«Il cinema deve essere spettacolo, è questo che il pubblico vuole. E per me lo spettacolo più bello è quello del mito. Il cinema è mito». L’epica da grande schermo di Sergio Leone è entrata per sempre nell’immaginario collettivo: destinato fin da ragazzo ai fasti della settima arte, Leone è riconosciuto come uno degli autori più importanti a livello internazionale.
Particolarmente noto per aver sdoganato lo spaghetti-western e per la rinascita del western negli anni Sessanta, giunge a costruire una nuova retorica del genere, fatta di grandi spazi, complesse e sinuose dinamiche della macchina da presa e una tessitura epica (non scevra da tocchi di ironia) giocata sui ritmi del montaggio e delle colonne sonore. In occasione del workshop a lui dedicato, ripercorriamo la carriera di questo straordinario autore attraverso la classifica dei suoi tre migliori film.
3) Per qualche dollaro in più (1965)
Secondo capitolo della “trilogia del dollaro”, aperta con Per un pugno di dollari (1964) e chiusa con Il buono, il brutto, il cattivo (1966), Per qualche dollaro in più è l’opera che porta Sergio Leone alla piena maturità. Un lungometraggio nostalgico, che riflette malinconicamente sullo scorrere del tempo: l’arrivo della ferrovia come minaccia di un cambiamento che porterà un intero mondo (il far west) a finire e il passato come unica chiave di volta per dare un senso al proprio presente. In Italia fu il maggiore successo di pubblico della stagione 1965-1966: incassò quasi 3 miliardi e mezzo di lire.
2) C’era una volta il West (1968)
Leone realizza un canto funebre e malinconico nei confronti di un’epoca che sta finendo e di un genere ormai al tramonto: l’omaggio (definitivo) alla leggenda del western è una maestosa sinfonia audiovisiva, dove le immagini e le musiche di Ennio Morricone danzano armoniosamente in un «balletto di morte» (come scelse di definirlo lo stesso autore) monumentale e, per molti versi, inarrivabile. Il regista dà pieno sfogo al suo campionario di stilemi (la vendetta, il potere dei soldi, il duello finale) e di personaggi tipo: il vendicatore senza nome, il proprietario terriero, il bandito romantico e una donna (la signora McBain) che diventa figura centripeta a cui tendono, in un modo o nell’altro, tutti gli uomini coinvolti. Un’esperienza di visione mistica e contemplativa, dal sapore quasi zen.
1) C’era una volta in America (1984)
il film che Leone sognò per tutta la vita, un testamento definitivo e una celebrazione dell’immaginario cinematografico americano: quarant’anni di storia tra amore, morte, amicizia, tradimenti e violenza, affrontati da uno sguardo lucido e sincero, attraverso un omaggio (che diventa ricodificazione) al genere del gangster movie. Tecnicamente sublime (le immagini dilatate che sembrano avvolgere i personaggi, merito della fotografia di Tonino Delli Colli), con sequenze da antologia (la fuga dal boss del quartiere, resa immortale da un ralenti che fa presagire l’inevitabile catastrofe) e con interpretazioni grandiose (perfetto Robert De Niro, anche se un James Woods sull’orlo dell’esplosione arriva quasi a rubargli la scena). Un lirismo reso ancor più struggente dalla magica colonna sonora di Ennio Morricone. Presentato fuori concorso al 37º Festival di Cannes, il film fu vergognosamente ridotto di quasi un’ora e rimontato in ordine cronologico per la distribuzione statunitense, ma venne stroncato dalla critica e snobbato dal pubblico.