatonia ottusamente grezza e autolesionista. Non si poteva certo pretendere un’astrazione alla Michael Mann o alla Jean-Pierre Melville, da un cineasta che, nato Fontana, ha cambiato il suo cognome in Megaton perché nato nel ventesimo anniversario del bombardamento di Hiroshima, ma si rimane ugualmente basiti al cospetto di The Last Days of American Crime, ridicolmente pretenzioso fin dal titolo: l’approccio al genere più, che vetusto e sorpassato, è ridicolmente ingessato, i personaggi sono macchiette deambulanti e scarnificate e la recitazione sopra le righe di Michael Pitt, decisamente da iper-uranio del trash, va oltre qualsiasi accanimento e diventa perfino magnetica («Tutti i topi vorrebbero abbandonare la nave, ma non ci riescono» verrebbe da dire, citando una battuta del film in cui è impossibile, da spettatori, non sentirsi chiamati in causa). Il passaggio dal fumetto al film non trova mai una legittimazione, nemmeno per sbaglio, produce un’inerzia narrativa che al cinema si vede di rado e i 148 minuti di durata sono un supplizio giustificabile solo dalla concezione industriale di Netflix nel legittimare indistintamente il gigantismo di chicchessia, non importa se si chiami Martin Scorsese o Olivier Megaton. Al termine della visione, e dell’overdose di idiozia pretestuosa che ne deriva, si arriva a desiderare che il segnale radio che agisce a livello cerebrale, più che gli intenti criminali della fiction, avesse bloccato l’agire degli autori: la sequenza del parricidio, è una gemma da antologia dello scult e a suo modo assolutamente imperdibile. Girato in Sudafrica, massacrato dalla critica internazionale con stroncature talvolta al limite dell’esilarante («Non t’importa della storia, dei personaggi o delle parole, ma ami la violenza? Anche tu sarai deluso», ha scritto il New York Post) e tra i pochissimi film in grado di agguantare uno sonoro e tondissimo 0% di gradimento su Rotten Tomatoes. 
Maximal Interjector
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